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Che in Italia siano sempre di più le famiglie “vulnerabili” è un’idea che ci viene confermata non solo dalle analisi di diverse organizzazioni – dalla Caritas alla Banca d’Italia all’Unione Europea – ma anche dal senso comune. Il concetto di vulnerabilità non si riferisce soltanto alla dimensione economica della vita familiare, ma comprende in sé diverse dimensioni. Cerchiamo di capire in che senso possiamo parlare di vulnerabilità e quali sono i cambiamenti sociali che fanno diffondere la vulnerabilità tra le famiglie italiane.

Per comprendere meglio questi meccanismi sociali proviamo a confrontare la situazione di una famiglia tipo vissuta tra gli anni ’45 e ’75 (i cosiddetti 30 gloriosi) con una a noi contemporanea.
Nelle generazioni che ci hanno preceduto l’organizzazione familiare era basata su una netta divisioni di ruoli, dove l’uomo con il lavoro si occupava di procurare un reddito per sé e per la famiglia e la donna si occupava della cura della casa e dei familiari. L’unica fonte di sostentamento della famiglia era quindi il lavoro di un solo componente (il cosiddetto bread-winner), un lavoro a tempo pieno che sarebbe stato presumibilmente lo stesso per tutta la vita. In una società organizzata in questo modo, i rischi di cadere in povertà erano pochi e ben definiti; essi erano legati alla perdita del lavoro da parte del bread-winner che sarebbe potuta accadere sostanzialmente per tre motivi: malattia, vecchiaia, morte. La società aveva quindi individuato, attraverso le assicurazioni obbligatorie, il modo migliore per prevenire e affrontare questi rischi assicurando un reddito alla famiglia: una pensione di invalidità in caso di malattia del padre che lavorava ; una pensione di reversibilità in caso di morte di questo componente; una pensione di anzianità nel caso in cui il lavoratore fosse arrivato alla vecchiaia, divenendo quindi inabile al lavoro (e questo non era così scontato data l’aspettativa di vita di molto inferiore. La protezione e l’integrazione sociale si basavano quindi su tre istituzioni fondamentali: la famiglia, il mercato del lavoro, lo stato sociale.

Oggi queste tre grandi istituzioni, per motivi diversi, entrano in crisi e non riescono più ad assicurare la protezione dai rischi di povertà; è nello spazio lasciato vuoto da queste tre istituzioni che si trova la vulnerabilità, e i rischi sociali – che prima erano pochi e prevedibili – si moltiplicano e si diffondono. La vulnerabilità è quindi una situazione di incertezza, descritta da un equilibrio fragile nel quale qualsiasi evento imprevisto può portare una famiglia a cadere in povertà.

Le famiglie oggi sono esposte a molti più rischi rispetto alle famiglie del passato.
Innanzitutto il lavoro, e con esso la certezza del reddito, è stata l’istituzione che più ha cambiato fisionomia. La precarietà e la frammentazione del mercato del lavoro hanno minato alla base la sua capacità di creare stabilità. Questo accade anche perché il mercato del lavoro non può più legarsi al modello del bread-winner; la crisi del valore della famiglia, la maggiore istruzione e le diverse aspirazioni delle donne ma anche le dinamiche salariali – che hanno in qualche modo forzato le donne a collocarsi sul mercato del lavoro per assicurare alla famiglia uno stile di vita dignitoso – hanno modificato fortemente l’organizzazione familiare verso un modello dual-worker.
Infine, di fronte a questi cambiamenti, i sistemi di protezione sociale si sono rivelati semplicemente inutili ed obsoleti, capaci di proteggere solo quella (ristretta) parte della popolazione che ha già un lavoro stabile , incapaci invece di riformarsi per affrontare i nuovi rischi.

Ecco allora che a seguito di queste trasformazioni la vita quotidiana di una famiglia contemporanea è diventata “normalmente insicura”. L’insicurezza è diventato un dato ordinario: non si possono affrontare gli eventi normali della vita senza esporsi a dei rischi. Avere un lavoro non garantisce sicurezza e per questo sposarsi può essere molto rischioso se entrambi i partner non lavorano così da poter essere l’uno il paracadute dell’altro; avere dei figli può far piombare una famiglia nella povertà se uno dei genitori deve smettere di lavorare o se il reddito non è sufficiente a sostenere il nuovo figlio; la malattia di un familiare può sovraccaricare la famiglia che non può contare su altri aiuti.
Questa è la vulnerabilità: la cronicizzazione dell’incertezza.

Come affrontare dunque la vulnerabilità? Sicuramente le famiglie vanno aiutate. Se è vero (ma è vero?) che la globalizzazione impone questa organizzazione dell’economia e del mercato del lavoro, allora devono essere le politiche pubbliche a fornire alle famiglie quella rete di sicurezza che può prevenire la povertà. Innanzitutto occorre sostenere economicamente le famiglie affinché l’arrivo di un nuovo figlio non comporti un peggioramento delle condizioni di vita; ma diventa anche fondamentale che la famiglia possa avere a disposizione una rete di servizi che la supportino quando si verificano quei (normali) avvenimenti che cambiano gli equilibri dell’organizzazione familiare (la nascita di un figlio, la malattia di un parente, l’età anziana di un nonno) .

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