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L’esito della complessa definizione delle due nuove cariche previste dal Trattato di Lisbona per i Vertici dell’Unione Europea. Si rincorrono in queste ore i commenti più diversi e in Italia sembrano tutti concentrarsi sulla “sonora sconfitta” dell’Italia. Quest’ultimo commento mi sembra troppo intriso di un’ottica partigiana e anche un po’ provinciale.

Mi sembra si possano fare le seguenti osservazioni.

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1.             Un plauso alla Presidenza svedese. Il vertice si è chiuso in poche ore ed una decisione è stata presa all’unanimità, su una questione in cui si incrociavano equilibri e tensioni diversissime e le ambizioni, così come i doppi-giochi, si sprecavano. E’ da ricordare che i precedenti vertici non avevano chiuso su molte altre questioni meno rilevanti; si erano prolungati di un giorno o avevano rinviato. E’ dunque un segnale di una Europa a 27 che sa decidere.

2.             Onore alla Gran Bretagna. Hanno giocato una partita tutta in salita, con un premier socialista ormai perdente e hanno vinto. Del resto hanno saputo tenere il punto fino alla fine, puntando su un posto per ottenere comunque il secondo. L’esito ha dato ragione alla loro ferma determinazione e in ogni caso ha anche pesato la ferma convinzione che nel gioco internazionale non si può non avere il pieno coinvolgimento dell’UK nella squadra dell’Unione e forse sulla politica estera è la partita sulla quale possono oggettivamente essere più produttivi.

3.             La Francia e la Germania incassano un risultato di prim’ordine. Sia perché è il loro asse che ha permesso di chiudere. Sia perché ora possono chiedere portafogli di grande peso nella nuova Commissione e nelle future partite, avendo in mano il mazzo, e per intanto incassano altre due nomine forse non così evidenti, ma strutturalmente molto rilevanti: il capo della nuova struttura della diplomazia europea unificata sarà un tedesco e nuovo segretario del Consiglio è stato nominato un francese, che prende il posto di Javier Solana.

4.             La gestione del negoziato da parte del PSE denota tutte le grandi debolezze e ambiguità di questa grande famiglia. Entrano con D’Alema come candidato unico e, all’ultimo, cambiano cavallo. Principale artefice il capogruppo in Parlamento, il noto Martin Shultz, che pur di compiacere chi tiene il mazzo nel Partito Popolare e le pressioni discrete di Angela Merkel non ha timore di tradire. In vista della propria futura carriera in quanto possibile prossimo Presidente del PE nella rotazione già concordata. Forse gli italiani dovrebbero ricordarselo al prossimo Congresso del PSE a Praga, nel quale però non è ancora chiaro con quale statuto parteciperanno.

5.             Certamente la candidatura D’Alema era oggettivamente una “anomalia”. Un candidato PSE fortissimo sostenuto da un governo conservatore. Un inedito che rendeva la partita impervia e inconsueta. Il governo italiano sembra aver giocato bene e lealmente la partita, forse anche sapendo fin dall’inizio di non avere molte chance. Ora però, se saprà giocare ancora bene e con determinazione e in una logica di unità dell’intero sistema Italia, può pretendere qualche compensazione importante nelle prossime nomine. Deve decidere quale partita principale vuole portare a casa: portafoglio di peso nella commissione, Presidenza dell’Eurogruppo o Presidente della BCE nel 2011? Tenere aperti troppi fronti non aiuta.

6.             Ha ragione Prodi a dire che la Baronessa Ashton non la conosce nessuno e che forse per fare un vero salto politico l’Unione avrebbe avuto bisogno di due figure più forti. Ma anche qui non mescoliamo le nostre legittime aspirazioni e obiettivi politici con la realtà dei Trattati. L’interrogativo prevalente a Bruxelles in questi mesi, tra gli addetti ai lavori, era più o meno il seguente: si tratta di due nuove figure e si creerà un ingorgo nei poteri che rischia di bloccare tutto, visto che tutti gli altri sono comunque in carico e il PE vede crescere il proprio ruolo. Forse due figure troppo forti non avrebbero aiutato. Due lavoratori determinati, che preferiscono i fatti alle troppe parole, con grandi capacità di lavoro nella mediazione e dietro le quinte forse possono essere in questa fase assai più utili del sognato “leader” europeo. Chi l’ha detto che l’UE deve avere un Obama? Sarà la storia dei prossimi anni a dirci, nei fatti, se la decisione veloce dei capi di Stato e di governo sarà stata saggia e produttiva o ancora solo un compromesso al ribasso.

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