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Sovente, dopo la morte di un importante personaggio pubblico, si leggono e si sentono molte persone, note e meno note, reinterpretare alcuni frammenti del pensiero del defunto. Ovviamente alla luce della propria personale visione.
rnE’ una pratica talmente diffusa che la troviamo normale.
rnCosì è avvenuto e sta avvenendo anche per il pensiero del cardinal Martini. Basta leggere i quotidiani di questi giorni per trovarne rappresentazioni in genere luminose ma anche critiche (a tal proposito si legga l’articolo di Marcello Veneziani sul quotidiano “Il Giornale” del 3 settembre).
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Le estrapolazioni ad hoc del suo pensiero provengono in gran parte dalla sua ultima intervista con il padre gesuita tedesco Georg Sporschill e dal “dialogo sulla vita” con Ignazio Marino del 2006, ripreso e approfondito nel libro “credere e conoscere”.

Non conoscevo di persona il cardinal Martini ma ho letto alcuni dei suoi libri (conoscerlo e leggerlo non sono, ovviamente, esperienze equivalenti). Non sono quindi in grado – né particolarmente interessato – di proporre interpretazioni personali del suo pensiero, che è e rimane molto profondo.
Mi interessa invece l’ermeneutica poiché capire come leggere il suo pensiero, anche le parti più impegnative, mi può essere d’aiuto per valutarne l’impatto sulla mia vita.
L’ermeneutica passa necessariamente per uno sguardo all’intera vita di Martini, inserita nel suo contesto storico.

Il cardinale è sempre stato un uomo di Chiesa; un uomo di profonda fede; un uomo che ha studiato in profondità la Parola di Dio; un uomo che si è nutrito totalmente di quella Parola e ha cercato di viverLa anche nelle Sue richieste più impegnative; un uomo che ha portato, vivendoLa, la Parola di Dio ai poveri, a cominciare da quelli di spirito.
Nutrendosi e portando nutrimento in piena obbedienza alla Chiesa.

E’ stata dunque una persona profondamente ispirata e animata dalla Parola di Dio la quale, al suo cuore, faceva porre della domande importati non solo per la Chiesa di oggi e per il nucleo fondante della società, ossia la famiglia, ma per ciascuna persona, sia essa atea o credente.

Questa vita si inserisce in un contesto storico molto difficile, caratterizzato prima da una guerra mondiale e poi dalla contrapposizione tra Est e Ovest; dalla presenza del terrorismo che attentava alle fondamenta dello Stato ed alla libertà delle persone; dalla crescente secolarizzazione della società. Tempi di smarrimento e di incertezza.

E’ interessante osservare come nell’attuale periodo storico, altrettanto difficile e altrettanto denso di incertezza, vi sia stata una grande partecipazione ed una forte commozione per la scomparsa di un uomo di Chiesa quale il cardinal Martini. Partecipazione e commozione che ricordano da vicino quella, enorme, per la scomparsa di Giovanni Paolo II. Un altro grande uomo di Chiesa, che ha vissuto profondamente la Parola di Dio e la sofferenza, non solo quella degli ultimi anni.

La constatazione che in questi tempi svettino tra i credenti e i non credenti due vite luminose quali quelle di Giovanni Paolo II e di Carlo Maria Martini, potrebbe indurci a dare fiducia a Colui che ha ispirato e guidato la loro vita.
Una fiducia che concretamente potrebbe passare dal conoscere, per poi tentare di vivere, la Parola di Dio. Una vita che abbia come centro la preghiera, ossia conversazioni (e azioni) notturne e diurne con Dio. E con questa nuova luce, all’interno della Chiesa portare, in obbedienza, il proprio pensiero. Per costruire non secondo ciò che individualmente riteniamo giusto, ma per far crescere la Chiesa secondo la volontà di Dio.

Credo dunque che il miglior omaggio che si passa fare al cardinale Martini, ma anche a Giovanni Paolo II, non sia appropriarsi “dal di fuori” di parti del loro pensiero per portare avanti i propri interessi; il proprio personale sentire; per affermare il proprio “Dio personale”. Quanto piuttosto prendere sul serio quella Parola che è stata il loro pane di vita quotidiano lungo l’intera esistenza. Una Parola che parla a ciascuno di noi per il tramite della Chiesa. Quella Chiesa che è soprattutto l’altro, il mio prossimo [“Chi è il mio prossimo?” chiede a Cristo un dottore della legge, cioè un presunto sapiente? Questa domanda segue una ancora più incisiva per l’uomo: “Cosa devo fare per avere la vita eterna?” (Lc 10, 25-37). Le risposte a queste domande passano sempre per l’altro, che può assumere vesti differenti per ciascuno di noi ma sicuramente sempre sorprendenti] all’interno della quale Giovanni Paolo II e il cardinal Martini vivevano e ci richiamano.
Ponendoci e ponendo tante domande. Certo. Ma da una prospettiva diversa.
E forse, le risposte che ci verranno nel cuore saranno diverse da quelle che ci venivano in mente prima di iniziare o re-iniziare il nostro cammino.

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