Madre terra non ci chiede di rinunciare a nulla, anzi ci indirizza solo a privarci delle derive “tossiche”, insalubri oppure ingiuste del nostro modello. Ci dice che condizione della sostenibilità è la salute individuale e collettiva, non la penuria. E che la conseguenza è un gran bel regalo: un po’ più di giustizia e pace

E’ un fatto ormai riconosciuto, anche dalla recente CoP 21 sul clima di Parigi. Ed è scientifico: se non cambiamo rotta, il degrado ambientale ci porterà in breve a una destabilizzazione globale. Su molti fronti abbiamo aggredito un equilibrio che non ci poniamo come obiettivo, perché i nostri valori sono più di crescita ed espansione, ovvero traguardi che non sarebbero incompatibili con l’equilibrio ma lo relegano in secondo piano. Dimentichiamo così che senza quell’equilibrio le nostre società non possono reggersi; che senza le regolarità della biosfera che diamo per scontate – ad esempio il prevedibile succedersi delle stagioni – non potremo più coltivare, pianificare, organizzare, né tantomeno crescere o espanderci.

Limitandosi ai cambiamenti climatici, la scienza ci avvisa: entro una diecina d’anni potremmo creare le condizioni che ci farebbero superare la soglia di un riscaldamento medio globale di 2 gradi centigradi, che già implicherebbero un pesante aumento dei fenomeni atmosferici estremi, penurie, e crescenti conflitti per risorse essenziali in via di rarefazione, come cibo e acqua. Ma sarebbe solo l’inizio: oltre quella soglia, si metterebbero in moto cicli cumulativi connaturati alla biosfera che sospingerebbero rapidamente il pianeta verso medie di riscaldamento superiori a 4 gradi. Significa uno scenario di estinzioni accelerate nel mondo naturale; di carestie, migrazioni e guerre nella sfera umana, entro la fine di questo secolo.

A questa minaccia chiarissima rispondiamo tuttavia tutti – istituzioni, imprese, e pubblico – con esitazione; con un certo immobilismo dettato dalla vastità della sfida, dall’impressione di ciascuno di non poter fare da solo la differenza, e da una certa inerzia nel cambiare mentalità, abitudini e priorità. Reagiamo col sentimento che correre ai ripari rappresenterebbe un “sacrificio” forse non così urgente e soprattutto inutile da parte degli individui, troppo piccoli per sentirsi significativi. Ma sono solo loro a poter fare la differenza.

L’inerzia sociale si può forse contrastare mettendo a fuoco due verità taciute: che la soluzione, col contributo di tutti, è molto meno traumatica e molto più a portata di mano di quanto si pensi; e che il “sacrificio” del cambiamento di costumi in realtà non è un sacrificio, bensì porta immediati e tangibili vantaggi.

La soluzione, anzitutto. Per evitare di oltrepassare la soglia critica dei 2 gradi non occorrono tecnologie rivoluzionarie, immani investimenti, sconvolgimenti del nostro modo di vita. Basta introdurre in ogni settore produttivo che genera gas serra alcune razionalizzazioni che riducano marginalmente gli sprechi e aumentino ragionevolmente l’efficienza produttiva. Ne deriverebbe qualche punto percentuale di riduzione delle emissioni settore per settore – nell’agricoltura, nell’industria, nei trasporti e via dicendo, con qualche complessità maggiore nel settore dell’energia – che sommandosi sarebbero sufficienti a correggere la rotta.

Ed ecco la prima sorpresa: una produzione più efficiente e oberata da minori sprechi non è un sacrificio, bensì un investimento che tende a ripagarsi da solo, generando oltretutto crescita e impiego. Questo è il primo grazie di Gaia che vale a tutti i livelli: dall’individuo che aumenta l’efficienza energetica della sua abitazione, fino alla nazione che si rende più competitiva. La natura, vista da alcuni come un freno allo sviluppo e al benessere, ci consiglia invece di diventare più efficienti e competitivi e di rimpinguare così i nostri portafogli.

Ma questo aspetto è solo un segmento di un meccanismo molto più vasto e potente secondo il quale ogni investimento di tutela dell’ambiente esplica un immediato e poderoso moltiplicatore dei suoi effetti in termini di benessere umano. L’economia ci insegna che ogni investimento si propaga amplificandosi al sistema e questo è vero ben oltre l’orizzonte monetario e strettamente produttivo.

La biosfera funziona come una collezione di equilibri concatenati che concorrono a sostenere un equilibrio più generale e planetario. Uno squilibrio iniettato in un settore si propaga agli altri amplificandosi e, se si va troppo oltre, si innescano cicli cumulativi di squilibrio globale come quelli temuti se si oltrepassano i famigerati 2 gradi di riscaldamento planetario. Ma è vero anche il contrario: ogni riequilibrio apportato in un comparto del sistema biosferico si propaga agli altri, generando riequilibri e benessere a catena, anche in quel particolare sottosistema dell’equilibrio terrestre che chiamiamo genere umano.

Gli esempi sono infiniti. Un’immagine, per cominciare: la dieta in assoluto più salutare – che limita al minimo le proteine animali e privilegia cibi vegetali – è anche quella a minor impatto ambientale. Quindi, vera salute individuale coincide con salute ambientale; ma coincide anche con salute sociale e pace, perché una dieta del genere corregge l’ingiustizia di un mondo polarizzato fra ricchi, obesi, cardiopatici e diabetici da una parte, e sottonutriti privi di speranze dall’altra, disinnescando oltretutto una fonte di conflitto fra questi due mondi.

Oppure, recuperare un ettaro di terreno degradato, disboscato, o desertificato ha un costo generalmente abbordabile ed è un’efficacissima maniera per creare un pozzo di carbonio. Allo stesso tempo, protegge la biodiversità e mantiene le capacità produttive di quella terra, dà un orizzonte di dignità, reddito e lavoro ai suoi occupanti tradizionali, ancorandoli alle loro terre e quindi frenando pericolose dinamiche conflittuali e migratorie.

Questi sono solo esempi. Che dire del rapporto fra autotrasporto ossessivo e malattie della sedentarietà, dello strano fatto che le attività eco-compatibili tendono a generare più impiego di quelle che degradano l’ambiente, del riequilibrio e della carica di giustizia insiti nella riconosciuta necessità di trasferire tecnologie e risorse ai Paesi più poveri per metterli in grado di concorrere alla sfida globale del clima?

Non sono coincidenze casuali. Si tratta di un meccanismo di portata generale, un moltiplicatore – da indirizzare verso cicli cumulativi catastrofici o verso il vero benessere – connaturato a tutto il sistema. Madre terra non ci chiede di rinunciare a nulla, anzi ci indirizza solo a privarci delle derive letteralmente “tossiche”, insalubri oppure ingiuste del nostro modello. Ci dice che condizione della sostenibilità è la salute individuale e collettiva, non la penuria, e che la conseguenza è un gran bel regalo: un po’ più di giustizia e pace. Non c’è nulla di divino in questa strana saggezza della natura, è solo il gioco degli equilibri interconnessi. O forse… un soffio divino c’e’?

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