La recente pubblicazione dei risultati di un’indagine relativa ai redditi dell’anno 2005 compiuta dall’Istat su un campione di circa 21.500 famiglie (che insieme rappresentano oltre 54.000 individui), costituisce una base interessante di analisi sulle condizioni delle famiglie italiane, sulla disuguaglianza della distribuzione dei redditi nel Paese e sulle condizioni del disagio e dell’esclusione sociale.

Accanto a tale rilevazione, infatti, l’Istituto Nazionale di Statistica ha rilevato anche una serie di informazioni che consentono di cogliere lo stato di “deprivazione” delle famiglie (si tratta di indicatori relativi al ritardo nei pagamenti, all’indebitamento, alle difficoltà ad arrivare a fine mese e a sostenere il carico finanziario per le necessità quotidiane).

Per ciò che riguarda la distribuzione dei redditi, l’indagine ha messo in luce il progressivo approfondirsi di forti asimmetrie e differenze: tra tipologie familiari, tra regioni, tra famiglie con percettori di redditi dipendenti e autonomi: nel 2005 il reddito mediano delle famiglie italiane è stato di poco meno di 1.900 euro mensili, mentre quello delle famiglie di anziani soli scendeva sino a poco più di 900 euro mensili e le famiglie con figli minori, nel 50% dei casi, superavano di poco i 2.000 euro mensili, un valore che diminuisce nel caso di famiglie con un solo genitore.

Le famiglie i cui redditi provengono da lavoro dipendente mostrano una distribuzione marcatamente più asimmetrica di quelle il cui reddito proviene da un lavoro autonomo.

Se si osserva ancora l’indice di concentrazione calcolato su tali distribuzioni, esso assume valori ancora elevati (con valori maggiori assunti da Campania, Calabria e Sicilia), soprattutto in relazione alle analoghe misure calcolate negli altri paesi europei: una disuguaglianza fortemente influenza dal persistente divario Nord-Sud esistente nel Paese.

Dal punto di vista delle differenze territoriali infatti i dati registrano che le famiglie che vivono al Sud il reddito mediano è pari al 70% del reddito delle famiglie che vivono al Nord e il reddito più basso è quello delle famiglie siciliane (16.658 euro annue).

Il reddito di cui si parla è quello che, secondo la definizione armonizzata utilizzata a livello europeo è “pari alla somma dei redditi da lavoro dipendente e autonomo, di quelli da capitale reale e finanziario, delle pensioni e degli altri trasferimenti pubblici e privati ricevuti dalle famiglie, al netto del prelievo tributario e contributivo e di eventuali imposte patrimoniali”.

Per quanto concerne la seconda parte dell’indagine, relativa al disagio percepito, essa rivela che la diffusa sensazione di “impoverimento”, già ampiamente manifesta nel 2005, si protrae anche nel 2006: il 14,6% delle famiglie italiane dichiara di “arrivare con molta difficoltà alla fine del mese” (mentre quelle meridionali sono più del 20% ) e la tipologia familiare che “avverte meno il disagio” è quella relativa alla coppia senza figli.

La nota di commento ai dati è molto ricca ed articolata e merita sia una lettura attenta quanto una comparazione con altre indagini analoghe, quali ad esempio quella condotta dalla Banca d’Italia, ma tuttavia alcuni “commenti a caldo sono possibili”.

Una prima considerazione è quella che viene fuori dalla percezione della generale restrizione delle disponibilità delle famiglie che non riescono più a sostenere stili di vita che solo uno o due anni precedenti riuscivano a praticare, e ciò riguarda la capacità di far fronte a spese improvvise, la sostenibilità delle spese mediche e farmaceutiche, la capacità di far fronte alle spese relative ai servizi essenziali (luce, gas, acqua): è presumibile che a fronte di tendenze al rialzo dei costi delle materie prime e dell’energia e del generale rincaro dei prezzi, tale fragilità delle famiglie tenderà ad accentuarsi in mancanza di un’adeguata politica dei redditi.

Una seconda considerazione riguarda il forte e persistente divario territoriale, unito alla forte disuguaglianza distributiva, conferma il processo di indebolimento delle economie meridionali che, in mancanza di effettivi modelli di sviluppo locale basato su innovazione, imprenditorialità e valorizzazione delle risorse umane, collasseranno sempre più, rendendo più grave il declino economico dell’intero Paese.

Una terza ed ultima considerazione deriva dalla constatazione che le famiglie con figli sono le tipologie con maggiore rischio di impoverimento, così come le famiglie con anziani: ciò chiama in causa la necessità di proseguire e sviluppare con maggiore vigore misure integrate (sociali e fiscali insieme) – per certi versi già presenti nell’ultima Finanziaria – a sostegno di chi sceglie di investire nel futuro dell’Italia attraverso la scelta di “fare famiglia”.

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rnPer maggiori approfondimenti sull’indagine Istat, clicca qui

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