Una pace futura potrà essere veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in se stesso – se ogni uomo si sarà liberato dell’odio contro il prossimo, di qualunque razza o popolo, se avrà superato quest’odio e l’avrà trasformato in qualcosa di diverso, forse alla lunga in amore se non è chiedere troppo” (Etty Hillesum)

Certo che ogni tanto si può esser tristi e abbattuti per quel che ci fanno, è umano e comprensibile che sia così. E tuttavia: siamo soprattutto noi stessi a derubarci da soli. Trovo bella la vita, e mi sento libera. I cieli si stendono dentro di me come sopra di me. Credo in Dio e negli uomini e oso dirlo senza falso pudore. La vita è difficile, ma non è grave. Dobbiamo cominciare a prendere sul serio il nostro lato serio, il resto verrà allora da sé: e “lavorare a se stessi” non è proprio una forma d’individualismo malaticcio. Una pace futura potrà essere veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in se stesso – se ogni uomo si sarà liberato dell’odio contro il prossimo, di qualunque razza o popolo, se avrà superato quest’odio e l’avrà trasformato in qualcosa di diverso, forse alla lunga in amore se non è chiedere troppo. È l’unica soluzione possibile” (Sabato sera, mezzanotte e mezzo…dal Diario di Etty Hillesum).

Ho deciso di iniziare il mio editoriale con queste parole di Etty Hillesum scrittrice e intellettuale ebrea morta a 29 anni ad Auschwitz – tratte dal suo Diario (1941-1942) pubblicato in un’edizione integrale, nel 2012, da Adelphi. Parole significative, profetiche, che testimoniano la forza interiore di una donna che non ha mai ceduto all’odio ma che ha saputo vedere anche nel dramma della shoah i segni della presenza di Dio.

Proprio la memoria di quello che è accaduto e il ricordo di queste testimonianze ci possono consentire di interpretare la realtà presente e di agire di conseguenza. Il Giorno della Memoria 2018 ha coinciso, quest’anno, con la ricorrenza dell’ottantesimo anniversario della promulgazione delle leggi razziali dell’Italia fascista firmate da Vittorio Emanuele III. Una ricorrenza con cui abbiamo voluto fare i conti e che crediamo sia utile rievocare, per capire anche sul piano storico, ciò che è accaduto. Un fare memoria che ci deve aiutare scongiurare nel presente qualsiasi forma di ritorno a razzismo, odio sociale e violenza.

Le Acli, insieme ad altre 23 realtà sociali e politiche, hanno lanciato lo scorso 1 febbraio l’appello Mai più fascismi – che ha raccolto oltre 66mila firme – facendo una scelta, prendendo posizione.

Nell’appello si afferma: “si stanno moltiplicando nel nostro Paese sotto varie sigle organizzazioni neofasciste o neonaziste presenti in modo crescente nella realtà sociale e sul web. Esse diffondono i virus della violenza, della discriminazione, dell’odio verso chi bollano come diverso, del razzismo e della xenofobia, a ottant’anni da uno dei provvedimenti più odiosi del fascismo: la promulgazione delle leggi razziali.

(…) Per questo, uniti, vogliamo dare una risposta umana a tali idee disumane affermando un’altra visione delle realtà che metta al centro il valore della persona, della vita, della solidarietà, della democrazia come strumento di partecipazione e di riscatto sociale.

Per questo, uniti sollecitiamo ogni potere pubblico e privato a promuovere una nuova stagione di giustizia sociale contrastando il degrado, l’abbandono e la povertà che sono oggi il brodo di coltura che alimenta tutti i neofascismi”.

Sono rimasta senza parole per l’omicidio di Mireille Knoll, una sopravvissuta alla Shoah, bruciata e accoltellata per antisemitismo. Episodi del genere ci mostrano come il riemergere di forme di nazismo e fascismo non possono essere liquidate in modo semplicistico pensando che siano cose del passato.

L’obbiettivo del nostro focus non è tanto quello di ragionare di fascismo o antifascismo in modo astratto o ideologico, ma di comprendere il degrado sociale a cui assistiamo: esso prende anche le forme del razzismo, dell’odio, dell’intolleranza e della violenza in Italia ed in Europa. Il nostro Paese sta vivendo una preoccupante escalation di aggressività mediatica che crea fronti contrapposti e rischia di alimentare forme di violenza preoccupanti. Siamo di fronte ad un problema di cattiva comunicazione e ancor peggio di cattiva politica.

In questo approfondimento abbiamo volutamente deciso di ospitare – come cerchiamo di fare sempre – opinioni diverse, letture diverse dei fenomeni sociali e culturali che abbiamo di fronte, per guardare con occhi aperti la realtà avendo ben chiara la prospettiva storica e il patrimonio di diritti e valori di cui è depositaria la nostra Costituzione, nata sulle ceneri del fascismo.

Per questi motivi abbiamo cercato di rispondere ad alcune domande: esiste un nesso esiste tra fascismo e razzismo? Sta riemergendo il fascismo? Se si in quali forme? La cultura del qualunquismo, dell’attacco indiscriminato e continuo alla politica e alle istituzioni può essere considerata una forma di fascismo? Come è perché essere “antifascisti” oggi?  Come educare i giovani (che in alcuni casi sembrano attratti dal fascismo) e tutti i cittadini ai valori democratici e alla nonviolenza?

Iniziamo con Alberto Ratti (redattore della rivista “Aggiornamenti sociali” e componente del Centro Studi dell’Azione Cattolica Italiana) che sottolinea come “molti studiosi vedono giustamente in alcuni episodi (es. intimidazioni squadriste e razziste) un pericolo concreto per la democrazia e una deriva preoccupante; la democrazia non è una conquista immutabile e fissa, ma è un percorso che va alimentato quotidianamente con la pazienza dell’ascolto, la fatica del pensare, il dialogo e la mediazione fra diversi”. Secondo Ratti “la violenza, la paura, il razzismo e l’affermarsi di concetti disumani stanno tornando a radicarsi sempre più nella nostra società occidentale; emerge, allora, quanto più urgente e fondamentale il nostro compito di annunciare il Vangelo, perché Gesù va esattamente nella direzione opposta, proponendo alle donne e agli uomini di tutte le epoche una vita caratterizzata dall’amore e dalla giustizia, dalla fraternità e dalla solidarietà”.

Marco Guzzi (poeta e saggista) afferma che il “puntare sull’antifascismo, per combattere la violenza contemporanea, è una strategia fallace e perdente” in quanto “il vero nemico della nostra libertà è oggi la falsa democrazia dominata dai mercati, il nuovo totalitarismo mercantilistico, che purtroppo è stato rappresentato e difeso sia dai governi della destra che da quelli della sinistra”.

Per Alessandro Giuliani (scienziato) “la sorprendente riesumazione della questione fascismo/antifascismo da parte della politica e dei media nei mesi passati, è una applicazione da manuale dei principi della neolingua orwelliana, che vale la pena considerare” onde evitare di “evocare il fantasma del fascismo”.

Mao Valpiana (Presidente nazionale Movimento nonviolento) ci presenta l’antifascismo nonviolento di Aldo Capitini, che “già negli anni trenta scopre la dimensione politica di Gandhi e intravede nella non-collaborazione la forza capace di sconfiggere l’oppressione del regime fascista e la via della resistenza nonviolenta all’ormai vicino secondo conflitto mondiale“.

Monica Vacca (Psicoterapeuta e psicoanalista, membro della Scuola lacaniana di Psicoanalisi), osserva come “ci troviamo a dover rinnovare ogni giorno la scelta di far fronte all’indifferenza e al tempo stesso sempre al lavoro per estrarre la differenza assoluta insita nel godimento proprio a ciascuno, mettendo tra parentesi la (in)“.

Concludiamo con due interviste: quella a Nicola Tranfaglia (Storico e giornalista italiano. Professore emerito di storia dell’Europa e del giornalismo all’università di Torino) e quella a Ruth Dureghello (Presidente della comunità ebraica di Roma), realizzate da Fabio Cucculelli.

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