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A poche ore da un’altra immensa tragedia quotidiana nel canale di Sicilia (l’ecatombe del barcone carico di migranti) passo a prendere i giornali nell’edicola sotto casa e mi trovo davanti un pensionato, il classico vicino della porta accanto, a suo tempo migrante anche lui dal Sud Italia verso la Torino dalle mille promesse di sviluppo industriale, che sbraita: “Ma che vogliono, sti migranti. Mica è colpa dell’Italia se sono morti! E poi doveva occuparsene Malta, no?”. Doveva solo dire “potevano starsene a casa loro” o “ se la sono cercata” e gli sarei saltato al collo. Ma sono andato via velocemente, vergognandomi molto.
rnSi sono da poco spente le luci delle riuscite celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia, il 17 marzo, ed ecco che cominciano i primi sbarchi sull’isola di Lampedusa.

La situazione sembra farsi esplosiva: ognuno vede immagini e legge reportage inumani, ma non una regione o una provincia si dice pronta ad essere almeno solidale con i lampedusani. Dopo qualche tempo, la sola terra di Manduria, nel sud delle Puglie, ha aperto le proprie porte. Certo che potevano evitarsela l’idea delle tendopoli, moderni campi di concentramento. Mi sono nuovamente vergognato molto.
Due mesi or sono, di fronte all’esplodere delle piazze del mondo arabo, il nostro Ministro degli Interni aveva chiaramente paventato i rischi di esodi massicci di immigrati dal nord Africa, come conseguenza inevitabile dei conflitti civili. E tutti gli dissero che stava esagerando per fini politici interni. Certo forse 30, 40, 50.000 migranti che si mettono in mare per scappare dalla guerra (ma sono oltre un milione quelli che hanno attraversato la frontiera libica con la Tunisia) non sono ancora un esodo biblico, ma nessun governo degli altri paesi europei o autorità dell’UE a Bruxelles ha messo in agenda questo allarme e soprattutto, nessuno, governo italiano compreso, si è preparato a questa eventualità.
La Francia invece, insieme alla Gran Bretagna, si è fatta paladina di una “guerra di civiltà”, di una “missione umanitaria universale” per proteggere i cittadini dalla violenza barbarica del satrapo, fino a ieri amico di tutti, ed ha trascinato il mondo intero in una “guerra umanitaria” che di umanitario non ha nulla e nella quale, come sempre, si sa come ci si entra e non come ci si esce. Ma la patria dell’asilo politico ai dissidenti e agli esuli del mondo intero, compresi i terroristi nostrani, ha chiuso le sue frontiere a Ventimiglia. Il suo Ministro degli interni usa parole che sono inaccettabili in una Europa moderna e civile, al cui confronto il nostrano “Gentilini” sembra una crocerossina. E Malta ignora una richiesta di soccorso nelle sue acque territoriali, con il mare a forza sei, sperando che il “pacco” si sposti altrove.
L’Italia torva, nonostante tutto, una soluzione giuridica provvisoria l’ha trovata: il permesso di soggiorno temporaneo. La Commissione europea però sembra dare ragione alla Francia sostenendo che questo non consentirebbe alcune libera circolazione in Europa. Insomma ciascuno difende i propri interessi; le Carte dei diritti fondamentali e i valori fondanti dell’Europa sono dimenticati, l’autarchia egoistica dei singoli Stati prevale ovunque, i migranti sono carne da cannone, scudi umani o merce di lotta politica. Il senso di fallimento dell’Europa, sia delle Istituzioni comunitarie che del concerto delle nazioni europee è grande e io, che dedico una buona parte della mia vita attuale nel lavoro dentro le istituzioni europee, sono travolto dal senso di impotenza e ancora, mi vergogno molto.
Un fallimento passa tramite la contabilità drammatica delle morti di innocenti di cui non conosciamo ne è i volti ne i nomi, che si aggiunge a quello più ampio e strutturale della nostra timida politica estera comune. Sul Mediterraneo l’Europa non c’è! La guerra la gestiscono alcuni Stati membri, oppure la NATO che, poverina, senza la forza militare USA non ce la fa a occuparsi delle armate mercenarie del colonnello.
Ma tutti ben sappiamo che la storia è costellata di guerre vinte e poi di processi di pace persi. E l’Europa ha già accumulato due fallimenti clamorosi precedenti sul Mediterraneo: il “processo di Barcellona”, avviato a metà degli anni ’90 dal Ministro degli Esteri italiano Susanna Agnelli e poi l’Unione per il Mediterraneo voluta da Sarkozy e avviata sotto presidenza francese dell’UE due anni or sono, senza dimenticare che non più tardi dello scorso dicembre si teneva proprio a Tripoli il secondo vertice Unione Europea – Unione Africana. Aihmè sono state buone intuizioni, prive della determinazione politica necessaria e soprattutto degli investimenti adeguati.

Il Sud del Mediterraneo non ha bisogno di cose molto diverse da quelle di cui avevano bisogno i diversi paesi dell’est europeo che uscivano dalla caduta delle dittature socialiste e si affacciavano alla libertà, poveri di tutto, ma certo non di dignità e di voglia di affrancarsi rapidamente: uno stato di diritto, forze di polizia che lo facciano rispettare e siano oneste, giudici indipendenti, poteri pubblici locali e nazionali trasparenti, diritti di proprietà effettivi, libertà di espressione e sindacati liberi, libertà di impresa e forti dinamiche sociali della società civile. E soprattutto una prosperità economica che si diffonda rapidamente in tutte le fasce di popolazioni, sia urbane che rurali, facendole sentire protagoniste di una nuova democrazia tutta da costruire. All’Europa di oggi manca la forza politica di un Kohl e di una Germania che, dietro il sogno della propria riunificazione, seppe imporre una spinta indubbia verso est, trascinando una Europa più che riluttante ed un Presidente della Commissione europea, Jacques Delors, allora assai freddo e dubbioso. Oggi non si vede alcun capo di Stato europeo capace di spingere in questa direzione, neppure chi, come l’Italia, almeno perché frontiera diretta, dovrebbe essere la più interessata a questa prospettiva.
Leggo nei giorni scorsi un editoriale molto chiaro sul quotidiano belga “Le soir” di Catherine Ashton, la sempre molto criticata ministra degli esteri europea, che in sostanza dice che ora l’importante è preparare una chiara strategia per il dopo, che questa strategia deve essere gestita mano nella mano con la Lega araba; che non bisogna essere naif, ci vorranno miliardi di euro di finanziamenti e investimenti (lei stessa parla di una richiesta avuta dal ministro della cooperazione egiziano di fondi per costruire almeno un milione di abitazioni popolari per corrispondere attese di progresso concrete della popolazione…) e questi dovranno venire dai fondi europei e dalle grandi banche europee. Che malgrado tutti i nostri mal di pancia e le nostre legittime attese circa gli standard di produzione, dovremo aprire i nostri mercati a prodotti e servizi dei paesi del mondo arabo se vogliamo che il loro progresso riesca rapidamente; che bisogna investire molto sulle loro agricolture, affinché possano sfamare e bene i loro popoli (se no avremo presto altre guerre del pane…); che bisogna infine aprire le frontiere e varare consistenti programmi di mobilità, sia per i lavoratori che per gli studenti, facendo di questo un investimento per rendere duratura la pace e la stabilità dell’area. E che tutto questo sarà ancora importante quando si saranno spenti i riflettori dell’attualità e nei mesi e negli anni a venire “l’Europa non può mancare il suo appuntamento con la storia”
Beh la sig.ra Ashton non sarà un gigante come Kohl o Mitterand, né un padre nobile dell’Europa come De Gasperi o Delors, ma di fronte ai nani cinici che governano oggi la gran parte degli stati europei, io sto con lei. Non so se le sue idee riusciranno a bucare le conclusioni dei Consigli europei, ma mi sento di nuovo un po’ più orgoglioso di essere al servizio della costruzione di questa Europa, che non vellica gli umori del vicino della porta accanto o di tutti i redivivi razzisti d’Europa e esprime una buona idea politica per il futuro.
In questi giorni di nefandezze italiane ed europee in materia di accoglienza di profughi e migranti, un’altra notizia europea è passata del tutto inosservata. Il 5 aprile scorso la Commissione europea ha varato un quadro europeo per le strategie nazionali di integrazione dei Rom, che contribuirà a orientare le politiche nazionali sui Rom e a mobilitare i fondi europei disponibili per le iniziative di inclusione. Il quadro si appoggia su quattro pilastri: accesso all’istruzione, all’occupazione, all’assistenza sanitaria e all’alloggio. Ogni Stato membro è ora chiamato a fissare i suoi obiettivi nazionali di integrazione in funzione della popolazione Rom presente sul suo territorio e della sua situazione di partenza. Dopo i fatti nefasti della scorsa estate – le espulsioni di massa dei Rom in Francia verso la Romania – e le reazioni della Commissione europea di allora, ecco un secondo fatto concreto, che cerca di tradure in atti e politiche i valori europei e le Carte dei diritti che tutti abbiamo sottoscritto. Ecco una buona notizia.
Nonostante tutto, sono fiero di essere europeo e di lavorare perché questi valori e queste prospettive non sia sopraffatte dal cinico “cortotermismo” dei nostri egoistici impulsi primordiali, di popoli vecchi e ricchi, quasi immemori della propria storia e a rischio distruzione della nostra stessa civiltà. Sì, malgrado tutto, c’è ancora ragione di sperare e motivo per continuare ad operare nel quotidiano ordito della costruzione delle istituzioni europee.

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