Mentre, infatti, l’individuazione del prossimo presidente del Consiglio dovrà essere frutto di un accordo tra le coalizioni in grado di fare maggioranza, ciò non sarà affatto necessario per il prossimo capo dello Stato, il quale potrebbe essere eletto anche soltanto con il voto di una minoranza politica, ad esempio PD e Sel più Lista Monti (partiti che assieme non possono formare il Governo, non avendo la maggioranza al Senato).
Come può accadere che si invertano in modo così eclatante le soglie di rappresentanza del premier, che è capo di uno schieramento per definizione “di parte”, con quelle del presidente della Repubblica, che è garante dello Stato intero?
E’ la conseguenza del premio di maggioranza alla Camera, che, ad una coalizione votata soltanto da un italiano su tre, con meno di mezzo punto di vantaggio, assegna oltre duecento deputati, tecnicamente “inutili” (e, dunque, anche dispendiosi) ai fini della formazione del Governo (non trovando la stessa maggioranza al Senato), ma decisivi nella Seduta comune quando si dovrà eleggere il Capo dello Stato. Infatti, una volta riunite assieme Camera e Senato, i parlamentari di PD, Sel e Lista Monti potranno esprimere, da soli, dopo la terza votazione il nuovo Capo dello Stato, proprio per effetto dell’abnorme premio di maggioranza alla Camera che finisce per annullare il gap di differenza in Senato.
Questa deformazione della rappresentanza c’era anche prima della tornata elettorale odierna, ma il bipolarismo ne nascondeva l’effetto perverso. Chi, infatti, tra i due poli vinceva, pur non ricevendo i voti della maggioranza degli italiani, conseguiva comunque la maggioranza assoluta degli eletti in ciascuna delle due Camere (magari di poco al Senato), e così prendeva tutto, a cominciare dalle presidenze delle istituzioni rappresentative. E già questa prassi, ai costituzionalisti più sensibili, era sembrata una forzatura da parte di un sistema elettorale reso “maggioritario” al fine di garantire la governabilità, ma che finiva per ridurre la rappresentatività nell’elettorato anche delle più alte cariche dello Stato. Oggi che il Governo potrà nascere soltanto dall’accordo di almeno due delle coalizioni in grado di fare maggioranza, sarebbe a dir poco irrazionale, e, dunque, incostituzionale, che una soglia di rappresentanza addirittura inferiore a quella necessaria per governare comportasse l’elezione della più alta istituzione repubblicana.
Le contraddizioni del nostro sistema elettorale
Il sorprendente risultato elettorale che ha definitivamente archiviato il bipolarismo, con la presenza in Parlamento di una pluralità di coalizioni con programmi politici anche radicalmente differenti, mette a nudo una grave contraddizione della legge elettorale che porterà – è facile prevedere – a censura di incostituzionalità da parte della Consulta. La contraddizione è la seguente: un premio di maggioranza pensato per garantire la governabilità del Paese, pur fallendo il suo scopo, può essere indebitamente utilizzato per eleggere la massima carica dello Stato, cioè il presidente della Repubblica, supremo garante della Costituzione e, come tale, da votare in Parlamento con il consenso più largo possibile.
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