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rnTutti noi ci siamo trovati qualche volta nella vita nell’antipatica situazione di aspettare da molto tempo un autobus alla fermata e non saper decidersi se continuare ad aspettare: “è così tanto che non passa che tra un attimo sarà qui” oppure incamminarsi a piedi o magari decidere di prendere un taxi: “se dopo tutto questo tempo ancora non è passato, vuol dire che è successo qualcosa di grave, e magari quando arriva è così pieno che neanche riesco a montare’. L’aspetto frustrante del “dilemma dell’autobus in ritardo” è che la stessa evidenza sperimentale: l’autobus sta tardando ammette come risposte ugualmente razionali due comportamenti opposti e mutuamente escludenti, in quanto se ci allontaniamo troppo dalla fermata non riusciremmo a tornare indietro a prenderlo.

Allo stesso modo, aspettare oltre un certo tempo renderebbe inutile avviarsi a piedi perché saremmo comunque in ritardo all’appuntamento. La metodologia statistica ha studiato a lungo la natura profonda di questo dilemma e ne ha scoperto dei lati sicuramente interessanti tra cui il fatto che, nelle vicinanze di questi ‘punti critici’, diversi tipi di ‘stimatori’ (i.e. criteri di scelta) cominciano ad oscillare in maniera drammatica, il che corrisponde al nostro trepido allontanarci dalla fermata guardandoci di continuo alle spalle pronti a scattare verso la fermata qualora vedessimo profilarsi all’orizzonte la sagoma dell’autobus.
Recentemente lo statistico americano Stuart Baker (S.Baker et al. (2010) J. Clinical Oncology 28 : 3215-3218) ha fatto riferimento a questa imbarazzante situazione nel caso dei “cambiamenti di paradigma” che si stanno profilando all’orizzonte della ricerca sul cancro. Fino ad ora il paradigma dominante nella ricerca sul cancro è stato quello della mutazione somatica detto SMT (Somatic Mutation Theory), in poche parole secondo l’SMT il cancro sarebbe la conseguenza dell’accumularsi di mutazioni sul DNA di una cellula somatica (somatiche sono tutte le cellule del nostro corpo con esclusione di quelle deputate alla riproduzione) che ne provocherebbero il comportamento abnorme di una riproduzione veloce e senza limiti che produce appunto il tumore (nel folklore si tratta della famosa ‘cellula che impazzisce’). L’accettazione da parte della comunità scientifica del paradigma SMT ha avuto come conseguenza il proliferare di studi meccanicistici sulla funzione e la regolazione di un numero enorme di geni la cui conseguenza sarebbe il prodursi di una crescita incontrollata delle cellule. Questi studi hanno portato alla scoperta di un numero elevato di possibili ‘bersagli terapeutici’ (geni mutati nelle cellule cancerose ma non nelle normali) ma nessuna delle molecole che ‘bloccavano’ l’attività di questi geni ha mostrato efficacia nella guarigione dei tumori. Di fatto tutti quanti concordano nell’ammettere che, almeno nel caso dei tumori solidi, (per le leucemie ed i linfomi il discorso è differente) l’allungamento della speranza di vita dei pazienti osservato negli ultimi trenta anni è un artefatto dovuto al miglioramento delle tecniche diagnostiche che permettono di evidenziare in modo più precoce la malattia e non all’efficacia delle cure farmacologiche.
In questi ultimi cinque anni si è affacciato al mondo scientifico un paradigma concorrente detto TOFT, acronimo per Tissue Organization Field Theory. Secondo il paradigma TOFT il tumore non è una malattia ‘delle cellule’ ma dei tessuti, insomma la crescita illimitata sarebbe non la conseguenza di un deragliamento della singola cellula dalla crescita ‘limitata e ordinata’ ma una caratteristica dell’intero tessuto (composto da milioni di cellule), un problema sociale delle relazioni fra cellule, legato alla variazione del campo morfogenetico, dell’insieme cioè di influenze ormonali, fisiche ed anche di strutturazione geometrica dei tessuti (il che spiegherebbe tra l’altro il comportamento differente dei tumori del sangue che non hanno una geometria caratteristica) e non un problema individuale della cellula. Se avessero ragione i sostenitori della TOFT, il lavoro di ricerca volto a scovare mutazioni di sempre nuovi geni ‘tumorali’ semplicemente non avrebbe senso in quanto si tratterebbe di ‘effetti’ e non di ‘cause’ e quindi assolutamente irrilevanti in una prospettiva terapeutica che invece dovrebbe rivolgersi allo studio delle caratteristiche del campo morfogenetico e tentare la via di una riprogrammazione generale dello spazio del tessuto verso una direzione differenziativa (produzione di tessuto buono a crescita limitata). Piuttosto che uccidere le ‘cellule cattive’, che tanto già si sa che prima o poi si riformeranno se in quella zona ‘le cattive influenze’ permangono, si tratterebbe di rendere ‘favorevoli’ le influenze del campo morfogenetico .
Entrambe le teorie si confrontano a suon di ‘evidenze scientifiche’ che sono imponenti da entrambe le parti e riempiono le riviste specialistiche. La posizione SMT è quella che, nel caso dell’autobus, corrisponde alla scelta “aspettiamo ancora che prima o poi l’autobus (il bersaglio efficace) arriva”, il paradigma TOFT corrisponde all’incamminarsi a piedi (intraprendere una strada totalmente nuova porta con sé un necessario periodo di scienza di base prima di poter formulare applicazioni terapeutiche da testare in clinica). Questo caso è a mio parere del massimo interesse per le sue conseguenze generali e per le domande che ci pone sull’ aria dei tempi. Cercherò di offrire alcuni spunti alla riflessione, partendo da questioni interne allo stato della scienza alla fine dell’era moderna per poi allargarmi allo stato delle nostre società.
Intanto la prima ovvia reazione è un gesto di stizza: scusate ma dov’è il problema? Capisco il caso dell’autobus dove sono solo io a dover decidere, ma in un mondo dove il numero di ricercatori è fin troppo elevato, che problema ci sarebbe a dividersi su due fronti secondo le proprie inclinazioni: alcuni rimarranno ad aspettare l’autobus (SMT), altri si incammineranno (TOFT) e buona fortuna. In effetti questa sarebbe una soluzione assolutamente ragionevole e, a ben vedere, completamente in linea con quella che siamo usi chiamare ‘società aperta’ o ‘liberale’, la libertà di ricerca, di stampa e di opinione dovrebbe servire proprio a permettere questa flessibilità. Le cose però non stanno per nulla così: la presenza di quella che chiamiamo “comunità scientifica” in una situazione di enorme fabbisogno di finanziamenti dovuta alla sua crescita smisurata degli ultimi decenni con la conseguente gerarchizzazione delle istituzioni scientifiche (Università più prestigiose, riviste più influenti) unita alla naturale inerzia di legioni d-i scienziati iperspecializzati che si troverebbero a mal partito a dover cambiare la loro visione del mondo rende questa ragionevole ipotesi irta di difficoltà. Se a questo aggiungiamo che l’alternativa non è solo confinata al campo della scienza ma investe interessi enormi di industria farmaceutica e sistema sanitario, senza pensare a tutto ciò che questo comporta in termini di false (o vere) speranze per i pazienti, capiamo come il caso sia intricatissimo. Insomma, le dimensioni gigantesche e integrate rendono il sistema talmente monolitico da rendere difficile la ‘differenziazione del portafoglio’, un grave sottoprodotto di tutta questa situazione è lo sclerotizzarsi del mondo scientifico in illusorie ‘verità scientifiche’ che sono in realtà posizioni di potere, che vengono difese con le unghie e con i denti, mascherati dall’arrogante sussiego della ‘necessaria razionalità’ di cui sarebbe depositaria la ‘comunità degli scienziati accreditati’.
Qualcosa di molto simile sta avvenendo in differenti campi della scienza ma anche nella decisione della direzione da prendere nelle grandi scelte economiche. Cercare di ‘far girare al meglio il sistema’ perseguendo la crescita (intendendo per crescita il puro e semplice aumento del PIL) corrisponde ad aspettare l’autobus anche se si tratta di un’attesa operosa fatta di razionalizzazioni e cambiamenti anche grossi della struttura economica degli stati. Provare ad immaginare, se non una decrescita, almeno una definizione della ricchezza dei paesi che si sganci dal semplice PIL, corrisponde ad incamminarsi a piedi per una strada che ancora non si conosce. Qui il problema di identificare le due scelte alternative è molto più difficile che nel caso della cancerogenesi: ad esempio un politico o un economista che perori la causa dell’ ‘innovazione’ senza ulteriori specificazioni chiedendo più risorse per la ricerca e l’università a prima vista sembrerebbe uno che ‘si incammina a piedi’. Io sono invece convinto che, nella gran maggioranza dei casi, sia uno che preferisce stare alla fermata, essendo l’ innovazione deputata ai canali classici dell’innovazione niente altro che continuare a credere nel modello precedente di crescita continua di ricchezza.
Si possono immaginare tantissimi esempi di questo tipo, tutti però ci parlano di una crisi che sta facendo venire al pettine l’illusorietà di una serie di miti nati con la modernità, tra cui la possibilità della coesistenza di diversi paradigmi di razionalità. Una arcigna ‘ragione unica e dogmatica’ si sta svelando sotto le apparenze della tolleranza e della società aperta.

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