Il tema della verità (e quindi del suo contrario, la menzogna) ha attraversato la riflessione nelle e sulle scienze naturali per secoli. Per comodità definiamo ‘post-verità’ una menzogna che riscuote un ampio seguito e lasciamo cadere la mistificazione che questo sia un fenomeno recente legato all’imbarbarimento delle masse…

Il tema della verità (e quindi del suo contrario, la menzogna) ha attraversato la riflessione nelle e sulle scienze naturali per secoli. Per comodità, e senza errare di molto, definiamo ‘post-verità’ una menzogna che riscuote un ampio seguito e lasciamo cadere la mistificazione (diffusa fra quei falsi amici della scienza molto numerosi tra le sedicenti elite) che questo sia un fenomeno recente legato all’imbarbarimento delle masse (le stesse che sono sante e illuminate quando seguono le sopra menzionate elite).

Chiariamo subito che la verità in scienza è una ‘condizione al contorno’ e non una acquisizione definitiva. Quando le nostre teorie saranno sorpassate ed i nostri contenuti datati — questo prima o poi succederà a tutte le teorie scientifiche essendo la scienza (quella vera, non quella strillata dai media) un continuo lavoro in corso in cui nuove scoperte continuamente soppiantano vecchi modi di pensare – ugualmente il nostro lavoro dovrebbe continuare a trasmettere il senso che possiede oltre l’uso immediato, come una poesia o un timone di legno. Questo senso proviene dalla possibilità di individuare in quel “pezzo di scienza” il personale apporto dell’artigiano nella soluzione dei problemi, il suo stile peculiare nel sistemare le argomentazioni, i suoi “trucchi” per far emergere la linea di pensiero, il particolare uso della metodologia statistica, il piano sperimentale. La scienza deve cercare la verità, ma la sua verità è nel cammino, non nel contenuto, la sua è la verità umile dell’artigiano, non la falsa e tronfia verità di chi voglia offrirci un sistema onnicomprensivo e definitivo. La verità della scienza è l’onestà del procedimento argomentativo, è il rigore della metodologia statistica, è la chiarezza dell’impianto.

Sia la scienza che l’arte possono sopravvivere solo se esiste una ‘verità materiale’ fuori da noi che le renda feconde (il vero segno distintivo della vera opera scientifica e della vera arte). La verità della scienza e dell’arte è insomma cosa diversa da quella dell’aula giudiziaria.

L’atto della ragione, comune all’arte e alla scienza, è il tentativo di ‘Rendere Visibile l’Invisibile’: perché ciò sia possibile l’artista (così come lo scienziato) deve venire a patti con il fruitore accordandosi su un insieme di regole di rappresentazione condiviso. Solo così l’operazione può riuscire con successo. Curiosamente (ma non troppo) questo insieme di regole condiviso non è molto dissimile tra le due attività e ha a che vedere con quelle esperienze fondanti che accomunano gli esseri umani indipendentemente dalla loro cultura.

Sono regole in larga parte legate all’esperienza quotidiana: Ernest Rutherford, nel suo famoso esperimento del 1911 ‘faceva vedere’ la struttura dell’atomo (di per sé invisibile) fondandosi sull’esperienza condivisa che una ‘palla piccola’ scontrandosi con una ‘palla grande’ dovrebbe rimbalzare all’indietro.

Rutherford dimostrava la fondatezza della sua teoria atomica chiedendo al pubblico uno sforzo di fantasia e immaginare gli atomi come delle palle di diversa grandezza. L’evidenza della sua dimostrazione era strettamente dipendente da questo atto di ‘fede’ nella ragionevolezza del mondo che ci circonda. Ma come faceva Rutherford a sapere che gli atomi erano equiparabili a delle palline? Ovviamente non lo sapeva e, andando avanti nella ricerca, la fisica teorica ha dimostrato varie pecche del suo modello atomico (insomma quella di considerare gli atomi alla stregua di palline era una approssimazione molto brutale). Ciò nonostante il suo modello è stato immensamente fecondo, aprendo la strada a innumerevoli scoperte in tutti i campi della scienza. La teoria atomica di Rutherford era una ‘post-verità’, una menzogna di successo? No, in nessun modo, era ‘verità scientifica’ in quanto ha aperto la strada a un secolo di sviluppi nel campo della chimica, della fisica e della biologia. Si pensi che aspetti apparentemente lontanissimi dal problema di Rutherford come la scoperta delle frodi alimentari sarebbero stati impossibili senza la sua mossa creativa.

Considerare gli atomi come delle palle ‘precede’ l’esperimento vero e proprio e lo giustifica in termini di codici condivisi tra autore e pubblico.

Se questi codici condivisi vengono meno, né l’arte (né tanto meno la scienza) hanno più alcun significato. Il legame con l’artigianato (sia esso la procedura statistica o la costruzione di uno strumento di misura) si è mantenuto nella scienza per più tempo che nell’arte. In questo senso la scienza può essere a tutti gli effetti considerata come ‘L’ultima fortezza dell’Arte’ in quanto ci fornisce un esempio ancora vivente di ‘canone’ quando l’ultimo ‘canone vitale’ dell’arte è stato il Barocco e (per brevissimo tempo) la sua fulminea ricomparsa sulla scena detta Liberty o Jugendstil.

Per ‘canone’ si intende un insieme condiviso di buone pratiche che garantisca la costruzione di un’opera fatta a ‘regola d’arte’ (in uno spettro continuo che va dal vaso di ceramica alla cattedrale), che soddisfi il legame tra ‘struttura’ (come è costruito il manufatto) e ‘funzione’ (l’uso del manufatto stesso).

Sia la scienza che l’arte dipendono da un livello di produzione artigianale. La produzione di massa appiattisce le peculiarità. Il grande sforzo collettivo in cui legioni di scienziati “gnomi” partecipano ad un piano che li trascende seguendo un protocollo standard, impedisce di scorgere l’altrove, il valore unico ed inimitabile del singolo pezzo, semplicemente la scienza viene ad essere valutata per il valore economico del suo prodotto finito abbattendone il suo carattere di “cultura materiale” e, neanche troppo alla lunga, rendendola infeconda.

Nel caso della scienza ci siamo già arrivati, la cosa bella è che gli scienziati (che in moltissimi casi sono tipi svegli) se ne sono accorti. Nel 2005 uscì un articolo che fece molto scalpore, il titolo era già un proclama ‘Perché la maggior parte dei risultati scientifici pubblicati sono falsi’.

John Ioannidis, statistico greco di stanza a Stanford, non usava ipotesi moralistico-consolatorie (molto in voga negli Stati Uniti) come ‘E’ la smania di successo di alcuni scienziati che li porta a falsificare i dati’ ma individuava la fallacia di gran parte della ricerca scientifica in semplici considerazioni statistiche. Il furioso dibattito che seguì alla pubblicazione ebbe termine con il riconoscimento della effettiva mancanza di ripetibilità della ricerca (soprattutto in biomedicina). Tanto che è di questi ultimi giorni la pubblicazione su una importante rivista del gruppo ‘Nature’ di una sorta di "manifesto" del canone scientifico.

Quello che traballa è niente meno che il fondamento della conoscenza scientifica: le galileiane ‘sensate esperienze’ che perdono la loro qualità precipua, quella di poter essere riprodotte in maniera intersoggettiva attraverso l’applicazione di una procedura codificata.

La conoscenza scientifica (quella solida) si fonda su un lungo periodo di assestamento, in cui l’accumularsi di prove empiriche inizialmente contrastanti e ambigue, si assesta verso una visione condivisa. Le singole prove empiriche (il materiale degli articoli scientifici) forniscono un contributo marginale alla costruzione della (parziale) verità scientifica, se un singolo articolo scientifico viene interpretato come la ‘verità definitiva’ su un fenomeno, siamo quasi sicuramente condannati al fallimento.

Tutto sommato non sembra qualcosa di molto strano, se non fosse che il lento e travagliato ‘processo di assestamento’ richiede tempo, la stratificazione di un sapere tradizionale, di un canone condiviso del mestiere della scienza, tutte cose che finanza e democrazia ‘moderne’ odiano dal profondo. La tradizione non porta nulla di buono, la scala dei tempi della finanza è di mesi e non di decenni, la maggioranza ha sempre e comunque ragione.

E qui si situa l’abisso profondo che separa le scienze naturali da altri campi del sapere umano (e.g. le scienze sociali) e che va preso di petto, non solo per comprendere la particolare natura della cosiddetta ‘post-truth’ in scienza, ma come mai (nonostante le apparenze), la scienza sia accomunata alla religione nell’odio profondo che le porta il relativismo culturale.

Un canone viene appreso in modo per larga parte non formalizzabile, come qualsiasi mestiere, attraverso il confronto con altri artigiani e lo studio attento dei manufatti, quindi attraverso la ‘tradizione’ che letteralmente significa ‘trasmissione’ (dal Latino Tradere: trasmettere, consegnare).

Un pezzo di scienza fatto a regola d’arte, se insegue un’ipotesi errata ha comunque in sé il modo per essere falsificato e quindi non ostacola (anzi promuove) l’avanzamento della scienza. Un pezzo non costruito secondo il canone è invece comunque una pietra di inciampo e un ostacolo, indipendentemente dal suo contenuto di realismo. Il grande fisico austriaco Wolfgang Pauli, per indicare il suo massimo disprezzo verso un pezzo di scienza sbottava: "Non è neppure sbagliato!".

Il guaio è che questo non è esattamente lo scopo di chi nella scienza ci mette i soldi (sia pubblici che privati, si badi bene) e a cui l’efficacia a breve termine interessa molto di più della conoscenza. Nessuno sembra soffermarsi sul fatto che, anche se noi vediamo la televisione o leggiamo questo articolo da uno schermo di computer, grazie alle equazioni del campo elettromagnetico sviluppate da James Clerk Maxwell, non è che lui le abbia scritte nel 1860 sotto le insistenze pressanti della nipotina che voleva vedere i cartoni animati.

Il punto è che la scienza è stata schiavizzata da chi la ha voluta costringere a diventare ‘la religione del nostro tempo’ che è atto della stessa valenza morale di spingere alla prostituzione una ragazzina di dodici anni. Questo ha comportato che la mistificazione sia diventata parte integrante della gestione della ricerca scientifica. La frode non è che un aspetto minore del problema, dacché’ la semplificazione del linguaggio e dei contenuti della scienza è diventata una questione di vita o di morte della società, che ne dipende totalmente.

E’ qui che la ‘post-verità’ infetta la scienza, quando una mal riposta esigenza di ‘divulgazione’ maschera le mire di chi vuole far apparire come ‘inevitabile’ ciò che invece è solo desiderio di potere. Antonio Gramsci lo aveva ben chiaro (in tempi non sospetti), ecco le profetiche parole di questo pensatore, per tanti versi molto lontano dal mio modo di sentire, ma sicuramente una mente luminosa: "È da notare che accanto alla più superficiale infatuazione per le scienze, esiste in realtà la più grande ignoranza dei fatti e dei metodi scientifici, cose molto difficili e che sempre più diventano difficili per il progressivo specializzarsi di nuovi rami di ricerca. La superstizione scientifica porta con sé illusioni così ridicole e concezioni così infantili che la stessa superstizione religiosa ne viene nobilitata. Il progresso scientifico ha fatto nascere la credenza e l’aspettazione di un nuovo tipo di Messia, che realizzerà in questa terra il paese di Cuccagna; le forze della natura, senza nessun intervento della fatica umana, ma per opera di meccanismi sempre più perfezionati, daranno alla società in abbondanza tutto il necessario per soddisfare i suoi bisogni e vivere agiatamente. Contro questa infatuazione, i cui pericoli sono evidenti (la superstiziosa fede astratta nella forza taumaturgica dell’uomo, paradossalmente porta ad isterilire le basi stesse di questa stessa forza e a distruggere ogni amore al lavoro concreto e necessario, per fantasticare, come se si fosse fumato una nuova specie di oppio) bisogna combattere con vari mezzi, dei quali il più importante dovrebbe essere una migliore conoscenza delle nozioni scientifiche essenziali, divulgando la scienza per opera di scienziati e di studiosi seri e non più di giornalisti onnisapienti e di autodidatti presuntuosi. In realtà, poiché si aspetta troppo dalla scienza, la si concepisce come una superiore stregoneria, e perciò non si riesce a valutare realisticamente ciò che di concreto la scienza offre". (Quaderno 11 – Paragrafo 39)

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