Perché l’Irlanda nel periodo 2000-2008 è stato il paese con il più alto tasso di crescita del reddito pro capite nell’Europa dei 12 e contemporaneamente quello con il più basso tasso di crescita della felicità? Perché la Grecia nonostante il suo debito pubblico molto elevato ha tutte le possibilità di farcela? Semplice. Perché per valutare la soddisfazione di vita e la capacità di rientro del debito, la crisi ci ha insegnato che esistono altre variabili fondamentali da considerare: il debito delle imprese (soprattutto bancarie) e la ricchezza e il debito delle famiglie.

Se usiamo il nuovo indicatore del debito lordo (somma dei debiti di famiglie, imprese e stato), l’Irlanda (che ha uno dei debiti pubblici più bassi attorno al 64 percento) balza all’incredibile cifra del 952 percento (ultimo posto nell’Europa dei 12). Si capisce che gli irlandesi, senza ricchezza personale, con una crescita del reddito pro capite drogata dal debito ed oppressi dalle rate dei mutui non avessero molti motivi per vedere la loro soddisfazione di vita aumentata. Usando lo stesso indicatore ci accorgiamo che la Grecia ha il più basso debito del settore privato tra i paesi dell’Unione e dunque, in una condizione simile all’Italia, conta su finanze private in grado di sostenere l’indebitamento pubblico.

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Le nuove regole dell’Unione Europea sulla disciplina delle finanze pubbliche tengono finalmente conto dell’importanza di ricchezza e debito privato e non solo del debito pubblico, superando gli automatismi che volevano prevedere sanzioni al superamento di una certa soglia di debito pubblico.
Nonostante questo importante riconoscimento, la situazione della nuova Maastricht appare confusa ed indebolita dalla storia del passato che ha visto venire meno la severità delle regole stabilite in caso di violazione da parte dei grandi paesi. Nella nuova Maastricht, alla luce di questa storia passata e in presenza di regole elastiche, quale credibilità avrà la minaccia di sanzioni?
Quello che possiamo prevedere, come spesso accade in caso di accordi internazionali tra paesi nei quali manca un’efficace e universalmente riconosciuto potere sanzionatorio in caso di violazioni, è un tipico paradosso: le regole produrranno degli effetti, anche se non saranno rispettate in toto. Nel senso che spingeranno i governi nazionali a misure di austerità e di contenimento della finanza pubblica.
In Italia che spazi abbiamo per altro rigore e virtuosità di bilancio? Si può lottare contro evasione e corruzione della pubblica amministrazione riducendo i consumi intermedi, ma non certo non si può continuare a tartassare settori come la scuola e l’università dove ormai siamo all’osso. Basti pensare al fatto che già oggi sono i genitori degli alunni a fare collette gli acquisti di beni necessari.
Se vogliamo evitare che precari, giovani disoccupati ed un’intera generazione quasi perduta, scuola ed università paghino colpe non loro, non possiamo e non dobbiamo dimenticare l’origine e la causa di questo aggravamento dei debiti pubblici (la finanza) ed cercare lì una parte di risorse.
Con un gruppo di economisti abbiamo lanciato un appello per una piccolissima tassa mondiale sulle transazioni finanziarie (5 per 10,000) che consentirebbe di raccogliere circa 200 miliardi l’anno. L’appello è ormai condiviso a livello internazionale da molti capi di stato ed è oggetto in questi giorni di una proposta di legge trasversale di parlamentari italiani. I presunti “fannulloni” della pubblica amministrazione con la crisi finanziaria e con l’aggravamento del debito non c’entrano proprio niente. E’ giusto che chi scommette sui mercati finanziari e ha causato danni gravissimi all’economia mondiale, (dato che può permetterselo), paghi il conto.
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