La Città di Torino e la Regione Piemonte hanno organizzato la Biennale Democrazia, una manifestazione che avrà luogo a Torino ogni due anni, la cui prima edizione si svolge dal 22 al 26 aprile 2009. L’iniziativa è organizzata nello spirito della lezione civile di Norberto Bobbio, testimoniata dai molto allievi presenti tra gli organizzatori, e vuole essere, affermano, “uno strumento per la formazione e diffusione di una cultura della democrazia che si traduca in pratica democratica”.

Il garantismo democratico è la declinazione che ha caratterizzato la sua indagine teorica, proseguendo le problematiche lasciate aperte da Bobbio e indagate nelle sue tessiture storiche e concettuali da molti pensatori contemporanei. Non staremo ad elencare i tanti filosofi che negli ultimi anni hanno riflettuto sulle problematiche della democrazia: segnaliamo solamente gli acuti contributi critici di Robert Dahl e le riflessioni di filosofi come Rawls e Habermas, e di giuristi come Ely. In Italia Ferrajoli, anch’egli sulla scia di Bobbio è il pensatore che di recente ha tentato di offrire la più recente, corposa e articolata lettrura della democrazia, anche se da una prospettiva ben definita e politicamente schierata. Le problematiche del controllo dei controllori sono di scottante attualità, a livello nazionale e sovranazionale. Ci piace istituire un parallelo con il fumetto dei Watchmen, perla della graphic novel di Alan Moore, pubblicata negli anni 1986-87 e qualche mese fa trasposta in film da Snyder. Il fondamento della ricca (nella versione a stampa) trama è proprio il classico adagio Quis custodiet ipsos custodes? La locuzione latina, tradotta letteralmente, significa “chi sorveglierà i sorveglianti?” (Giovenale, sesta Satira). I custodes–Watchmen sono uomini in depressione, alcuni dei quali tormentati dai demoni del loro passato di incontrollati tutori dell’ordine o apportatori di democrazia. Stupisce l’attualità di questa metafora, peraltro ricorrente in Moore: si pensi all’apologo finale di V for Vendetta, brutalizzato nella sua versione cinematografica, che ha giustamente suscitato le ire dell’autore. Egli tentava di raffigurare il dramma della scelta tra l’anarchia come utopia democratica assolutizzata e il titanismo dei liberatori che mettono sotto perpetuo controllo i liberati. Il tema del controllo è al centro delle connessioni ormai obbligate tra la teoria della democrazia e la teoria dello stato di diritto, che secondo i dettami della scuola neocostituzionalista è da considerare perfezionato e realizzabile solo come stato costituzionale di diritto.
Come ha sottolineato il sociologo Beck i Parlamenti vedono erose le loro prerogative dal moltiplicarsi degli esecutivi sovranazionali, spesso organismi composti da membri nominati e non eletti, membri di comitati e quei bodies che governano la finanza e le politiche a livello comunitario. La terminologia non è casuale, e per fare un esempio che piacerà ai seguaci del pensiero francese contemporaneo crediamo che non sia un caso che si usi per designare gli organismi di controllo il termine body, per indicare dei corpi non sempre chiariti nella ratio della loro composizione, quasi sempre controllori di nomina non elettiva. Pensatori come Karl Popper, hanno ritenuto impossibile un controllo delle società o degli eventi storico-sociali, eppure oggi ciò risulta in molti casi possibile. Ovviamente non sempre il gruppo di potere realizza esattamente ciò che vuole, non è infallibile, tuttavia spesso realizza i suoi progetti. Zagrebelsky, presidente della Biennale, afferma nel documento di intenti: “Come, anzi più di ogni altra forma di governo, la democrazia è sempre imperfetta rispetto ai suoi ideali ed è sempre esposta all’involuzione oligarchica, al rovesciamento demagogico delle parti e alla copertura di altre “-crazie”. In tutti questi casi, le forme della democrazia, cioè le sue procedure, vengono svuotate e rese disponibili a favore di sostanze, cioè di poteri, non democratici.” Ferrajoli e Zagrebelski, seppur in maniera diversa, ritengono che il potere giudiziario deve essere il tutore della democrazia all’interno del nuovo paradigma dello stato costituzionale di diritto, tuttavia la diffidenza si fa sempre più diffusa, a livello internazionale per l’inefficacia delle corti recenti e nuove se non in materia economica, a livello nazionale (non solo in Italia, ma anche nei più eminenti tra le nazioni rette dalla common law) per la sempre più marcata inefficienza e incoerente imprevedibilità della magistratura, anche nelle corti di rango più elevato. Dalle pagine di Dworkin e Habermas si continua a sviluppare pervicacemente e forse con una giusta pervicacia l’idea che la corte è il luogo in cui viene garantito uno spazio di espressione ai diritti dell’individuo a fronte di una sfera politica sempre più ermetica alle istanze di questi e, aggiungiamo noi, dinanzi alla vulnerabilità dei parlamenti, oggi come in passato. Negli stati uniti Ely nel suo Democracy and Distrust ha posto il problema della fiducia come base della legalità democratica. Niente di nuovo rispetto a quanto affermava polemicamente Carl Schmitt, contrapponendo lo stato di diritto (Rechtsstaat) alla democrazia instabile e sempre imprevedibile nei suoi sviluppi legislativi, come di recente rilevato da Pasquino. Vi sono di contro gli strenui sostenitori della consustanzialità tra democrazia e stato di diritto, come rilevato di recente da Heuschling  a livello storico sistematico, e come oggi risulta evidente dalle politiche della Banca Mondiale e da istituzioni quale il FMI e anche il WTO (che ha la sua alta corte appunto in un Appellate Body).
I seguaci di Habermas, come Gerstenberg, parlano al riguardo di Nicht-tautologische Zirkularitaet, poichè la costituzione è condizione e insieme risultato della politica democratica. Il problema resta aperto, il corto circuito tra governo delle leggi e governo (della maggioranza) degli uomini è la chiave di volta per bilanciare le libertà e i diritti, quindi il fulcro della convivenza civile nazionale e sovranazionale, in orami ineludibile interazione, come già notato soprattutto da Kant e Kelsen. Le istituzioni sovranazionali dovrebbero potenziare la loro forza di polizia, che nel suo senso classico trova il fondamento nella giurisdizione: questo per superare lo stato di natura internazionale che forse continuerà invece fino alla fine dei tempi a minare le democrazie ovunque esse si trovino in uno stato nascente. Questo anche per non rendere necessario il ricorso a Watchmen che sono sempre i benvenuti in una situazione estrema, ma che, come dimostra la storia recente e remota (in particolare nella modernità), risultano difficili da mettere a riposo una volta finito lo stato di emergenza. Oppure ci toccherà attendere un liberatore, un nocchiero dei tempi ultimi, sperando che non sia quello previsto da Solov’ev.

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