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In questi primi giorni di un anno che si annuncia ancor più problematico del precedente, tante le voci, gli appelli e le analisi declinate sull’economia (crisi finanziaria e debolezze dei mercati) o sulla politica internazionale (striscia di Gaza in particolare).

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Poche le parole accorte, invece, rivolte ad una serie di “interventi” che potrebbero fornire lo stimolo per qualche riflessione sul rapporto (e soprattutto sull’evoluzione di questo) tra Chiesa cattolica, altri ordinamenti giuridici particolari e il regime democratico in generale.

Quella che segue non aspira ad essere altro che una semplice “somma di spunti”.
La maturazione dei tempi suggerirà, eventualmente, riflessioni maggiormente strutturate.
 
Il primo spunto è quello offerto dall’accusa (peraltro non nuova) che Mons. Amato, prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, ha rivolto al governo spagnolo reo di “statolatria”. Peraltro, è bene notare come le censure del prelato non si sono concentrate sulla sola penisola iberica, poiché «La questione è che in tutta Europa si sta introducendo la categoria della cosiddetta biopolitica. Lo Stato cioè entra sempre più nella vita personale di ognuno: obbliga le famiglie a scegliere determinate scuole con determinate materie, non d’istruzione ma d’indottrinamento».
Le affermazioni sono pesanti e il taglio severo, ma la realtà purtroppo rischia di essere peggiore della denuncia.
Da quanto è possibile ricavare dai programmi, difatti, la “Educacion para ciudadania y derechos humanos” in quanto, per fare solo un esempio, verrebbero proposti come modelli con uguale dignità rispetto al matrimonio tradizionale, le coppie di fatto e le unioni gay. Nulla di strano, si dirà. Coerentemente con gli obiettivi del governo Zapatero, la nuova disciplina, democraticamente approvata, è semplicemente un mezzo adeguato in vista della fondazione di uno stato eticamente contraddistinto, avviluppato in ogni aspetto delle relazioni intersoggettive, e perciò deputato a tutto. E non potrebbe essere altrimenti, perché ciascuna scelta in ambito normativo palesa una preferenza etica.
Sul punto, però, torna alla mente il monito di Benedetto XVI: «Lo Stato che vuole provvedere a tutto, che assorbe tutto in sé, diventa in definitiva un’istanza burocratica» (Deus caritas est, n. 28).
Quel che qui più interessa è il già citato allargamento d’orizzonte proposto da Mons. Amato, quasi che la denuncia della situazione spagnola fosse solo il grimaldello per scuotere la libertà di coscienza dei cristiani in un’Europa rea di promuovere la categoria della “biopolitica”. Il cuore del prelato, infine, non poteva non battere per la nostra nazione, dove le persecuzioni contro i cristiani sarebbero inferte quotidianamente a colpi di «norme di legge, sentenze della magistratura, comportamenti irridenti il Vangelo, il Santo Padre, la Chiesa, la dottrina cattolica». Mezzi per un fine. Quale esso sia, e quale sia la consapevolezza dei cittadini, rimane il nocciolo della riflessione.
Le censure potevano passare in sordina vista la sede in cui sono state svolte (il periodico «Consulente RE» destinato ad una ristretta cerchia di prelati), ma la rilevanza della carica rivestita dall’autore e il carattere schietto dei toni utilizzati autorizzano un rilancio della riflessione. Soprattutto se l’intervento viene letto in continuità con altri due episodi recenti. Ne potrebbe emergere una rinnovata prospettiva circa la questione non solo del rapporto, ma anche del confronto, tra Chiesa, ordinamenti giuridici e democrazia.
 
Un rapporto/confronto esplicitamente analizzato dal Card. Bertone in occasione dell’inaugurazione della Facoltà di Diritto Canonico di Venezia (prima e finora unica presente in Italia al di fuori del territorio di Roma) e implicitamente sotteso dall’approvazione della Legge dello Stato del Vaticano n. LXXI (“Legge sulle fonti del diritto”). Il secondo fatto rende più stimolante la lettura del primo.
 
Dal 1 gennaio 2009 gli atti normativi dello stato italiano verranno recepiti «purché i medesimi non risultino contrari ai precetti di diritto divino, né ai principi generali del diritto canonico, nonché alle norme dei Patti Lateranensi e successivi Accordi e sempre che, in relazione allo stato di fatto esistente nella Città del Vaticano, risultino ivi applicabili» (art. 3 L. n. LXXI). Come ciascuno stato moderno sovrano ed indipendente, la Città del Vaticano definisce le fonti del diritto vigente nel suo territorio. Una considerazione questa talmente ovvia che parrebbero quantomeno infondate, a tacer d’altro, talune affermazioni per le quali il provvedimento sarebbe «una pressione ostile» e addirittura una «ingerenza intollerabile per lo Stato italiano» (cfr. Intervista a Gianfranco Pasquino in Corriere della Sera, 31 dicembre 2008, p. 22). Infatti, volendo anche tralasciare il fatto che la norma era in gestazione da anni al fine di adeguare l’ordinamento vaticano a quello internazionale, rimane indubbio che il provvedimento è un atto interno allo Stato della Città del Vaticano, che non riguarda le relazioni bilaterali con l’Italia, né quelle di carattere concordatario, né quelle derivanti dal Trattato.
A voler tutto concedere, se proprio si vuole riconoscere un contenuto ulteriore rispetto a quello prettamente giuridico l’attenzione deve essere rivolta altrove. Il Vaticano, infatti, ha valutato l’opportunità di non essere sottoposto incautamente ad una ipertrofica approvazione di leggi, peraltro non sempre coerenti con i valori cristiani.
Questo è il punto.
 
Per comprendere meglio il provvedimento risulta quindi opportuno passare dall’ordinamento giuridico Vaticano a quello della Chiesa cattolica. Ecco che l’attenzione passa alla Lectio veneziana del Card. Tarcisio Bertone. Analizzando il rapporto tra “Chiesa” e “democrazia”, esplicita gli insegnamenti di Maritain e Coste e ricorda come sia «più esatta» la denominazione “comunità politica” rispetto a quella di “stato”. «I principi animatori delle moderne democrazie sono fondamentalmente tre: i principi di sussidiarietà, di solidarietà e di responsabilità, ampiamente descritti e sviluppati nei documenti del Magistero sociale del Papa e dei vescovi. Ma ciò che fin qui ho sinteticamente esposto riguarda la Comunità Politica. Si può applicare tutto questo anche alla Chiesa?». Ecco che il Segretario di Stato riconosce che la Chiesa è «senz’altro un modello tipico di società religiosa che ha rivendicato e formulato un proprio ordinamento giuridico sovrano e indipendente dal potere civile».
Riservando ad altre sedi una disamina puntuale circa le riflessioni di Bertone sul rapporto Chiesa/democrazia, pare qui interessante evidenziare la lucida e sintetica descrizione della democrazia, la quale «come ogni sistema costituzionale, è una struttura di potere, che si pone perciò, lo si voglia o no, al pari di ogni sistema di governo, essenzialmente in termini di ripartizione di potere».
Come strumento di (ripartizione del) potere, di conseguenza, la democrazia mal si concilia con il «Il problema dell’unità all’interno della comunità cristiana, che fa costantemente l’esperienza dell’esistenza di una maggioranza e di una minoranza» e che «non può perciò essere risolto con l’assolutizzazione del principio maggioritario».
E se questo vale per l’ordinamento ecclesiale, quali riscontri può avere negli altri ordinamenti giuridici? In altri termini: l’unità dell’ordinamento (civile) può oggi essere davvero preservata dalla «assolutizzazione del principio maggioritario»? La questione palesa tutta la sua (delicata) problematicità, ma non per questo può essere taciuta nel momento in cui il fine della “comunità politica” rimane il Bene comune, col rispetto della libertà di ciascuno componente della comunità politica. Infatti, come insegna il brocardo, “quis vult finem vult et media”; di conseguenza, se il fine del “bene comune” non sempre viene raggiunto è onesto verificare la validità (e non solo l’efficacia operativa) degli strumenti adoperati per valutarne opportune modifiche.
La disamina di Bertone chiarisce come con questo “strumento” (la democrazia) «la minoranza deve inchinarsi alla maggioranza, e questa minoranza può essere molto grande. Inoltre non è sempre garantito che il rappresentante che ho eletto agisca e parli davvero nel senso da me desiderato, cosicché anche la maggioranza vittoriosa, osservando le cose più da vicino, non può considerarsi affatto nella sua interezza come soggetto attivo dell’evento politico. Al contrario essa deve accettare anche “decisioni prese da altri”, onde non mettere in pericolo il sistema nella sua interezza».
Rinnovando il passaggio tra l’ordinamento ecclesiale e quello Vaticano pare ora ancor più comprensibile la cautela espressa con l’approvazione della recente legge sulle fonti. Difatti, la non automaticità del recepimento della legislazione italiana esprimerebbe la volontà di non sottomettersi alla dimensione potenzialmente ondivaga del sistema democratico. Altrimenti ne deriverebbe un evidente rischio per la coerenza dell’ordinamento Vaticano nei confronti dei valori che la Chiesa riconosce e propone per tutti. Anche perché, una volta chiarito che nei regimi democratici «tutto quello che gli uomini fanno può anche essere annullato da altri», il Card. Bertone affonda il tiro: «Tutto ciò che proviene da un gesto umano può non piacere ad altri. Tutto ciò che una maggioranza decide può essere abrogato da un’altra maggioranza».
 
Prima di concludere non è possibile non porre una opportuna provocazione.
Nella nuova legge, l’esplicito riferimento al diritto canonico come prima fonte normativa e primo criterio di riferimento interpretativo dichiara una maggiore unità tra due ordinamenti, quello canonico e quello vaticano. Ma, da cristiani consapevoli del valore della laicità, viene da chiederci: la coerenza tra precetti del diritto divino e le leggi di un ordinamento civile deve ritenersi necessariamente limitato alla sola Città del Vaticano (in quanto tale vero e proprio stato moderno alla pari degli altri) o questo può costituire un modello, un esempio, anche per altri ordinamenti civili?
Provocazione (anche questa) delicata, che nell’immaginario collettivo lascia il tempo che trova, ma che non per questo risulta meno stimolante una volta approfondita.
Proseguendo la lettura della Lectio veneziana emergono indicazioni utili sul punto, tutte da valutare. «La vita del cristiano nel mondo è segnata e sostenuta dalle categorie generate dalla comunione ecclesiale senza conflitti e soluzione di continuità con la verità intrinseca alle realtà terrestri. Intesa in questo senso non esiste un’autonomia del cristiano come persona, ma solo un’autonomia delle cose. Il suo compito consiste nel sapersi rapportare con le realtà terrestri usando le categorie proprie della fede».
Le categorie della propria fede, quindi, quali strumenti per un (corretto) apporto dei cristiani negli ordinamenti civili in cui vivono. Senza però dimenticare che prima del brocardo Quis vult finem vult et media, sarebbe utile domandare qual è il “fine” desiderato.
Il magistero del Concilio Vaticano II riconosce in questi ambiti un ruolo importante per il laicato che il Card. Bertone declina nell’oggi affermando che «non esiste un’autonomia del laico nei confronti della gerarchia, nel senso che non esiste un ambito in cui il laico costruisce il mondo in modo disgiunto e indipendente senza costruire nello stesso tempo la Chiesa». Conseguentemente il laico, anche colui che è impegnato a vario titolo negli ordinamenti civili «può costruire (…) la Chiesa solo in comunione con tutto il popolo di Dio e perciò anche con la gerarchia. Il rapporto tra laicato e gerarchia è perciò un rapporto di comunione, non di sottomissione né di potere».
 
In conclusione, da questa somma di spunti e provocazioni potrebbero emergere così tante e tali riflessioni che risultano difficili anche da elencare.
Ciò nonostante, risultano alcuni punti fermi: il principio di una rinnovata attenzione da parte della Chiesa cattolica nei riguardi di alcuni ordinamenti giuridici particolari; la necessità di una paziente disamina da laici sul valore e sui nuovi fronti che la Dottrina Sociale deve necessariamente affrontare; l’appello per una riflessione sulle potenziali derive che può assumere il regime democratico, con tutti i suoi limiti spesso sottovalutati, senza per questo dimenticare le sue molte potenzialità ancora inespresse.
Perché è necessario, anche oggi, con onestà denunciare i primi e sviluppare le seconde?
Per il bene di tutti, che si incarna nel bene di ciascun uomo. Perché, in sostanza, gli ordinamenti giuridici possono dire di avere come fine il “Bene comune” nel momento in cui non rinnegano che la singola persona vivente, creata ad immagine di Dio, è più grande di qualsiasi istituzione, creata dagli uomini. Grazie a questa cartina di tornasole si può valutare qualsiasi mezzo (democrazia, biopolitica, educazione civica, norme, giurisprudenza, etc.) poiché, ancora una volta, Quis vult finem vult et media (“Chi aspira il fine desidera pure i mezzi”…adeguati).
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