L’emergenza rifiuti in Campania occupa spesso in questi giorni le prime pagine dei giornali, ad evidenziare la volontà del nuovo governo di sciogliere in fretta un nodo già troppo intricato. Essa coinvolge, del resto, la salute di intere popolazioni e la vivibilità del territorio di una splendida area del nostro paese, ma anche la possibilità di una convivenza civile decente: un elemento determinante per una politica dell’ambiente e del territorio.

Non intendiamo affrontare la delicata questione delle linee d’azione e dello stile prescelti per far fronte alle difficoltà di questi giorni, ma solo richiamare alcune questioni di fondo, che stanno a monte dell’emergenza stessa e vanno tenute presente nell’affrontarla. Non si tratta, infatti, soltanto di smaltire una grande quantità di rifiuti pregressi, per ripristinare un meccanismo gestionale di per sé adeguato (purché supportato da sufficiente decisione). Al contrario: la stessa emergenza rivela l’inadeguatezza di tale meccanismo, che la riproporrebbe in tempi neppure troppo lunghi e non solo in Campania in assenza di serie scelte politiche di cambiamento. Un serio confronto con la questione rifiuti esige interventi strutturali, assai più ampi di quanto delineato dalla maggior parte degli osservatori.
 Il primo problema è quello della modalità di gestione: privilegiare lo smaltimento in discarica (come si fa purtroppo ancora in ampie aree del nostro paese) è certamente una scelta perdente, che rende solo questione di tempo la saturazione degli spazi individuati. Anche un ricorso massiccio agli inceneritori, d’altra parte, pone parecchi problemi, legati tra l’altro alla preoccupazione per la salubrità delle emissioni. Né esse svaniscono semplicemente ridefinendoli come termovalorizzatori; tra l’altro l’energia prodotta è economicamente conveniente solo se ampiamente sussidiata col denaro pubblico ed è comunque solo una frazione di quella incorporata nei materiali portati a combustione. Certo, vi sono componenti dei rifiuti per le quali gli inceneritori appaiono a tutt’oggi un’opzione vincente – benché altre ne inizino ad emergere, laddove ci si pone l’obiettivo di “zero rifiuti” – ma è impensabile affidare ad essi la totalità degli scarti di una società dei consumi.
Chi voglia affrontare la questione rifiuti in una prospettiva non solo emergenziale non può che pensare una seria politica della raccolta differenziata, qual è stata avviata in numerose regioni del Nord, ma non solo (si pensi, per la stessa Campania alla provincia di Salerno). Nelle sue versioni più esigenti – centrate sulla raccolta porta a porta, più che sul conferimento in cassonetti – essa consente di rivoluzionare completamente le prospettive di gestione. Mentre riduce le quantità destinate allo smaltimento terminale, essa mette a disposizione ampie quantità di materiali ancora relativamente pregiati, che un opportuno trattamento rende utilizzabili per il processo produttivo.
Certo, realizzare tale passaggio non è facile: si tratta di diffondere una cultura del rifiuto, che sa riconoscervi non solo “monnezza”, ma una realtà che – opportunamente gestita – è ancora dotata di valore, anche sul piano economico. Sul piano pratico, poi, esso esige una trasformazione dei comportamenti dei consumatori, ma anche la costruzione di filiere per un’adeguata valorizzazione economica di quanto raccolto (raccogliere senza riciclare non ha senso).
E tuttavia neppure questo basta: il problema fondamentale è quello di una forma economica in cui la quantità dei rifiuti è in costante crescita; sui tempi lunghi neppure la differenziata più spinta può farvi fronte ed occorre invertire tale trend. Si tratta di mettere in discussione una cultura dello spreco e dell’usa e getta nei consumi personali e negli stili di vita, ma è in gioco soprattutto una questione di progettazione, che sfida il mondo della ricerca come quello dell’impresa. Si tratta, cioè, di progettare prodotti diversi: prodotti a vita per quanto possibile lunga; prodotti suscettibili di aggiornamento, in presenza di novità tecnologiche; prodotti pensati per il riuso delle componenti e/o il riciclaggio dei materiali; prodotti con quantità limitate di imballaggi.
Può apparire un orizzonte troppo ampio, ma solo così si può guardare oltre l’emergenza, ricercando una forma di vita in cui ciò che oggi diciamo rifiuto sia “risorsa”, “materia prima secondaria”. Una forma di vita in cui la convivenza civile e la dinamica dell’economia non vadano a scapito del contesto ambientale ed umano, ma in una positiva co-evoluzione dinamica.
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