Sono i vizi o le virtù a mandare avanti il mercato? Il tema periodicamente ritorna nelle riflessioni alimentate da nuovi spezzoni di attualità. Smith con la famosa metafora della mano invisibile osserva come la somma degli autointeressi individuali viene poi mirabilmente trasformata in un risultato socialmente utile (almeno in termini di benessere per i consumatori) attraverso i meccanismi della concorrenza e del mercato.

Quella che era più che altro una geniale intuizione su alcuni meccanismi provvidenziali della “natura” in economia è stata poi trasformata in un’affermazione sull’inutilità delle virtù e dei valori. Più direttamente su questa linea Mandeville con la nota favola delle api affermava l’inutilità e addirittura la nocività delle virtù. Keynes faceva eco in un famoso passo nel quale dichiarava con rammarico nel 1931 che per almeno altri cento anni avremmo dovuto fare buon viso a cattivo gioco fingendo che le virtù fossero vizi e i vizi virtù, perché i vizi (usura, avarizia) sono utili per l’economia mentre le virtù no.rn

Gli sviluppi recenti della teoria economica convalidati da esperimenti di laboratorio e le vicende della crisi finanziaria globale ci dicono che la situazione è cambiata: indubitabile che l’autointeresse resti sempre una molla fondamentale per il progresso economico ma i vizi possono distruggere l’intera economia mentre alcuni valori fondamentali (fiducia interpersonale e nelle istituzioni) sono in realtà l’architrave del sistema di mercato e altre virtù (gratuità, dono, qualità delle relazioni) sono input fondamentali della fertilità economica.

La crisi finanziaria ci insegna che l’avidità spinta all’estremo e alimentata in istituzioni finanziarie grandi e complesse attraverso meccanismi d’incentivo mal costruiti che separano rendimento da rischi per manager e traders porta all’autodistruzione dell’impresa stessa e a un contagio che destabilizza l’intero sistema economico. Il momento più acuto della crisi, nel quale la fiducia tra le banche scende ai minimi storici paralizzando il mercato interbancario e i risparmiatori di alcune banche perdono la fiducia andando a ritirare i loro risparmi agli sportelli, ci fa capire che senza fiducia (nelle banche, nella moneta) il sistema non può sopravvivere.

L’importanza della fiducia nelle transazioni tra individui era in realtà nota da tempo. Tutte le relazioni interpersonali in economia si realizzano in un contesto di informazioni incomplete (non sappiamo mai fino in fondo chi abbiamo davanti) e di incompletezza dei contratti (non possiamo garantirci da comportamenti scorretti calcolando e contrattualizzando tutte le evenienze possibili). Pertanto se la fiducia è più elevata siamo più produttivi. Solo elevati livelli di fiducia consentono in alcuni paesi di mettere gratuitamente a disposizione dei cittadini delle biciclette per circolare nel centro storico nonostante il rischio di furto delle stesse. Di vendere giornali in una cassetta aperta ai bordi di una strada dove chi passa lascia quanto dovuto e ritira la propria copia. O a due studiosi di capirsi al volo via internet, condividere il frutto della loro ricerca e pubblicare un lavoro congiunto senza mai essersi incontrati di persona.

Le attività sempre più complesse sviluppate nelle imprese richiedono un lavoro di gruppo nel quale competenze non sovrapponibili di esperti di settore (diritto, economia, tecnologia, marketing) devono poter interagire tra loro per poter ottenere un risultato soddisfacente. Senza un atteggiamento pro-sociale e la fiducia che induce i partecipanti a condividere quello che sanno con gli altri senza temere il rischio di essere abusati per questo l’impresa non è in grado di raggiungere livelli di produttività soddisfacenti.

Infine, il dono in economia è tutt’altro che un pensiero di anime belle. George Akerlof vince il premio nobel dimostrando come in azienda relazioni interpersonali dove si va oltre uno spersonalizzante rapporto tra mansioni creano relazioni di qualità tra colleghi, fiducia e valore economico. E’ l’asimmetria del dono che supera la giustizia commutativa di breve periodo (faccio solamente quanto dovuto) che (nel linguaggio sportivo) fa spogliatoio e crea quel clima aziendale che, a parità di capitali e di condizioni di mercato, può fare la differenza.

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