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Negli scorsi giorni, al tepore del camino invernale se ad alcuni sarà capitato di leggere le motivazioni fornite dalla Corte Costituzionale per negare il diritto al matrimonio tra due donne, ad altri sarà stato concesso un po’ del tempo di festa per leggere l’intervista rilasciata dal giudice Antonin Scalia, membro della Corte Suprema USA, sulla natura della Costituzione e sulla funzione interpretativa delle sentenze, specie in materia di aborto e unioni omosessuali.
rnDue scritti molto diversi per provenienza, formalità e autori. Eppure così prossimi per i contenuti espressi e le prospettive accennate.

Alea iacta est… da tempo ormai le istituzioni “giocano” con alcune parti della società sul banco dei temi eticamente sensibili, scaraventando tutte il dado del diritto. Le prime lo assoldano quale bastione di difesa anche della loro identità, le seconde lo brandiscono come testa d’ariete per abbattere quanto nella società viene ritenuto statico, se non stantio.
D’altronde, come tentò di spiegarci già Bobbio, viviamo nella “età dei diritti”; e non v’è chi, nel lavoro, in famiglia, in qualunque comunità o relazione si trovi a partecipare, non rivendichi, sinceramente convinto delle (proprie) ragioni, la titolarità (e quindi la tutela) dei diritti.
Questo ragionamento porta con sé una dose di illogicità/irrazionalità che non è casuale, ma che alcuni (come C. Taylor) hanno provato a far digerire attraverso la storia della modernità occidentale, a partire dall’illuminismo. Allora vi era l’esigenza di costruire un nuovo sistema di potere nel quale non vi fossero più i privilegi di pochi e fosse permesso a tutti, a prescindere dal ceto, di possedere come proprietario i beni della vita a cominciare dalla proprietà delle cose per giungere, come si legge nella Dichiarazione della Virginia del 1776, alla “felicità”.
Proprio su questi diritti di “avere” si è fondata una società rinnovata e fondata sulla libertà di qualunque uomo nessuno escluso e, quindi, sull’eguaglianza di tutti. La radice dei diritti sarebbe così la pretesa del singolo, uguale a tutti gli altri singoli; la realtà quotidiana ci permette di sperimentare che le rivendicazioni non si esauriscono e l’uomo esige sempre più dagli altri, in generale, e in particolare dal soggetto a cui per contratto ci saremmo tutti assoggettati: lo stato.

Proprio su “quanti diritti” sia in grado di riconoscere lo stato senza annullare se stesso come istituzione rappresentativa, pare interessante il parallelo tra le due posizioni citate in premessa che hanno occupato qualche spazio nei nostri quotidiani degli ultimi giorni.
Col rigetto della richiesta di incostituzionalità delle norme civili che vietano il matrimonio tra omosessuali, la Corte Costituzionale ha ancora una volta affermato che l’art. 3 Cost. da un lato prescrive la parità di tutela tra situazioni eguali, dall’altro riconosce la differenza di trattamento tra situazioni diseguali. Proseguendo la Corte ha diffidato da qualsiasi giustificazione evolutiva del testo costituzionale quando questa modifica la norma “in modo tale da includere fenomeni (…) non considerati quando fu emanata”.
In una sintonia curiosa per quanto casuale, il giudice Scalia, da 25 anni membro della Corte Suprema, con una intervista (cfr. www.callawyer.com) ha richiamato l’attenzione sul pericolo che si corre nel dar seguito ad una interpretazione “evoluzionista” della Costituzione USA anche per il solo fatto che potrebbero esserci delle difficoltà serie nel porre dei limiti a questa stessa “evoluzione”, magari pretesa da piccole (ma non per questo meno influenti) minoranze, novelli numi tutelari di “quel che la società già sente, già vive”.
Quale strumento, difatti, potrebbe veicolare in termini democratici la pretesa di alcuni se non vi è una effettiva prova dell’esistenza della volontà (almeno) della maggioranza?
In materia di diritto ad abortire, per esempio, Scalia afferma icasticamente: “You want a right to abortion? There’s nothing in the Constitution about that. But that doesn’t mean you cannot prohibit it. Persuade your fellow citizens it’s a good idea and pass a law”.
La via è chiara: la Costituzione (così come la Corte Costituzionale) non è autorizzata a rendere legale ciò che la legge vieta. Tale “autorizzazione” può essere invece fornita dalla legge, qualora con contrasti proprio con la Costituzione. Chi ritiene vi sia un bene per la società non adeguatamente riconosciuto non deve far altro che promuoverne una tutela normativa.
Una Costituzione tratteggia le coordinate del “giusto” all’interno di un singolo ordinamento fondandosi su valori che presuppone e che non è in grado di auto-giustificare, ma che non può tradire senza divenire così inutile. Ecco perché se i valori sono mutati nella società, come molti dati paiono riportare, le nuove coordinate per la comunità politica non possono non essere veicolate tramite la procedura democratica.
In sunto, taluno ritiene che, per un “riconoscimento in comune del bene” della società, le unioni omosessuali debbano essere considerate alla stregua del matrimonio così come riconosciuto dall’art. 29 Cost.? Come indica anche Scalia, si proceda con un disegno di legge che equipari le due situazioni. Il resto spetterà al sempre imperfetto regime maggioritario. Garanzia labile, ma che pure oggi gode di una maggiore autorevolezza rispetto al ricorso di singoli privati ad un giudice (seppure quello “delle leggi”).
Proprio sulla base di questo principio negli Stati Uniti possiamo trovare oggi comunità che hanno deciso di proibire l’interruzione volontaria di gravidanza, altri invece che la ammettono ed altri ancora che la finanziano tramite la spesa pubblica.

Il governo del popolo è inevitabilmente debole per qualità di fronte alle ideologie, perché la storia insegna che può essere facilmente persuaso.
Il governo del popolo è comunque forte per quantità di fronte alle ideologie, perché la persuasione deve convincere almeno la maggioranza dei suoi membri e non solo qualche giudice, magari illuminato.
Per certi aspetti è una delle regole del gioco democratico che permette di riconoscere, anche al tepore di un camino invernale, le differenza tra una legge, che dovrebbe essere generale e astratta, e una sentenza, per sua natura vincolata al caso particolare. Chi tenta di confondere le idee non pare riconosca l’identità delle nostre istituzioni e tenta vanamente di sovvertire, seppur in buona fede, la natura del bene comune quale riconoscimento, in comune, del bene.

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