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In questi giorni molto si discute del problema dell’immagine dell’Italia nel mondo. Il leit motive è che sia stata rovinata da Silvio Berlusconi e che, passato lui, cambierà tutto. Non ci illudiamo. Certo, il “colore” cui il Presidente del Consiglio ci ha abituati non ha aiutato la causa italiana all’estero – che Angela Merkel non abbia il fisico di una velina è noto e non è il caso di rimarcarlo inutilmente. Inoltre, specie nei paesi anglosassoni, è difficile capire come il popolo italiano possa non solo tollerare ma addirittura votare persone il cui comportamento privato non corrisponde alle virtù che ci si aspetta da un personaggio pubblico.

Ma ridurre il tutto a Silvio Berlusconi è francamente semplicistico e scorretto. Il problema è assai più profondo e complesso e certo non si risolverà quando l’Italia avrà un nuovo Presidente del Consiglio. Molti sono i problemi che affliggono l’immagine del nostro paese all’estero, sia di breve che di lungo periodo.
Iniziando con i problemi di corto periodo e con il contingente della politica, l’incapacità dell’opposizione di esprimere un’alternativa è fatto noto e che rende perplessi all’estero quanto il perdurare di Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi.
Vi è poi la sostanziale incapacità (non ultimo per motivi linguistici) della classe politica edamministrativa di coltivare le relazioni internazionali con costanza e serietà: si fissano visite ed incontri internazionali e poi non ci si fa vedere, o lo si fa in modalità mordi e fuggi. Poiché il lavoro serio e continuativo a livello internazionale non paga a livello domestico, viene purtroppo negletto dai più e questo poi ci si ritorce contro, specie quando si cerchi il sostegno internazionale per candidature italiane. Ad esempio, l’(auto)candidatura di Massimo D’Alema a Ministro degli Esteri Europeo è stata silurata dai compagni socialisti europei i quali – in assenza del Segretario Pierluigi Bersani, troppo impegnato in Italia – si sono presi il lusso di ripagare D’Alema per la mancanza di simpatia che lo caratterizza quando, da Ministro degli Esteri, arrivava e ripartiva dalle riunioni senza degnare i colleghi di un saluto.
Vi è poi una variabile storica importante: l’Italia è storicamente percepita come un paese inaffidabile, di cui è meglio non fidarsi, il paese che, sia nella I che nella II Guerra Mondiale, mutò alleanza. Ancora oggi, nonostante che l’Italia ci sia sempre stata nei momenti di difficoltà, resta un alleato utile ma non affidabile sul lungo periodo e tantomeno rilevante, come ben mostra il famoso cable di Ronald Spogli pubblicato su Wikileaks.
Infine, questione ancor più sottile, l’immagine dell’Italia quale paese della Dolce Vita ha lati positivi ma anche molti lati negativi. L’eleganza, lo stile, la creatività italiana sono noti e rispettati nel mondo. Ma – nonostante i tanti esempi positivi, e che ne sono a centinaia – si stenta sempre ad accoppiarli alla produttività, all’efficienza, alla dinamicità. Molti sono gli italiani espatriati che si sono sentiti dire almeno una volta nella vita, “certo non pensavamo che un italiano potesse essere così dinamico e produttivo”, affermazione che vorrebbe essere un complimento per chi la riceve ma che è invece un insulto a tutto quanto il paese ha saputo produrre ed esportare. Quando i nostri leader nazionali danno del traditore a Sergio Marchionne perché temono che sposti la base FIAT negli USA, semplicemente mancano di comprendere che il take over e la rivitalizzazione di Chrysler hanno aiutato l’immagine dell’Italia più di quanto decine di loro abbiano mai fatto.
L’immagine dell’Italia quale belpaese in cui si vive bene ma si fa poco è infatti dura a morire e continua ad essere tramandata e ripetuta dai media e dal cinema. Prendiamo due film recenti di grande successo: Eat, Pray, Love con Julia Roberts e Cars 2: l’immagine italiana che questi film presentano – specie in lingua originale, in cui gli italiani parlano con inglese pesantemente storpiato – è terrificante: in Eat, Pray, Love si fa persino intendere che nelle case italiane non ci sia l’acqua calda per fare il bagno! Essendo stato concesso l’uso del suolo pubblico per le riprese, è possibile che nessuno si sia posto il problema di leggere lo script? Il grande cinema deve servire a promuovere l’immagine di un paese, non a demonizzarlo. In altre parole, per migliorare l’immagine dell’Italia nel mondo sarà necessario uno sforzo collettivo, in profondità e nel lungo periodo.
L’Italia, piccolo paese tra i grandi e grande tra i piccoli, è ancora parte di molti fori internazionali importanti perché alla fine tutti vengono volentieri due giorni nel Bel Paese ed una riunione politica è un’ottima scusa per farlo a spese del (loro) Stato. Illudersi che torneremo ad essere un paese “grande”, “che conta” dopo Berlusconi è pura demagogia. L’Italia non è mai stata un paese grande. Siamo entrati nel Consiglio d’Europa perché i leader di allora (Alcide De Gasperi e Carlo Sforza) seppero con stile ingoiare molti insulti; siamo stati membri fondatori della CECA e della CEE sempre grazie alla lungimiranza di De Gasperi e Sforza che si presero il rischio di imporre la scelta ad un paese assolutamente recalcitrante. Nella NATO gli americani non ci volevano, siamo entrati perché faceva comodo alla Francia, per meglio assicurare la copertura dell’Algeria, allora territorio francese. Abbiamo beneficiato durante la guerra fredda di una situazione di rendita privilegiata grazie alla nostra posizione geopolitica. Ma la festa adesso è finita (dal 1989…) anche se la classe politica stenta a rendersene conto. Qualunque cosa adesso ce la dobbiamo guadagnare, con impegno e fatica e utilizzando le armi a nostra diposizione. Le bellezze del nostro paese, il nostro stile di vita, sono asset strategici che vanno gestiti con sapienza. Se sapremo accompagnarli con uno sforzo collettivo, con un impegno serio e continuativo da parte della classe politica e amministrativa nei fori europei ed internazionali, allora forse potremo ricominciare a vedere la luce.

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