Le “rivoluzioni” delle masse popolari nei Paesi arabi del Maghreb – e più in generale in tutta l’area del Mediterraneo – per quanto possano essere un segnale auspicabile dell’avvio di un processo di riforma del mondo arabo, ad oggi non hanno ancora fornito indicazioni concrete in relazione ai temi cruciali della libertà religiosa e dei diritti fondamentali della persona: questioni da cui dipende in massima parte il dispotismo politico ed il sottosviluppo socio-economico di quei Paesi, come affermava il rapporto della Commissione Esteri UE già nel 1990.
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Nel corso della presentazione al Meeting di Comunione e Liberazione del 2007 del libro “Dio salvi la ragione”, volume collettaneo opera del santo padre Benedetto XVI e dei filosofi Gluksmann, Nusseibeh, Weiler, Spaemann e Farouq, quest’ultimo, docente di Scienze islamiche all’Università copta-cattolica del Cairo, ebbe modo di affermare che tutto il mondo musulmano è malato di fondamentalismo, ovvero è ammorbato da una visione ideologica e irrazionale della religione imposta e perpetuata da pseudo intellettuali, da giornali e politicanti in malafede.
Da questo punto di vista, il vistoso ritardo dell’evoluzione della maggior parte delle società arabe nel senso dell’acquisizione della consapevolezza della centralità e della dignità di ogni persona umana, al di là di discriminazioni etniche, culturali o religiose, si presenta come il vero tallone d’Achille della disputa mediorientale.
Sicuramente manca la piena consapevolezza nel mondo arabo che ad oggi solamente il sistema giuridico dello stato di diritto garantisce la libera estrinsecazione della persona umana.
Due sono in sintesi i problemi di fondo con cui deve confrontarsi il mondo politico-istituzionale islamico, come afferma il politologo ed islamista tedesco Reinhard Schulze, e cioè l’immedesimazione esclusiva dell’identità culturale e politica del mondo islamico nella dimensione religiosa e la mancata realizzazione, nel processo storico della modernità, di una evoluzione in termini di separazione tra nozione di legge civile e legge religiosa.
Padre Maurice Borrmans, uno dei più autorevoli e accreditati studiosi vaticani del mondo islamico, che ha seguito per decenni l’evoluzione politica-istituzionale del mondo arabo alla luce dei precetti coranici ed è stato uno degli artefici dell’apertura di fronti di dialogo interreligioso sulle sponde del Mediterraneo ribadisce come uno dei limiti congeniti del pensiero islamico sia la difficoltà di procedere nei confronti del mondo contemporaneo con senso di autocritica.
L’Islam, a differenza del messaggio di libera adesione al precetto evangelico cristiano, è congiuntamente religione, vita di quaggiù e Stato (din, dunya, dawla) e dunque tende sempre ad aver necessità di una struttura egemone, sia sociale e politca nel tempo della storia per corrispondere al suo progetto di universale sottomissione dell’uomo alla volontà di Dio.
Gli esempi e i precedenti monitorati di assoluta latitanza dei Paesi islamici nel perseguimento di politiche di sviluppo dei principi dello Stato di diritto e di rispetto del modello democratico sono numerosissimi.
Se prendiamo in considerazione brevemente alcuni esempi di applicazione del principio di libertà di professione di fede religiosa e rispetto dei diritti umani in generale nei Paesi arabi islamici osserviamo una palese inadeguatezza e immaturità istituzionale nel perseguimento degli stessi.

Vediamo la Lega Araba. Si consideri che la Lega araba, costituita nel 1945, solamente nel 1994 ha redatto una Carta dei diritti dell’uomo, adottata con risoluzione 5437 dal Consiglio, ed entrata in vigore solamente nel 2008, con un ritardo che denuncia la gravissima insensibilità di questi Paesi sul tema dei diritti della persona umana.
Il testo è permeato da una costante ambiguità in tutti i 53 articoli che lo compongono. Il testo, oltretutto, discrimina nei diritti garantiti fra chi ha cittadinanza e chi non l’ha. E non parliamo di soli diritti politici, ma anche sociali, economici e culturali.
La Carta araba permette restrizioni e limitazioni dei diritti umani per ragioni economiche, di sicurezza nazionale, di ordine pubblico in aperto contrasto con la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.
La Carta araba non definisce i requisiti per la dichiarazione dello stato di emergenza.
Con questa entrata in vigore, la Carta ha dato luogo a numerose reazioni a causa del controverso articolo 2/c che equipara il sionismo al razzismo. In questo, va ricordato, la Carta Araba contravviene alla risoluzione 46/86 dell’Assemblea dell’ONU, che respinge l’idea che il sionismo sia una forma di razzismo e di discriminazione.
Questa distinzione operata dalla Carta Araba sui diritti dell’uomo è inquietante perché garantisce soltanto ai figli con cittadinanza il diritto all’istruzione primaria gratuita obbligatoria. Solo chi ha cittadinanza ha diritto alla libertà di riunione
Quasi d’obbligo la discriminazione tra uomo e donna. Infatti, mentre l’articolo 3 della Carta declama il principio di non discriminazione sessuale, il capoverso “c” dello stesso articolo enuncia un principio che lascia parecchio dubitare dell’impianto dello stesso articolo: “L’uomo e la donna sono uguali sul piano della dignità umana, dei diritti e dei doveri nel quadro della discriminazione positiva istituita a profitto della donna dalla Sharia islamica e le altre leggi divine e le legislazioni e gli strumenti internazionali”.
Il meccanismo di controllo giurisdizionale per la tutela dei diritti è infine assolutamente assente: è pacifico che un diritto è tale solo se è prevista espressa tutela attraverso la magistratura, e tale lacuna nella Carta araba dei diritti umani è motivo di gravi perplessità.

Consideriamo il Marocco, paese che dai parametri di valutazione della Commissione UE pare essere quello più attento e sensibile agli standard in materia di diritti civili. Certamente è importante notare come il Marocco abbia inserito nelle quattro Costituzioni che si sono succedute dal 1970 ad oggi i principi dello Stato di diritto.Tuttavia queste iniziative illuminate risultano fortemente mitigate all’atto pratico.In occasione della cerimonia di insediamento del Consiglio Consultivo per i diritti umani il sovrano Hassan II ha affermato, testualmente, che “se qualcuno in Marocco manca di rispetto alla religione musulmana…questo non è un atto che possa essere considerato un crimine (e dunque perseguibile per legge NDR) ma sarebbe piuttosto il gesto di un folle che dovrebbe essere sottoposto a cure specialistiche ancor prima che gli venga chiesto di pentirsi di ciò che ha fatto”. Lo stesso rivoluzionario codice del diritto di famiglia marocchino, adottato nel 2004 in sostituzione della cosiddetta Moudawana, cioè la raccolta di leggi consuetudinarie secolari mutuate dalla Shari’a, si ispira esplicitamente al Corano, al Profeta Maometto e in materia di successioni segue i precetti della Shari’a. In buona sostanza: come se gli articoli del nostro diritto di famiglia citassero esplicitamente passi delle Sacre Scritture o del Diritto Canonico quali fonti giuridiche di cognizione e produzione

Passiamo alla Turchia, paese che sin dal lontano 1965 ha presentato istanza di adesione all’UE, allora Comunità europea
Sovente la Turchia viene indicata come esempio, prova provata della possibilità di realizzazione di un processo di laica democratizzazione delle istituzioni politiche pur essendo Paese di religione musulmana.
In verità, l’analisi del dettato costituzionale e della legislazione in materia di libertà religiosa in questo Paese evidenzia la profonda contraddizione con i principi della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, e più in generale con la libertà di manifestazione della libertà religiosa. Si consideri in primo luogo che è fatto divieto di manifestazione in pubblico del proprio credo religioso, le celebrazioni liturgiche cristiane possono svolgersi solamente nei luoghi di culto. Ancor più grave è il divieto di proselitismo, di diffusione del proprio credo religioso, che si traduce nell’impossbilità per le autorità cattoliche di promuovere seminari, scuole e corsi di istruzione per i giovani, di partecipare come si può ben immaginare alla vita pubblica del Paese. Infine, il mancato riconoscimento della personalità giuridica alla Chiesa cattolica impedisce ipso facto alla comunità religiosa di poter avere una propria sfera di autonomia gestionale, organizzativa e propositiva. Una situazione questa che ha fatto affermare al Nunzio Apostolico in Turchia, dunque un’autorità istituzionale, che nel Paese turco vi sia una cristianofobia non differente dagli altri Paesi islamici. Peraltro si noti che la Turchia è al primo posto nella graduatoria stilata dal Consiglio d’Europa per quanto concerne la violazione dei diritti di libertà, in particolare per quanto concerne il diritto di manifestazione di pensiero e religione.

Infine in Egitto, l’art.2 della Costituzione ad oggi afferma che l’islam è la religione dello stato, l’arabo la sua lingua ufficiale, la shari`a è la fonte principale della sua legislazione. Le modifiche apportate dalla Giunta militare provvisoria di Governo che è succeduta al Presidente Mubarak in questa fase politica appaiono assolutamente marginali e poco incisive ai fini dell’avvio di una matura riflessione sui diritti fondamentali della persona nei Paesi arabi. Non è casuale che solo il movimento fondamentalista dei Fratelli Musulmani abbia approvato tali riforme.

Questa impostazione illiberale delle Costituzioni arabe determina a cascata, di fatto, la legittimazione delle più svariate forme di discriminazione, diseguaglianza, violazione delle libertà fondamentali della persona umana. Il controllo sociale sulla famiglia come sulla comunità che la religione islamica determina nella vita quotidiana per chi è maghrebino, siriano, arabo, provoca una piena legittimazione dell’aspetto più odioso della religione, ovverosia la discriminazione, la messa al bando, l’arresto e la emarginazione sociale per chi si converta ad altri culti come per chi pratichi fedi distinte dall’islam.

Non c’è dunque autentica libertà della persona umana, secondo il modello politico-istituzionale occidentale, senza che l’ordinamento stesso garantisca la libertà delle istituzioni religiose di operare ed esistere, come afferma il Prof. Finocchiaro, uno dei massimi esperti di diritto ecclesiastico.
Come efficacemente ha notato Paolo Mieli dalle colonne del Corriere della Sera, una strisciante forma di relativismo culturale, che sfocia in una malintesa e perniciosa interpretazione del multiculturalismo, presuppone che la legge, gli ordinamenti giuridici possano affermarsi indipendentemente dal presupposto della centralità della persona umana. Così avviene in larga parte del mondo arabo, ove il rifiuto culturale di confrontarsi con il nodo centrale dei diritti della persona umana, sarà sempre più spesso causa, e non effetto, della profonda destabilizzazione dell’area mediorientale.
Va da sé che questa esigenza di sottomissione unilaterale del fedele alla fede islamica fa a pugni con il principio di libertà della persona umana, con il principio di libera accettazione del messaggio evangelico contenuto nel Cristianesimo, e pone le basi per quella politicizzazione esasperata della società religiosa islamica assolutamente incompatibile con il monito di Gesù Cristo “a Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio”. La celebre lettera a Diogneto ci rammenta che il cristiano opera nel mondo ma non è del mondo, e dunque non ha la pretesa di sottomettere il proprio simile pur per una visione teologica di fede.
Poche considerazioni per dimostrare, se mai fosse stato necessario, quanto la consapevolezza e difesa delle proprie radici culturali sia elemento fondamentale, conditio sine qua non per l’avvio di ogni dialogo interculturale o interreligioso nel segno del primato della libertà della persona umana.

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