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La riforma della legge sulla cittadinanza, oltre che una scelta di giustizia, si pone l’obiettivo di favorire l’integrazione degli stranieri che nascono o entrano in Italia da minorenni e vi restano. L’attribuzione della cittadinanza può contribuire a rendere e a far sentire questi ragazzi parte integrante della comunità in cui vivono, di cui condividono la cultura e i modi di vita, impedendo che subiscano ingiustificate discriminazioni.

Negli ultimi mesi si e’ riacceso in Italia un forte dibattito sullo jus soli, dibattito spesso caratterizzato da affermazioni propagandistiche che hanno alimentato paure ingiustificate. Non sfugge a nessuno che il clima pre-elettorale ha una forte influenza su tutto cio’. Anche come conseguenza di questo clima sociale e politico, la legge che riconosce la cittadinanza ai bambini nati in Italia da genitori stranieri che hanno un regolare permesso di soggiorno (da almeno 5 anni) difficilmente verrà approvata in questa legislatura.

La manifestazione, indetta dal movimento “Italiani senza cittadinanza” e dalla campagna “L’Italia sono anch’io” (promossa, tra gli altri, da Acli, Arci, Caritas e Cgil) – tenutasi lo scorso 13 ottobre in diverse città –, ha chiesto alla politica di smettere di giocare, per motivi elettorali, con le vite di quasi un milione di italiani non riconosciuti come tali. Come noto il testo, approvato alla Camera il 13 ottobre 2015, da due anni è fermo al Senato. Si tratta di una legge assai modificata rispetto al testo originario che non introduce affatto uno jus soli puro: chi nasce oggi in Italia non diventerebbe automaticamente italiano, tantomeno chi sbarca sulle nostre coste.

Come osserva il position paper delle Acli “Immigrazione la riforma della cittadinanza” (giugno 2017): “Il diritto di cittadinanza è nato come diritto di riconoscersi parte di una comunità. Purtroppo in Italia il mancato riconoscimento di questo diritto sta diventando un motivo di discriminazione ed esclusione. Quando parliamo di legge sulla cittadinanza non discutiamo solo di questioni burocratiche o politiche ma parliamo del futuro del nostro paese e del nostro vivere civile. Secondo le norme attuali, in vigore dal 1992, purtroppo, ancora oggi un ragazzo nato in Italia da genitori stranieri può richiedere la cittadinanza solo entro un anno dal raggiungimento della maggiore età. (…) Non esiste quindi nel nostro Paese alcuna effettiva possibilità di acquisire automaticamente la cittadinanza da parte di bambini nati in Italia da genitori stranieri o da parte di giovani o giovanissimi giunti in Italia in tenera età, seppure la loro storia personale e sociale in nulla differisca da quella dei coetanei”.

Bisogna infatti ricordare che la nostra tradizione legislativa è da sempre ancorata alla cittadinanza “di sangue”. E’ cittadino italiano anche chi nasce all’estero da genitore italiano, anche se risiede stabilmente all’estero e acquista un’altra cittadinanza per nascita.

La riforma della legge sulla cittadinanza, oltre che una scelta di giustizia, si pone l’obiettivo di favorire l’integrazione degli stranieri che nascono o entrano in Italia da minorenni e vi restano. L’attribuzione della cittadinanza può contribuire a rendere e a far sentire questi ragazzi parte integrante della comunità in cui vivono, di cui condividono la cultura e i modi di vita, impedendo che subiscano ingiustificate discriminazioni.

Oggi, in un contesto globale in cui le migrazioni sono destinate ad aumentare, il tema dell’integrazione nella nostra comunità nazionale degli stranieri residenti è cruciale ai fini del governo di questo fenomeno, al di là delle regole sui flussi migratori e sull’accoglienza. Spesso si parla del dovere per gli immigrati di acquisire la conoscenza della lingua e degli aspetti essenziali del nostro ordinamento. Ma si dovrebbe parlare anche dei modi con i quali la comunità nazionale e le istituzioni debbono operare per integrare gli immigrati, offrendo gli strumenti necessari e prevenendo la formazione di ghetti che di fatto ostacolano la piena convivenza.

Per le ragioni sopra esposte abbiamo scelto di dedicare il focus del mese di novembre al tema del riconoscimento del diritto di cittadinanza nel nostro Paese non solo per chiarire cosa dice la proposta di legge ma per comprendere la sua filosofia di fondo e la portata culturale e sociale di questo tema.

Iniziamo con il contributo di Antonio Russo (Segretario della presidenza nazionale Acli con delega alle Politiche sociali e al welfare) che racconta il senso dell’impegno, ormai pluriennale, delle Acli sul tema del riconoscimento del diritto di cittadinanza.

Antonio Nanni (già vice-direttore del Cem mondialità e coordinatore dell’Ufficio Studi delle Acli nazionali) e Antonella Fucecchi (collaboratrice del Cem mondialità e insegnante) sottolineano che “la costruzione di un’Italia plurale, sempre più interculturale e meticcia, sembra ormai appartenere al dinamismo delle trasformazioni in corso. Possiamo certo scegliere di prepararci o meno ai cambiamenti in atto da tempo, ma nessuno potrà mai riuscire a fermare il cantiere della storia”.

Paula Baudet Vivanco (Segretaria nazionale Segretaria nazionale dell’ANSI – Associazione Nazionale Stampa Interculturale e fondatrice del Movimento #ItalianiSenzaCittadinanza) da voce agli “italiani senza cittadinanza” sostenendo che “rappresentano presente e futuro, parte di un’Italia che è già molto più avanti e che pretende il voto di questa ‘riforma di civiltà’. Un’Italia che continuerà a crescere e che i grandi Palazzi dovrebbero imparare a guardare e ad ascoltare…

Simohamed Kaabour (Presidente del CoNNGI) osserva come “la riforma non è una concessione ma è il primo passo di un cammino collettivo in cui la partecipazione è anche sinonimo di rappresentatività e responsabilità condivise”.

Secondo Vincenzo Antonelli (giurista, Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e LUISS) “la via per la cittadinanza è la via per i diritti umani, per il loro riconoscimento negli ordinamenti nazionali alle persone per il solo fatto di essere uomini e donne”.

Padre Monge (Padre domenicano teologo delle religioni) sottolinea come “tutte le grandi religioni abramitiche, in genere, sacralizzano l’atto ospitale, esprimendo la convinzione che in esso Dio stesso manifesta qualcosa della sua presenza”.

Per Laura Zanfrini (Sociologa, Università Cattolica di Milano e Summer School Mobilità umana e giustizia globale) “una riforma che rafforzi i principi dello jus soli va considerata ormai inevitabile anche per l’Italia, entrata nella rosa dei principali paesi d’immigrazione, e in questo senso vanno le indicazioni dei maggiori esperti a livello internazionale

Concludiamo con l’intervista allo scrittore ed insegnate, Eraldo Affinati, tra i primi firmatari della petizione nata all’interno del mondo della scuola per l’approvazione della legge sulla cittadinanza.

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