(In margine al caso Marrazzo)
rnPer carità di Patria. Certamente, nessuno che sia vagamente istruito sulla storia dell’umanità in questa valle di lacrime è all’oscuro di una verità, che la storia del potere è storia di corruzione: corruzione pubblica, quella di chi vende al migliore offerente la pubblica funzione − e i poteri e gli atti che essa impone e consente di compiere−, prostituendo il bene comune;

corruzione privata, quella di chi compie atti (di norma a contenuto sessuale, ma non soltanto) che sono corruttivi non in nome di un’etica religiosa o di una pruderie tartufesca e antimoderna, ma perché espongono oggettivamente chi li compie alla perdita del rispetto di se stesso: perché quando il corpo è venduto (od acquistato) non c’è rispetto né di se stessi né dell’altro; perché quando il corpo perde la sua dignità, questa dignità l’ha già perduta lo spirito, qualunque cosa questo spirito possa significare per ciascuno di noi. Lo spirito, appunto, si è corrotto. Personalmente non ho mai creduto all’interpretazione letterale della censura «lo spirito è forte ma la carne è debole»; al contrario, la carne è forte, debole è lo spirito: e, comunque, la carne è debole quanto e quando lo è lo spirito.rn

 Ma siamo oramai arrivati al punto che la corruzione privata finisce con l’essere legata a doppio filo con quella pubblica.

 La vulgata giornalistica − anche e soprattutto nelle posizioni “equilibrate” − recita ora, invece, che ciò che si deve tutelare è la «serenità» e «responsabilità istituzionale» nello svolgimento delle funzioni pubbliche «che vanno ben al di là delle … privatissime vicende, nelle quali l’opinione pubblica non deve emettere giudizi» (così ad esempio Pierluigi Battista sul Corriere della Sera). Questa sì che è falsa pruderie: ci sono situazioni nelle quali è impossibile distinguere fra corruzione privata e corruzione dei mores civitatis. Allora che avvenga lo scandalo: oportet ut scandala eveniant!

 Perché non si può più distinguere? Non solo perché assieme alla persona singola diviene ricattabile l’istituzione, la funzione ch’ella incarna; ma perché il contesto nel quale quella persona ha precipitato se stessa segnala precisamente che quella persona non ha mai assunto o non ha affatto mantenuto la funzione per il bene comune.

 Non ha percorso le strade di Roma con attenzione solerte al degrado, ma ha partecipato e cercato di utilizzare quel degrado; non ha percorso quadrivi ed angiporti di periferia per comprendere le ragioni della perdizione e cercare di farvisi chinare le istituzioni allo scopo di porre rimedio al peggio, ma ha sguazzato in quel peggio.

 La persona del Presidente della Regione Lazio ci fa compassione; ma ancor più struggente compassione proviamo per questa nostra Italia, e ululiamo alla luna invocando l’anima del nostro Poeta, a proteggerla perché ancóra e sempre «di dolore ostello», non signora di province, ma «bordello».

rn

Per carità di Patria.
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