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La politica della post-verità purtroppo non è una “zingarata”, ma una vera e propria torsione verso una democrazia della chiacchiera, all’interno della quale non riusciamo più a prenderci cura di ciò che il discorso dice, ma ci preoccupiamo solo di continuare a discutere, litigare e contrapporci senza cogliere la valenza del nostro essere al mondo

Nel 1978, il settimanale Il Male usci con una notizia clamorosa: “Ugo Tognazzi è il capo delle BR”, con in copertina una finta foto dell’attore ammanettato e una serie di articoli di spalla, in uno dei quali si spiegava come e perché anche Raimondo Vianello facesse parte del gruppo di comando delle Brigate Rosse. Lo scherzo riuscì talmente bene che vari giornali ripresero la notizia e cosa più importante “Il Male” vendette oltre 100mila copie. La balla, si direbbe oggi, era diventata “virale”.

La cultura di internet, sin dagli albori, è permeata da uno spirito dissacrante e libero: un po’ come agli animatori de “Il Male”, agli utenti di internet piace scherzare e prendere in giro. «lol», sta per laugh out loud (ridere forte) e nel gergo di internet significa che si sta facendo qualcosa per divertimento, per scherzare. Anche il trolling nasce come una forma di divertimento, così come la passione per le notizie palesemente inventate, create apposta per giocare con la credulità degli utenti meno esperti. Oggi esistono veri e propri specialisti delle false notizie: il più conosciuto in Italia è Ermes Maiolica, un giovane metalmeccanico di Terni che in un’intervista a Wired spiega di fare tutto per divertimento e per sfidare l’intelligenza della gente.

Il problema nasce quando le fake news sono create non con l’intento di “lollare” quanto la gente sia capace di bersi le più assurde fandonie, ma con un preciso intento di manipolazione dell’opinione pubblica e costruzione del consenso. La parola 2017 è post-verità e sta ad indicare una condizione culturale nella quale la distinzione tra verità e bugia non è rilevante nell’elaborazione di un giudizio e di un opinione. Le notizie inventate sul web ci sono sempre state e continueranno ad esserci (ed è forse giusto che sia così). La questione è che una fetta degli utenti del web è disposta a dare credito a notizie false per il semplice fatto che queste ultime confermano le proprie idee o peggio i propri pregiudizi. Volendo usare un lessico giornalistico, oggi sempre più persone non hanno interesse (e in alcuni casi i mezzi) a distinguere tra una notizia attendibile e una che sembra non esserlo.

Carlo Brunelli, un giovane sociologo della comunicazione che gestisce il blog Tranelli. Piccole riflessioni sociali sul web italiano, è uno dei pochi studiosi italiani che affronta la questione del trolling (nel gergo di Internet, il troll è un utente, solitamente anonimo, che intralcia il normale svolgimento di una discussione inviando messaggi provocatori, irritanti o fuori tema), delle false notizie e del loro uso “politico”. All’indomani dell’elezione di Trump, ha scritto un post nel quale si spiega che seguendo con attenzione cosa stava accadendo sulla rete si sarebbe potuto prevedere la vittoria del miliardario americano.

Secondo Brunelliun risultato è che quello a cui guardavamo con ammirazione negli scorsi decenni: una rete che potesse rivoluzionare il mondo dando parola a tutti. Eccola qua. Abbiamo tutti parola, abbiamo tutti delle domande, pochissimi hanno delle risposte. Vince chi si inventa la più fantasiosa. E non vale solo quando l’hashtag ci piace perché è positivo. […] Vale sempre, quando ha potenza virale. Se per caso doveste sentirvi un po’ fascisti oggi, se provate rabbia nei confronti del suffragio universale, se preferireste una dittatura illuminata alla democrazia, beh… potrebbe essere un primo passo per capire l’alt-right”.

Piaccia o meno, la democratizzazione del dibattito pubblico permessa dai social media ha come conseguenza che la “credibilità” viene sostituita dalla “viralità”. Siamo giunti al paradosso per il quale un’argomentazione trae la sua autorità dalla diffusione che raggiunge. Può essere utile provare a smontare il meccanismo che porta alla propagazione delle false notizie. Per fare ciò sono necessarie due premesse riguardanti il nesso tra politica e informazione:
La polarizzazione delle opinioni sulla politica e la società: il terreno privilegiato delle false notizie è l’attualità politica e sociale perché le opinioni politiche sono sempre più contrapposte e si tende a ragionare per schieramenti avversi;
Il cambiamento delle strategie informative: sono sempre di più i cittadini che preferiscono diffidare dalle fonti tradizionali (giornali e TV) perché preoccupati di essere manipolati.

Sono molte le dividing opinions che abitano la società italiana: destra-sinistra, le questioni etiche fondamentali, l’immigrazione, la crisi economica. Più l’argomento è polarizzato, più è semplice creare false notizie. Si pensi alla questione dell’accoglienza dei rifugiati: i 30 euro al giorno, gli smartphone costosi, gli alberghi di lusso sono alcune delle notizie false diventate virali negli ultimi mesi. Come è stato possibile? Tutte le persone che avevano pregiudizi negativi sui rifugiati di fronte a una notizia poco credibile o quantomeno bisognosa di una minima verifica hanno preferito credere che fosse vera, facendola circolare e rilanciandola nella propria cerchia di relazioni online, presumibilmente composta di persone che condividono le stesse idee anti-rifugiati.

Un altro elemento da tenere presente, è la dimensione economica della post-verità. Il Clickbait (o clickbaiting, traducibile “esca da click”) è un termine che indica un contenuto web il cui scopo è quello di attirare il maggior numero d’internauti, avendo come scopo principale quello di aumentare le visite a un sito per generare rendite pubblicitarie online. Come spiega sempre Brunelli in un articolo per La Repubblica, si è diffuso un sottobosco di siti, per lo più gestiti da anonimi (i bufalari “veri” sono persone un po’ narcisiste che non creerebbero mai una notizia fake senza firmarla), che producono a getto continuo notizie false alle quali vengono assegnati hashtag che danno una buona diffusione (si va sul sicuro con la retorica anti-sistema o con i semplici #sapevatelo, #pugnisultavolo, #mobbasta, #fategirare). Poi ci vuole qualcuno che “spammi” la news nei gruppi dove si possono trovare persone interessate a vedere confermati i propri pregiudizi e il gioco è fatto: ci si è assicurati qualche centinaio di migliaia di condivisioni su Facebook, cosa che assicura un buon corrispettivo economico.

Insomma la post-verità è una manifestazione complessa che chiama in causa almeno tre questioni: (i) il tradimento dello spirito originario di internet, (ii) la naturale tendenza degli esseri umani a cercare conferme delle proprie convinzioni, (iii) la polarizzazione del discorso pubblico.

Per chiudere, vale la pena affiancare al buon Ugo Tognazzi che di fronte alle critiche ricevute per essersi prestato allo scherzo de “Il Male” rivendicava il suo “diritto al cazzeggio”, le parole scritte da Martin Heidegger sulla “chiacchiera” nel suo libro Essere e tempo. “L’infondatezza della chiacchiera non è un impedimento per la sua diffusione pubblica, bensì un fattore che la favorisce. La chiacchiera è la possibilità di comprendere tutto senza alcuna appropriazione preliminare della cosa da comprendere. La chiacchiera garantisce già in partenza dal pericolo di fallire in questa appropriazione. La chiacchiera, che è alla portata di tutti, non solo esime dal compito di una comprensione genuina, ma diffonde una comprensione indifferente, per la quale non esiste più nulla di inaccessibile”.

La politica della post-verità purtroppo non è una “zingarata”, ma una vera e propria torsione verso una democrazia della chiacchiera, all’interno della quale non riusciamo più a prenderci cura di ciò che il discorso dice, ma ci preoccupiamo solo di continuare a discutere, litigare e contrapporci senza cogliere la valenza del nostro essere al mondo.

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