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Le Acli nazionali con questa Nota politica, oltre a fare un’analisi dei risultati elettorali, intendono avviare una riflessione su cosa significhi oggi la rappresentanza, sulla necessità di riportare al centro del dibattito politico i propri valori, sull’esigenza di tornare ad essere popolari. Obiettivo: riscoprire la vocazione originaria alla partecipazione democratica e alla formazione civica.

Molto si è detto di queste elezioni. Un aspetto evidenziato da analisti e commentatori la tenuta dell’affluenza: malgrado la partecipazione al voto fosse una delle principali variabili di questa tornata elettorale, la flessione è stata di soli due punti percentuali rispetto alle Politiche del 2013, rallentando un trend sempre in discesa dal 2006. Un dato importante, considerato che, rispetto al 2013, quest’anno si è votato in un solo giorno e con il disagio delle lunghe file provocate dall’introduzione bollino antifrode. Certo, non mancano le differenze territoriali – il centro-nord si conferma come la zona geografica con la partecipazione più alta, anche se rispetto a cinque anni fa è stato soprattutto il meridione ad aver tenuto – ma un dato è certo: la politica genera ancora passione. Queste elezioni restituiscono un’immagine degli italiani interessati ad intervenire nella vita democratica del Paese per contribuire a determinarne le scelte politiche”.

Il blocco dell’emorragia astensionistica è legato a doppio filo alla possibilità percepita dagli italiani di avere una proposta politica di cambiamento molto forte e ben articolata, contrariamente alle proposte politiche tendenzialmente omogenee che si sono avute nelle precedenti legislature. Da questo punto di vista, se il 2013 è stato uno spartiacque elettorale, il 2018 è stato un terremoto.

La discontinuità elettorale ha avuto inizio nel 2008, culmine della Seconda Repubblica, punto di maturazione di un sistema tendenzialmente bipolare approdato in un bipartitismo all’americana, in cui i due partiti maggioritari cumulavano oltre il 70% dei voti. Nel 2013 è nato dal nulla un partito popolare, interclassista, generazionale e interregionale che alla sua prima prova nazionale ha raccolto il 25% dei consensi degli italiani. Gli indicatori di allora confermavano la presenza di un tripolarismo vero e proprio, giacché i tre principali partiti di allora, PD, Movimento 5 Stelle e Popolo delle libertà raccoglievano, in media, il 75% dei consensi degli italiani.

Del resto l’esperienza francese degli anni ‘50 e la conseguente riforma della Repubblica avevano mostrato l’impossibilità del tripolarismo in un regime di sostanziale alternanza e come questo si trasformasse nell’arco di un decennio in un bipolarismo sostitutivo necessario al dinamismo politico Il bipolarismo sostitutivo, mantiene intatto il dinamismo politico dei sistemi basati sull’alternanza cambiando, tuttavia, uno o entrambi i soggetti che fino alle precedenti elezioni si contendevano l’agone politico. Ebbene, il 2018 ci consegna un terremoto elettorale: il passaggio dal tripolarismo al bipolarismo sostitutivo si è realizzato nell’arco di una sola legislatura. A farne le spese sono stati i partiti tradizionali (Pd e Forza Italia/Pdl), che non hanno saputo cogliere le istanze, evidentemente raccolte da altre formazioni politiche, provenienti dalle nuove generazioni e dal ceto medio impoverito”.

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