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“L’aiuto pubblico allo sviluppo deve continuare ad aumentare e non deve subire le conseguenze della crisi economica e finanziaria attuale”. Questo il forte messaggio del neo co-Presidente dell’Assemblea parlamentare Louis Michel, già Commissario Europeo allo sviluppo nella precedente legislatura, in apertura della 18° sessione di questo importante istituto che riunisce parlamentari di tutti i paesi Europei e dell’Africa, Caraibi e Pacifico, riuniti a Luanda, dal 29 novembre al 3 dicembre.

Sono necessarie risorse aggiuntive per far fronte alla crisi alimentare e alle conseguenze del cambiamento climatico, senza che queste vengano prelevate sulle attuali già scarse risorse dell’aiuto allo sviluppo. Per questo è stato stigmatizzato il comportamento di alcuni Stati dell’Unione Europea, e tra questi l’Italia, che, vista la crisi finanziaria, riducono i propri stanziamenti ed erogazioni. “Nulla giustifica una tale diminuzione” ha affermato il Presidente Michel, fortemente applaudito da tutti i delegati presenti. Per la prima volta, inoltre, la Presidenza dell’Assemblea, ha parlato esplicitamente della necessità di ragionare su nuovi strumenti di finanziamento, tra i quali anche l’istituzione di una “tassazione sulle transazioni finanziarie”.rn

Sullo stesso tema si è svolto anche l’intervento del Comitato Economico e Sociale Europeo (CESE): “Rispettare gli impegni presi nel corso degli anni è un imperativo certamente ambizioso nei tempi attuali, ma è giustamente di ambizione e di impegno di cui abbiamo bisogno se vogliamo corrispondere alle sfide del tempo presente e assumendoci le responsabilità che ne derivano”. Riformare il sistema dei finanziamenti internazionali, rilanciare nuovi impegni e strumenti di finanziamento, fare della lotta alle burocrazie e dell’efficacia degli aiuti una priorità, utilizzare l’opportunità della revisione delle strategie per paese e della revisione nel 2010 dell’Accordo di Cotonou per rivedere le priorità politiche della cooperazione, rilanciare e rafforzare il ruolo degli attori non statali e infine aprire un serio capitolo nella lotta contro la corruzione, l’evasione fiscale e la fuga illecita e criminale dei capitali.

Temi che sono stati ripresi nel dibattito dell’Assemblea parlamentare e anche in una importante risoluzione finale proposta, che tra l’altro rilancia in modo forte il ruolo degli attori privati, dei sindacati e dei diversi attori della società civile.

Di particolare rilievo una audizione organizzata congiuntamente dal CESE e dall’Assemblea Parlamentare con la società civile angolana, che ha rilevato le difficoltà tutt’ora esistenti nell’essere riconosciuti e ascoltati nei processi decisionali da parte di governo e parlamento, sottolineando anche le grandi preoccupazioni che toccano la proprietà della terra e il ruolo delle diverse multinazionali coinvolte in enormi progetti di sfruttamento del petrolio, delle materie prime e di liquefazione del gas.

Siamo in una città e in un paese in piena trasformazione. La sola città di Luanda è passata in pochi anni da 300.000 persone a 5 milioni, in buona parte per i grandi flussi migratori interni determinati dalla guerra. La città si presenta come un continuum senza soluzione di continuità tra baracche, bidonville e enormi palazzi e complessi giganteschi in costruzione ovunque. Un paese che conta su consistenti risorse finanziarie che provengono dalle diverse e imponenti concessioni (il solo settore del petrolio e affini rappresenta il 50% del PIL), ma con un costo della vita è inaudito, ma ove le disuguaglianze crescono a livello spaventoso, la mortalità materno-infantile resta tra le più altre del mondo, malgrado un relativo incremento della spesa pubblica negli ultimi anni nel settore sociale.

Da ultimo, a fianco delle tradizionali grandi multinazionali occidentali e tradizionali imprese minerarie sudafricane, cresce in modo prorompente la presenza cinese, sia come lavoratori che come investimenti, opere pubbliche e imprese.

L’Angola definisce sé stesso un paese “under construction” e certamente è oggi un crogiolo di contraddizioni e di tensioni che ben rendono conto di una più generale immagine di cosa sta accadendo in molti paesi africani. Peraltro avendo chiuso un periodo devastante di oltre 27 anni di guerra con gli accordi di pace del 2002, con costi sostenuti per riconvertire e reintegrare le diverse milizie armate (oltre 500.000 persone) nelle proprie regioni di origine. E preparandosi oggi ad una importante e complessa riforma costituzionale che prepara un nuovo assetto di potere. In questo quadro, colpisce molto, tra l’altro, l’evidente disimpegno della cooperazione italiana.

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