Di questi tempi sembra che i nodi legati alla scienza, alla tecnica ed al loro ruolo nella società siano molto frequentati. Ne parlano politici, filosofi, teologi, spesso anche degli scienziati-divi-mediatici che a vario titolo intervengono sulle pagine dei giornali o in televisione.

Anche se spesso ne danno una valutazione morale opposta, tutte le persone sopra indicate sembrano essere d’accordo su un assunto fondamentale: la scienza è in un periodo di sviluppo impetuoso che sta provocando un aumento esponenziale delle nostre capacità di controllo sul mondo.
Niente di più falso. La scienza è in un periodo di profonda crisi e ripensamento delle sue stesse basi conoscitive, l’odierno sviluppo tecnologico (che alza una fitta cortina fumogena sulla crisi del pensiero scientifico) rappresenta l’onda lunga di principi scientifici stabiliti più di cinquanta anni fa e la supposta potentissima biotecnologia è, da un punto di vista di ricadute pratiche, un malinconico fallimento (il numero di nuove medicine disponibili sul mercato è rapidamente crollato nel corso degli ultimi tre decenni, Overington e colleghi hanno valutato che il 76% delle nuove medicine sviluppate tra il 1989 ed il 2003 hanno come bersaglio ricettori (molecole proteiche a cui il farmaco si lega per esercitare la sua azione nell’organismo) già noti prima dello sviluppo della moderna biologia molecolare, e soltanto per il 6% possiamo affermare siano stati prodotti su acquisizioni scientifiche sviluppate negli ultimi trenta anni, per quelle mancanti semplicemente non abbiamo la seppur pallida idea di come e perché funzionino). Discorso analogo vale per i continui insuccessi degli OGM in agricoltura, per il totale fallimento della terapia genica o delle cellule staminali.
Ora queste cose non sono scritte nel blog di qualche comico, ce le diciamo in continuazione nei corridoi dei congressi tanto che un po’ ci siamo anche stufati, l’ articolo prima citato si trova in una delle più prestigiose riviste scientifiche di tutto il mondo (Nature) ed altri ancora se ne trovano anche di molto violentemente espliciti (vedi l’articolo 3 della lista delle referenze che si intitola proprio ‘Why most published research findings are false’ e anche lui compare in una rivista prestigiosissima (Plos Medicine)). Gli scienziati, soprattutto i fisici che sono epistemologicamente molto più smaliziati dei biologi e soprattutto di questi tempi godono del grande vantaggio per la loro libertà di pensiero di essere al di fuori del circo mediatico, stanno già discutendo di come uscire dalla palude e all’orizzonte si prospettano eccitanti rivoluzioni che lasciano intravedere qualcosa di completamente nuovo rispetto a ciò a cui eravamo abituati a considerare ‘pensiero scientifico’ (per una trattazione divulgativa dei nuovi orizzonti della ricerca teorica in fisica si consiglia il chiarissimo anche per il profano ‘Un Universo Diverso’ scritto dal premio Nobel della fisica Robert Laughlin ed edito in Italia da Codice).
Purtroppo la scienza costa e in tutto il mondo sviluppato (con la notevole eccezione del Giappone che sembra avere una politica molto più lungimirante) si è innestato un meccanismo perverso che funziona più o meno cosi’ : Tu scienziato racconti che sei sul punto di fare delle scoperte sensazionali che cureranno un sacco di malattie, la gente ti crede grazie al credito che la scienza ha acquisito a causa delle indubbie comodità tecnologiche che ci circondano, le azioni delle aziende biotech crescono a dismisura col solo annuncio, in cambio tu hai i denari per la ricerca che però devi sempre raccontare che ha un fine eminentemente pratico e perciò deve essere di breve respiro e riconfermare il già noto.
Far seguire all’annuncio la medicina reale chiaramente è assolutamente inutile (oltre che come abbiamo visto paurosamente complicato) anzi, sotto certi aspetti, anche dannoso, in quanto ci si dovrebbe confrontare con possibili effetti collaterali,con la non totale soddisfazione delle aspettative, con casi dubbi e situazioni in cui il rapporto rischio/beneficio non e’ chiarissimo e questo una folla idolatra di una supposta infallibilità di questa religione senza amore in cui qualcuno sta tentando di trasformare quel delicato e schietto artigianato artistico che è  il mestiere scientifico, non lo sopporterebbe. Il vertiginoso aumento di cause di ‘mal-practice’ contro i medici sta proprio ad indicare la presenza di questa idolatria che non ammette neanche lontanamente il possibile fallimento della tecnoscienza (che come qualsiasi attività umana ha degli evidenti limiti).
Ecco allora perche’ parlarne, e quindi la necessità, anzi l’urgenza, di un discorso il più possibile chiaro sullo stato della scienza attuale partendo dal suo interno, dalla fabbrica della conoscenza scientifica, avremmo allora modo di apprezzare il fatto che la parola ‘crisi’ sia di quelle che i latini chiamavano ‘vox media’ cioe’ con connotazioni che possono essere sia positive che negative. E’ possibile parlare di scienza e farsi capire senza ricorrere all’odiosa divulgazione che già nella parola implica lo sversamento acritico dall’alto, su un volgo assetato, di un liquido rigeneratore ? Sicuramente si’ se della scienza si riconosce il suo carattere culturale, cioè il far parte di un organismo di saperi più vasto che la comprende e quindi se ne descriva la situazione attraverso una serie di codici linguistici comuni al corpo più vasto della cultura. D’altronde esiste il giornalismo sportivo e le chiacchere da bar e certo per parlare di calcio non dobbiamo essere bravi a giocare come Totti o Kakà, ma chiaramente ne possiamo apprezzare le gesta atletiche. Questo è un pochino quello che proverò a fare qui sul nostro sito, iniziando con un tema apparentemente molto astruso…ma solo apparentemente.
 POSIZIONE DI PRINCIPIO
 
Da qualche anno ormai la frontiera della “teoria” (e quindi quell’eccitante frontiera che separa il noto dal completamente ignoto che è il terreno di gioco di ogni vero scienziato) si e’ spostata dall’ investigazione delle proprietà fondamentali della materia ai cosiddetti fenomeni mesoscopici , quelli cioe’ che si situano fra le particelle elementari e le galassie e dove di fatto avvengono la quasi totalità delle cose che ci interessano davvero tipo la vita o il riscaldamento globale. Nel corso degli ultimo quattro secoli la fisica aveva invece raggiunto il massimo della sua apparente potenza e capacità di spiegare il mondo solo agli ‘estremi’ di questo spettro: nell’immensamente piccolo e nell’immensamente grande. In mezzo c’era un territorio preda di scienze considerate ‘minori’ o ‘meno fondamentali’ che tradotto dal fisichese significa ‘..tutta roba che con uno sforzo di sistematizzazione di principi già noti andremo via via a capire..’ ma l’idea diffusa (e quindi filtrata nel mondo della cultura dai cosiddetti umanisti) era che le leggi fondamentali fossero già note. Questa nozione di avere già in mano la ‘teoria del tutto’ continuava (ed ahimè ancora continua in alcuni irriducibili che però assomigliano sempre di più a quei soldati nipponici che venivano ritrovati dopo decenni convinti che la guerra non fosse finita in qualche giungla tropicale) a proliferare solo mettendo sotto il tappeto una montagna di effetti inspiegabili e di risultanze sperimentali (anche molto comuni come l’esistenza del ghiaccio tanto per fare un esempio).
Ad un certo punto il tappeto aveva dei bozzi cosi’ rilevati che ci si è dovuti arrendere all’evidenza per non continuare ad inciampare rovinosamente. I giornali di fisica teorica, verso l’inizio degli anni ’80 hanno cominciato a parlare sempre meno di particelle elementari e sempre piu’ di ripiegamento nello spazio di proteine o di misteriose proprietà dell’acqua , insomma di tutte quelle cose che trenta anni prima sarebbero state liquidate con evidente disprezzo come ‘. . è soltanto chimica’ .
Questo passaggio di interesse ha fatto si’ che si trovassero ad interagire sugli stessi temi scienziati di differente estrazione, con diverse mentalità ed idiosincrasie: la mutata situazione ha permesso di mettere velocemente alla prova diversi modi di pensare e la relativa efficacia di differenti strumenti metodologici. Le paradossali conseguenze del mescolarsi improvviso di diversissime tradizioni di pensiero (tra l’altro i biologi continuano spesso a covare una malcelata invidia per i fisici scimmiottando un modo di pensare da fisico ottocentesco che li rende molto più ‘positivisti’ dei fisici odierni) ma di questo spero avrò modo di parlare in altre occasioni, qui vorrei iniziare da una cosa di cui ho informazioni di prima mano, essendo l’ argomento del mio lavoro di ricerca da vari anni 4,5,6,7 e cioe’ dell’ uso di misure di complessità derivate dalla dinamica non-lineare (fisica teorica) per lo studio di sistemi biologici.
Misurare la complessità di un fenomeno può avere una grande importanza in quanto un’ affidabile misura di complessità ci fornisce una stima del numero di ‘attori’ coinvolti in un certo fenomeno (traduzione: quante equazioni occorrono per prevederne gli esiti, quanti geni sono coinvolti nel determinare un certo carattere, quante proteine interagiscono in una determinata via metabolica). Il caso ha poi un interesse sociologico/linguistico come vedremo nel seguito.
Un equivoco da sgombrare immediatamente e’ che per studiare i fenomeni complessi ci sia bisogno di una matematica complessa (o quantomeno sofisticata) quando invece e’ proprio vero il contrario. Un altro punto da tenere a mente (strettamente legato al primo) e’ come per lo studio dei sistemi complessi il ragionamento intuitivo sui dati empirici ed il buonsenso siano armi molto piu’ affilate del rigore matematico. La qual cosa è un colpo niente male alla cultura togata accademica imperante nelle nostre Università ed un bel ritorno alle caratteristiche primigenie della scienza sperimentale, non a caso immaginata per la prima volta in ambito francescano (Roger Bacon, William of Occam, Duns Scoto). Nel seguito provero’ a dimostrare questa posizione di principio. 
 
INTANTO CAPIAMOCI
 
I medici si occupano di sistemi complessi (esseri umani malati), i biologi si occupano di sistemi complessi (esseri viventi), i fisici si fregiano del vanto di studiare sistemi semplici e fondamentali ciònonostante e’ opinione corrente (soprattutto tra i fisici) che le facoltà di medicina e biologia siano “facili” e che per fare della buona fisica si debba essere in media piu’ “intelligenti” che per fare della buona biologia o per essere un buon medico. D’ altro canto quando un fisico cerca di studiare un sistema complesso (la dinamica molecolare di una proteina o l’ analisi di un segnale elettroencefalografico) afferma in buona fede di stare “portando al massimo grado di sofisticazione” gli strumenti che di solito utilizza per studiare sistemi piu’ semplici. Qui c’è puzza di paradosso: per raggiungere un risultato in una scienza considerata “facile” uno scienziato abituato a fare cose “difficili” deve ulteriormente sforzarsi ? E per di più per raggiungere dei risultati che gli scienziati di “serie B” di solito considerano piuttosto modesti ?
Intanto capiamoci, l’ uso di “facile” e “difficile” in questo contesto non ha alcun senso e il primo pensiero di Pascal sull ‘esprit de geometrie’ e l’ ‘esprit de finesse’ ha risolto brillantemente il caso secoli fa differenziando le diverse abilità dell’ intelletto umano e chiarendo che non esiste alcuna possibilità di privilegiare un’ abilità rispetto ad un’altra ed altresi’ chiarendo come gli errori della matematica siano altrettanto gravi di quelli del senso comune quando si fa la scienza del reale e non degli enti astratti. Pascal non a caso si occupava già di quelle scienze del mesoscopico con cui abbiamo iniziato (è stato il fondatore dell’idrodinamica oltre che del calcolo delle probabilità) ed era per questo sbeffeggiato da quei furboni di ‘razionalisti’ che pensavano che a capire le orbite dei pianeti si sarebbe capito tutto, molto triste,…ma non divaghiamo.
E’ chiaro insomma che attorno al facile e difficile c’e’ qualcosa che non va e abbiamo bisogno di un po’ di chiarezza , a partire proprio dai fondamenti, e cioe’ dall’ uso del linguaggio, anche delle parole apparentemente innocue come “spiegare” o “variabilità”. Proverò, dalla mia condizione di meticcio, (mi occupo un po’ di biologia ed un po’ di fisica utilizzando la statistica) di dare delle definizioni operative utili per una proficua fusione delle razze.
 
SPIEGARE SIGNIFICA COMPRIMERE
 
Leggiamo un articolo di genetica molecolare, lo stile e’ qualcosa del tipo “ ..l’ enzima ERK1 aumenta l’espressione dei geni della cascata di attivazione PBF3 che quindi provocano la risposta apoptotica delle cellule MBK3. Se pero’ noi inseriamo il plasmide con ERK1 mutato, notiamo che invece che PBF3 e’ la via che passa per PPT1 ad essere interessata..”. Insomma il quadro e’ quello di un intricato, ma tutto sommato piuttosto banale nella sua essenza, gioco ad incastro tra agenti molecolari il cui scopo e’ provocare l’azione di altri agenti molecolari che a loro volta provocano….alla fine del gioco si dovrebbe osservare un effetto macroscopico del tipo “il paziente si ammala” o, piu’ semplicemente, “la cellula muore”. L’attenzione e’ comunque posta essenzialmente nella descrizione minuziosa degli eventi e, con buona pace dei fisici, sapere se lo stesso lavoro lo fa PBF3 o PPT1 conta, eccome ! Non esiste insomma alcuna tensione verso dei principi generali o verso dei livelli di spiegazione che non siano un insieme di legami meccanici fra gli elementi per cui la variazione di un primo elemento di una catena si ripercuote su tutti gli altri.
 
Leggiamo ora un articolo di meccanica statistica (fisica teorica attuale insomma), potrebbe suonare piu’ o meno cosi’ “ ..una misura di sincronizzazione stocastica e’ il coefficiente di diffusione crociata:
 Dj = ½ d/dt [ ( <F2 (t) ><F(t) >2 ) ]. Questa quantità descrive la dispersione nel tempo di un iniziale differenza di fase F tra elementi vicini che, nel caso di gruppi di oscillatori di van der Pol….”. Be’, a parte l’uso delle formule notiamo immediatamente una grande differenza col primo pezzo, qui l’enfasi e’ sulla generalizzazione, sul rimando verso elementi astratti “..gli oscillatori di van der Pol..” e, con buona pace dei biologi, se si tratta di atomi uniti a formare una molecola, celle convettive atmosferiche o neuroni la differenza e’ inesistente, ma veramente inesistente. Ci si immagina insomma un mondo di relazioni organizzative indipendente dagli oggetti che lo compongono, è il cosiddetto paradigma emergente del ‘network’ (che troviamo citato a iosa da tutti gli intellettuali che si vogliono definire veramente moderni e quindi ahimè anche dal sottoscritto) e segna il distacco netto della fisica teorica attuale dal predominio delle ‘leggi fondamentali’ da ricercare in pezzi sempre più piccoli di materia per andare invece a scovare nuovi principi immateriali dall’organizzazione dei sistemi complessi ( I lettori interessati ad approfondire l’argomento possono leggere il popolarissimo libro di Albert Laszlo Barabasi edito da Einaudi ed intitolato ‘Link’, sottotitolo: la nuova scienza delle reti, nonostante qualche ingenuità è una lettura molto stimolante). 
 
Entrambi gli stili del biologo positivista e del fisico ‘teosofico’ sono inadeguati per comprendere i fenomeni mesoscopici nel senso brutale di “fare uno straccio di previsione operativa su un sistema reale” , il primo perche’ mi racconta con dovizia di particolari cosa e’ successo a posteriori, il secondo perche’, guarda un po’, il caso reale non e’ mai quello di cui conosco (in linea di principio) tutto. Il primo stile si avvicina troppo al soggetto, il secondo se ne allontana troppo…e allora ?
Allora dobbiamo via, via, con umiltà avvicinarci ed allontanarci dal quadro cercando di trovare quel punto in cui la tela non e’ né una massa indistinta di punti colorati né una macchia luminosa su un muro. Prendiamo allora esempio dagli ingegneri che, anche se ci raccontano che hanno progettato una barca vela o un aeroplano utilizzando le equazioni di Navier-Stokes, in realtà sono andati in una galleria del vento ed hanno osservato la distribuzione di coriandoli lanciati nella galleria e deviati dal prototipo (operazione che a me sembra molto più affascinante che risolvere equazioni, ma ancora evidentemente dobbiamo pagare il nostro scotto alla cultura togata). Chiediamoci allora come gli ingegneri abbiano risolto il problema di trasmettere delle immagini televisive spendendo il meno possibile e quindi cercando di inviare solo l’informazione essenziale. Se ci pensiamo bene la trasmissione via satellite è una meravigliosa metafora della complessità e più in generale di cosa intendiamo per spiegazione: spiegare significa comprimere (la qual cosa sembra un gioco di parole ma non lo è). Scopo del gioco della spiegazione è trovare un ‘riassunto’ dell’informazione disponibile che consenta ad un ricevente di ricostruire l’informazione iniziale a partire da una sua versione compressa e chiaramente applicare questo riassunto con successo a vari casi particolari. Per fare questo sfruttiamo la ridondanza, cioè il fatto che in qualsiasi pezzo di mondo esistono dei legami fra gli elementi che ci permettono di inferire dei particolari non esperiti direttamente. Per capirci immaginiamo di vedere avvicinarci a noi il muso di una macchina, immediatamente ricostruiamo la scena completa dell’intera automobile che si approssima, la correlazione fra muso di una macchina ed il resto è necessaria o quasi, un frontale di automobile che si sposta da solo ci inquieterebbe non poco. Questo è il principio di funzionamento alla base di oggetti ormai di uso comune come il programma di compressione che ‘zippa’ i files e li ‘dezippa’. Questo programma sfrutta il fatto che i files portano con sé , nella loro forma estesa, delle informazioni ridondanti (sempre uguali fra loro) che possono quindi essere facilmente ricostruite. Il caso della trasmissione di immagini è ancora più intuitivo: chiunque di noi abbia osservato da vicino i successivi fotogrammi di una pellicola si è accorto che le cose che cambiano da un fotogramma al successivo sono veramente minime e che gran parte della scena rimane immutata. La compressione delle informazioni in questo caso non è altro che trovare il sistema di separare la ‘parte regolare e quindi ricostruibile’ dell’informazione dalla parte variabile e quindi, nel caso delle immagini spedite via satellite preoccuparsi di inviare esplicitamente solo la parte variabile e far si’ che il resto venga ricostruito da regole fisse (la spiegazione). Ecco allora che la complessità di un fenomeno deriva spontaneamente: maggiore la proporzione di ridondanza (parte regolare comprimibile) meno complesso è il fenomeno, al limite potremmo far fare il calcolo a ‘WinZip’ (cosa che alcuni fisici romani hanno effettivamente fatto con successo con le sequenze di DNA: dr.ssa Elisabetta Pizzi, comunicazione personale). Insieme alla misura di complessità, in punta di piedi, appare allora anche un abbozzo di spiegazione, che potrebbe essere qualcosa come :
 “…La varianza relativa all’ espressione dei 4567 geni analizzati può essere spiegata da 6 componenti principali con un’ accuratezza del 64%. L’ osservazione dei coefficienti di correlazione dei singoli geni con le componenti estratte ci consente di affermare..”.
 
Qui lo stile e’ un ibrido dei primi due, il biologico ed il fisico, ogni singolo gene conta e di tutti si va a studiare la correlazione con le componenti estratte (vista del biologo) , ma il dettaglio e’ complementato dalla generalizzazione in pochi modi di attività, costituiti dalle componenti principali (vista del fisico) ed attraverso una strategia assolutamente indipendente dal caso in analisi (geni ma potrebbero anche essere piante o rilevamenti atmosferici).
Qui la spiegazione non e’ ne’ una descrizione puntigliosa ne’ una generalizzazione aprioristica, la spiegazione emerge spontaneamente dal fatto che si e’ potuto comprimere, grazie alle correlazioni empiriche presenti nei dati, un’informazione inizialmente dispersa in 4567 elementi in soli 6 oggetti. La decisione se accontentarsi o meno di un’accuratezza del 64% è chiaramente opinabile, alcuni potrebbero ritenerla una scelta condivisibile, altri no, ma su questo non ci si può, ed aggiungerei, non ci si deve, far niente. Questo è l’aspetto etico del fare scientifico, io propongo una mia visione dei dati, di cui metto in evidenza i limiti e le scelte estetiche , è solo ed esclusivamente una questione di stile, io posso essere un artista che preferisce fornire pochi tratti di una scena oppure imbarcarmi in un complesso affresco, posso preferire il rischio di fornire particolari poco verosimili (e quindi andare oltre a quel 64%, inserire altre componenti nel quadro con il rischio di metter dentro cose che sono li’ solo per caso) oppure preferisco prendere il rischio di perdermi dei dettagli importanti ma star sicuro su quel poco che affermo. Qui possiamo capire perché la scienza sia effettivamente artigianato e cosa spinge ad amarla di una amore disperato. Capiamo anche perché il pubblico dovrebbe essere educato a capire le basi estetiche della scienza e quindi a farsi una propria idea di cio’ che la scienza produce piuttosto che bersi acriticamente i suoi contenuti spacciati per immutabili ( e cosi’ implicitamente decretando la morte della scienza stessa che vive proprio perché fallibile.
 
RIGORE ED INTUIZIONE
 
 Ecco allora emergere un quadro che mescola rigore ed intuizione, esattamente come predetto da Blaise Pascal nel 1630 nel suo splendido primo pensiero:
.
 
Differenza fra spirito matematico ed intuizione. Nell’ uno i principi sono evidenti, ma lontani dall’ uso comune, di modo che si ha difficoltà a volgere la mente verso di essi per mancanza di abitudine; ma, per poco che la si volga ad essi, i principi si scorgono appieno; e solo una mente del tutto guasta puo’ ragionare malamente su dei principi cosi’ evidenti, che e’ quasi impossibile che sfuggano.
Nello spirito d’intuizione, i principi sono invece nell’ uso comune e davanti agli occhi di tutti. Non occorre volger la testa o farsi violenza; basta avere buona vista, ma buona davvero, perche’ i principi sono cosi’ delicati e in cosi’ gran numero, che e’ quasi impossibile che non ne sfugga qualcuno. Ora, l’omissione anche di un solo principio induce in errore; e cosi’ occorre una vista molto limpida per scorgerli tutti, e una mente retta per non ragionare in modo errato su dei principi conosciuti.
Tutti gli spiriti matematici sarebbero dunque intuitivi se avessero la vista buona, perche’ essi non ragionano falsamente sui principi che conoscono; e lo spirito d’intuizione sarebbe spirito matematico, se potesse volgere lo sguardo verso i principi insoliti della matematica.
Cio’ che dunque impedisce che determinati spiriti intuitivi siano matematici, è che sono del tutto incapaci a volgersi verso i principi della matematica; ma cio’ che rende non intuititvi taluni spiriti matematici è che essi non vedono ciò che sta davanti a loro e che, essendo abituati ai principi puri e tangibili della matematica, e non a ragionare che dopo aver ben visti e maneggiati questi principi, si perdono entro le cose dell’ intuizione, dove i principi non si lasciano trattare allo stesso modo. Infatti esse si vedono a mala pena, si sentono piuttosto che non si vedano; ed e’ molto difficile farle sentire a chi non le sente da sé; sono cose talmente tenui e tanto numerose, che occorre una sensibilità molto delicata e precisa per sentirle e per giudicare giustamente e proprio secondo tale sensibilità, senza poterle, per la maggior parte dei casi, dimostrare con ordine, come in matematica, perche’ non se ne possiedono allo stesso modo i principi; e volerlo fare sarebbe un’ impresa senza fine. Bisogna cogliere la cosa tutta d’un colpo, in un solo sguardo, e non per un progredire del ragionamento, almeno fino ad un certo punto. E cosi’ e’ raro che gli spiriti matematici siano intuitivi, e gli spiriti intuitivi matematici, a causa del fatto che i matematici vogliono trattare matematicamente queste cose dell’ intuizione, e si rendono ridicoli, volendo cominciare con le definizioni ed in seguito con i principi, metodo fuor di luogo in questo tipo di ragionamenti. Non che lo spirito non agisca cosi’, ma lo fa in modo tacito, naturale e senz’arte, perche’ l’espressione di esse eccede le capacità umane, e solo pochi ne possiedono la sensibilità.
E gli spiriti d’intuizione, al contrario, essendo cosi’ abituati a giudicare a colpo d’occhio, sono tanto meravigliati quando si trovano di fronte a proposizioni di cui non comprendono nulla, e alla cui comprensione si arriva solo attraverso definizioni tanto sterili, che essi non sono affatto abituati a esaminare cosi’ minutamente, da allontanarsene e disgustarsene.
Ma gli spiriti falsi non sono mai né intuitivi né matematici. I matematici, che sono soltanto tali, hanno dunque una mente retta, purchè si spieghino loro bene tutte le cose con definizioni e principi; altrimenti sono falsi e insopportabili, perché non sanno ragionare rettamente che su principi ben chiariti.
E gli spiriti intuitivi che sono soltanto tali non possono avere la pazienza di scendere fino ai primi principi delle cose speculative e d’immaginazione, che non hanno mai incontrato nel mondo, e che sono del tutto fuori dell’ uso comune”
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