L’intervento militare in Libia da un lato solleva gli stessi interrogativi concernenti le “guerre umanitarie” che sorsero a proposito della precedente azione militare contro la Serbia nel 1999, dall’altro pone domande riguardo alla specifica situazione attuale. Ora come allora, i realisti sollevano il dubbio sulle vere intenzioni alla base dell’intervento, riassumibile nell’affermazione che «gli Stati non combattono per valori, ma per interessi: combattono per i valori soltanto quando essi sono funzionali ai loro interessi». In quest’ottica un campione della Realpolitik come il Cancelliere tedesco Bismarck nel 1880 poteva dichiarare: «Quando vengo a sapere delle sofferenze di un negro (sic!) … in qualche parte del mondo, posso ricordarlo nelle mie preghiere, ma non posso farne un oggetto della politica tedesca».

Nel 1932 il politologo tedesco Carl Schmitt smascherava la realtà nascosta dietro i principi: «Se uno Stato combatte il suo nemico politico in nome dell’umanità, la sua non è una guerra dell’umanità, ma una guerra per la quale un determinato Stato cerca di impadronirsi, contro il suo avversario, di un concetto universale … L’umanità è uno strumento particolarmente idoneo alle espansioni imperialistiche … A questo proposito vale, pur con una modifica necessaria, una massima di Proudhon: chi parla di umanità, vuol trarvi in inganno».

Sugli interventi militari “umanitari” i cattolici sono divisi: mentre i progressisti hanno difficoltà a conciliare la difesa e la promozione dei diritti umani, che in molti casi non può essere disarmata, con il pacifismo ed il rifiuto della forza, i più conservatori temono che dietro l’«ingerenza umanitaria» marcino le schiere del mondialismo massonico, o comunque secolarizzato. I liberals e la new left sono i più favorevoli, in caso di genocidio e di azioni che turbano la coscienza dell’umanità. I vetero-marxisti diffidano d’interventi dietro i quali vedono motivazioni imperialiste e interessi economici dell’Occidente.

Se l’intervento in Kosovo avvenne senza mandato dell’ONU, ma per opera di una NATO (più o meno) compatta, quello in Libia ha luogo con il mandato del Consiglio di Sicurezza da parte di una «coalizione dei volonterosi» ed una NATO divisa. Inoltre il mandato dell’ONU lascia aperti molti margini di ambiguità. Esso, infatti, autorizza la protezione dei civili, ma diversi membri della coalizione lo forzano fino a dichiarare apertamente di mirare alla sconfitta di Gheddafi. Tale forzatura suscita forti riserve da parte di Russia, Cina, Brasile e India, i Paesi che sulla risoluzione si erano astenuti (insieme alla Germania), oltre che della Turchia e dell’Organizzazione per l’Unità Africana. Il problema quindi è, come sempre, politico e non giuridico, anche perché, come osserva l’autorevole giurista Ugo Draetta, «l’acquisizione del diritto umanitario come parte del diritto internazionale è recente, ancora da consolidare, e certo velata da diverse interpretazioni politiche».

Dal punto di vista politico vari sono gli interrogativi. Nessuno difende certamente Gheddafi, ma cosa sappiamo dei suoi oppositori, tra i quali è confermata l’infiltrazione di terroristi legati ad al-Qaeda? Il leader libico aveva “ripulito” negli ultimi anni la sua immagine ed era accettato come interlocutore da vari Paesi, non certo solo l’Italia; basti ricordare che la Gran Bretagna aveva liberato lo scorso anno il libico condannato per la strage aerea di Lockerbie. L’atteggiamento della Francia solleva molte perplessità. Tra le motivazioni del governo di Parigi certamente vi è quella di migliorare la propria immagine, interna ed internazionale, e di consolidare una traballante influenza in Africa e nel mondo arabo, dopo la caduta di Mubarak, co-presidente con Sarkozy della Unione per il Mediterraneo proposta dalla Francia (e avversata da Gheddafi), e del regime tunisino di Ben Alì, al quale il ministro degli esteri francese Alliot-Marie all’inizio della rivolta aveva offerto l’appoggio del suo Paese per reprimerla. La Alliot-Marie è stata poi costretta alle dimissioni per aver goduto di vacanze a spese del governo di Tunisi, mentre il Primo Ministro Fillon è sfuggito di poco alla stessa sorte per aver usufruito di passaggi aerei a spese di Mubarak. Il tentativo della Francia di escludere dalla guida delle operazioni la NATO, nella cui struttura militare era rientrata nel 2009, ha suscitato aspre e giustificate reazioni. Sorprendente appare poi l’atteggiamento di Parigi, che bombarda in nome dei “diritti umani” e respinge gli immigrati alla frontiera. Pur nella sua rozzezza, vi è un fondo di verità nell’affermazione che i francesi mirano a prendere il petrolio libico e a lasciare gli immigrati all’Italia; il tutto nella latitanza, che peraltro non stupisce, della UE.

Quali saranno gli effetti dell’intervento? Vi è da chiedersi se esso favorirà la diffusione della democrazia nel mondo arabo, costituendo un monito per i dittatori ed un incitamento per le masse che aspirano alla libertà o se verrà percepito come un’ennesima intrusione neo-coloniale, alimentando sentimenti antioccidentali. Interverrà l’Occidente nel caso di dure repressioni in altri Paesi, o starà a guardare in nome della Realpolitik? Alla fine guadagnerà la democrazia o il fondamentalismo islamico? In ogni caso l’Italia è in prima linea da ogni punto di vista, forniture energetiche e flussi migratori, ed ha il pieno diritto di decidere ogni mossa su un piano di parità con gli altri Paesi.

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