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La protesta cosiddetta dei “forconi” può essere letta in due modi: una manifestazione di rabbia esasperata e primordiale e la manifestazione di un brodo culturale che può celare aspetti eversivi

La protesta cosiddetta dei “forconi”, ma in realtà c’è molto di più oltre a questo movimento di origine siciliana, può essere letta in due modi: da un lato si tratta indubbiamente di una manifestazione di rabbia esasperata e primordiale di fronte al frantumarsi delle prospettive sociali di ceti medi, in altri tempi si sarebbe detto piccolo – borghesi (commercianti, “padroncini”, piccoli imprenditori, piccoli professionisti…).

Dall’altro lato, ma strettamente correlato al precedente, vi è il brodo di cultura di queste manifestazioni di piccoli numeri che sono però in grado di bloccare città intere, e che si esprimono in proteste violente su cui le forze politiche intrecciano le loro manovre con aspetti francamente eversivi come l’appello di Beppe Grillo a poliziotti e militari affinché si rivoltino contro i legittimi poteri della Repubblica.

Storicamente il malcontento dei ceti medi – cui si somma la perenne turbolenza di un sottoproletariato presente in particolare al Sud – è sempre stato il brodo di cultura delle svolte reazionarie. Ma ciò non potrebbe accadere se non si sommassero due fenomeni negativi come una grave crisi economica senza via d’uscita (almeno nelle forme tradizionali, visto che è una crisi di sistema e non di congiuntura) e un’altrettanto grave delegittimazione delle istituzioni democratiche.

L’errore più grave che le forze politiche e sociali possono compiere è quello di pensare di poter separare la riforma politica da quella sociale ed economica, anche perché se i poteri pubblici (lo Stato, in sostanza) non sono percepiti come forti ed autorevoli difficilmente potrebbero esercitare quel ruolo di controllo ed indirizzo dell’economia che spetta loro e senza il quale si ricade nella pura e semplice anarchia, sia sotto il profilo istituzionale che sotto quello sociale, di cui profittano solo i poteri forti che hanno saputo guadagnare anche dalla grande crisi.

In fondo, è proprio questo il messaggio che ci manda l’ “uomo dell’anno”, papa Francesco, aggiungendovi la forza implicita dell’esempio personale, che tutti ci interpella.

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