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Sempre più spesso si sente parlare della maternità come di un “handicap” sotto vari punti di vista. Le statistiche ci dicono che fare un figlio rende “poveri” non solo le donne single con bambini, ma anche le famiglie, che non possono più permettersi di arrivare a fine mese, sommersi dalle spese per pannolini, pappe, scuole, baby sitter e così via. Avere un bambino per la donna è anche estremamente nocivo per la sua carriera, al punto che sempre più donne decidono di fare un figlio in età avanzata, quando la loro carriera non è più a rischio, e se “eroicamente” decidono di averne più di uno, nella maggior parte dei casi devono rinunciare alla carriera o lasciare il lavoro per potersi prendere cura di loro.

Ma la maternità di una donna che lavora è un male anche per il datore di lavoro, che deve rinunciare ad una dipendente per tutto il periodo della maternità obbligatoria se non di più. Ancora, si sente sempre più spesso parlare di donne madri soggette a crisi depressive post-parto o a forti situazioni di stress dovute allo stravolgimento della vita che comporta la maternità, al punto da uccidere i propri figli e a volte anche suicidarsi.

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Ultimamente, però, non si parla più “solo” dei problemi, economici, sociali, psicologici, della maternità, ma anche dei problemi che rappresentano i figli stessi nella vita delle persone. Si dice, infatti, che oltre a problemi economici, i figli comportanto la rinuncia alla vita di coppia (e magari anche a quella sessuale); che non fanno dormire la notte, sia quando sono piccoli, perché stanno sempre male, sia quando crescono, perché diventano adolescenti e adulti irresponsabili; che fanno perdere le amicizie, perché con un figlio non si ha più il tempo per lo svago e il divertimento; che, addirittura, i figli non sono sostenibili per l’ambiente, perché ogni nuovo nato consuma 9.441 tonnellate di anidride carbonica, per cui sarebbe meglio adottarli, magari già un po’ cresciuti, piuttosto che farli noi direttamente.
Insomma, i mass media, le istituzioni, il mondo del lavoro, probabilmente anche i genitori stessi nel parlare dei loro figli agli altri, presentano la maternità come qualcosa di negativo e mai di positivo.
Raramente si sente dire di che cosa un bambino dona ai suoi genitori con la sua nascita, di come dia senso alla loro vita, di come ravvivi e renda più solida la coppia. Nessuno ti racconta mai dell’emozione che giorno dopo giorno dà il fatto di vedere tuo figlio che apprende le cose che tu gli insegni, o del fatto che non si esce più con gli amici (almeno con quelli che non hanno figli), perché dopo una giornata di lavoro siamo noi a sentire il bisogno di passare del tempo con i nostri figli. Ancora più raramente si parla della gioia che si prova nel ricevere un sorriso da tuo figlio, o un bacio, un abbraccio o semplicemente la richiesta di essere coccolati e consolati.
Il problema, insomma, è che la maternità e i figli nella nostra società sono visti sempre più spesso come una “malattia”, una cosa da prevenire e curare laddove è possibile, e mai come un valore, un dono per l’individuo e per la società, qualcosa che rende vermante “felici”, anche se non ce ne accorgiamo. La felicità, come ormai hanno riconosciuto persino gli economisti, non si consegue, infatti, solo con il benessere economico, né è il frutto di una percezione soggettiva di ciò che mi dà piacere, come quando acquisto la macchina che desidero o vedo in tv la mia fiction preferita. La felicità, quella vera e duratura, è invece qualcosa che si costruisce attraverso il rafforzamento dei valori imprenscindibili di una società. La libertà, la democrazia, la famiglia, l’amore, l’amicizia spesso non danno felicità percepita quotidianamente, ma pensate a cosa sarebbe la nostra vita e il mondo se questi valori non esistessero più. La stessa cosa accade per la maternità. Quante donne rimpiangono da vecchie di non aver avuto figli o di averne avuti pochi. E quante volte ci siamo impegnati di più nelle cose che facciamo o nel promuovere i nostri ideali per cercare di lasciare un mondo migliore ai nostri figli o alle generazioni future.
Allo stesso tempo, così come valori quali l’amore, l’amicizia, la libertà e la democrazia sono beni relazionali, cioè beni che si creano e si rafforzano se vengono condivisi e scambiati reciprocamente con altri, lo stesso vale per la maternità. Avere un figlio non è un fatto solo privato, un problema o un desiderio di una donna o di una coppia, ma un valore sociale, un bene relazionale, che si rafforza e si valorizza solo se è condiviso, accettato e reciprocato dagli altri.
Se la “festa della mamma”, che si celebra tutti gli anni in questo periodo, non consistesse solo nei figli che festeggiano le proprie madri con un regalino o una torta, ma diventasse la festa della società che celebra la maternità in quanto valore sociale imprescindibile, forse questo sarebbe un primo passo per smettere finalmente di parlarne come di un male o di un handicap per la donna e per iniziare a considerarla invece come un bene comune.
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