Articolo pubblicato sul Sole24 Ore del 7/7/2010

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Con gli articoli di Sabato 3 e domenica 4 Luglio il Sole 24 Ore ha avviato un interessante dibattito su vantaggi e svantaggi derivanti dall’eventuale adozione della FTT (Financial Transaction Tax) che estende l’idea originaria della Tobin Tax dalle transazioni su valuta a tutte le transazioni finanziarie. Le risposte degli economisti intervistati hanno confermato come, dopo la crisi finanziaria, il consenso verso questa proposta sia cresciuto anche tra gli addetti ai lavori e le istituzioni internazionali.

Si sono dichiarati a favore (anche se si registrano varie oscillazioni) i responsabili degli esecutivi di Francia, Germania e Regno Unito, mentre il Belgio ha votato una legge a favore della proposta.

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Dopo la sintetica opinione favorevole di vari economisti, l’articolo di Roberto Perotti si è concentrato sulle finalità della tassa sottolineando come la stessa non sia lo strumento adeguato se gli obiettivi sono quelli di ridurre la leva finanziaria delle banche, la tendenza delle banche molto grandi a prendere rischi eccessivi, la probabilità della formazione di nuove bolle finanziarie. Per affrontare direttamente questi problemi sono necessarie riforme delle regole (regolamentazione dei mercati OTC, penalizzazione degli atteggiamenti eccessivamente rischiosi delle banche d’affari, maggiore prociclicità dei requisiti di capitale, ecc.) ampiamente in discussione nel dibattito internazionale.
Incerto anche il rapporto tra Tobin Tax e volatilità per le ripercussioni della stessa sulla liquidità dei mercati. Va però considerato che la tassa sicuramente frenerebbe il comportamento di chi opera sui mercati con orizzonte brevissimo con molteplici operazioni di acquisto e vendita concluse spesso in pochi minuti sugli indici di titoli derivati (in gergo gli scallpers). I guadagni di questi operatori ad altissima frequenza sarebbero condizionati anche da tasse molto piccole perché la loro strategia è quella di mettere assieme i piccoli guadagni di moltissime operazioni effettuate in pochissimi minuti.
Esistono però due motivazioni fondamentali ulteriori per l’imposizione di questa tassa per le quali non è possibile dubitare della coerenza ed efficacia tra strumento utilizzato e fini proposti.
La prima è la capacità della tassa di raccogliere ingenti somme per il finanziamento dei beni pubblici globali. Secondo i calcoli di alcune ricerche recenti (Schulmeister 2008 WIFO), una tassa minima (del 5 per 10.000 o dello 0,05 percento) se imposta a livello globale raccoglierebbe sui mercati circa 655 miliardi di dollari pur considerando la possibile riduzione delle transazioni a seguito dell’applicazione della tassa. Si tratta di una somma simile a quanto si potrebbe ricavare da un’ imposta sul valore aggiunto, un IVA sulle transazioni finanziarie dalla quale esse sono attualmente esenti a differenza delle transazioni reali. Da notare che le Nazioni Unite calcolano che sono sufficienti tra i 15 e i 30 miliardi di dollari per garantire la scolarizzazione primaria a tutta la popolazione mondiale. Sappiamo tutti che flussi di risorse molto grandi attraggono corruzione e dunque l’utilizzo di queste risorse dovrebbe essere blindato. Allo stato delle conoscenze attuali ci sono però numerosi esempi virtuosi di utilizzo che si potrebbero scegliere, dai premi per gli avanzamenti in ricerca medica sulla cura delle malattie tropicali ad un fondo di finanziamento in capitale di rischio di start-up di istituzioni di microfinanza nei paesi più poveri in grado di attivare le importanti risorse nascoste del risparmio nazionale in molti di questi paesi. E, ovviamente, un fondo da cui gli stati possano attingere nel caso in cui, come in questo caso, risorse pubbliche vengono utilizzate per risolvere crisi finanziarie (la somma raccoglibile in Italia secondo questi calcoli dovrebbe aggirarsi attorno ai 4.5 miliardi di dollari annui).
La seconda importante finalità risponde ad un principio di responsabilità fiscale. I piani internazionali di salvataggio avviati in questi ultimi tempi, che includono il sostegno agli intermediari finanziari più coinvolti nel trading sui derivati, rischiano di far raddoppiare di qui al 2014 il debito pubblico americano sul PIL e far triplicare quello inglese. Anche in paesi come e il nostro dove non ci sono stati grossi esborsi per salvare le banche le finanze pubbliche sono peggiorate a causa della recessione causata dalla crisi stessa. La storia delle finanziarie approvate ed in corso di approvazione nei vari paesi europei ci dice che i cittadini hanno pagato due volte. Prima vedendo drammaticamente peggiorate le prospettive di lavoro nei paesi ad alto reddito. Poi subendo l’onere delle misure di emergenza necessarie per scongiurare la crisi dei debiti pubblici di paesi che li hanno aumentati per soccorrere le banche.
Considerato tutto ciò appare  del tutto legittimo che si raccolgano risorse da coloro che ne hanno in abbondanza e laddove la crisi è stata generata. Da questo punto di vista la tassa sulle transazioni finanziarie non ha niente a che vedere con l’ipotesi di tassare gli utili delle banche con una stessa aliquota in tutti i paesi, un’idea che metterebbe sullo stesso piano sistemi bancari che hanno grosse responsabilità ed altri più virtuosi (Italia, Canada e Australia), ponendo paradossalmente in difficoltà dal punto di vista dei requisiti di capitale le banche che si dedicano al credito e non al trading sui derivati.
 Il gioco d’azzardo è ampiamente tassato a livello nazionale, tassiamolo anche a livello internazionale. Le briciole delle singole transazioni finanziarie possono diventare tutte assieme risorse importanti per la stabilità dei debiti pubblici nazionali e per il finanziamento dei beni pubblici globali riducendo l’onere della crisi sui contribuenti e sulle fasce più deboli.
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