Dopo l’approvazione da parte del Senato, è stato inserito all’ordine del giorno dei lavori della Camera, con il nr. 2180, il Disegno di legge presentato dal Presidente del Consiglio e dai Ministri dell’Interno e della Giustizia, recante «disposizioni in materia di sicurezza pubblica», meglio noto alle cronache come (ennesimo) “pacchetto sicurezza”. Altro che pacchetto: un pesantissimo contenitore, un centone di disposizioni di varia indole, stipate nel provvedimento in modo assolutamente disorganico

(e, diremo subito, non è una mera valutazione estetica), il cui comune denominatore è rappresentato dal fatto che esse avrebbero a che fare, più o meno, con la sicurezza collettiva, producendo un “giro di vite” per elevarla in quantità e qualità.
Premesso che il testo su cui si basano queste brevi osservazioni è del tutto provvisorio, perché deve affrontare i marosi della Camera, ci limitiamo qui − nell’impossibilità di entrare in dettaglio sulle singole disposizioni − a due tipi di considerazioni: il primo riguarda i contenuti generalissimi del provvedimento, e la loro “organizzazione” (se così si può dire); il secondo riguarda alcune previsioni specifiche, fra quelle più discusse anche prima dell’approvazione da parte del Senato, e che sono considerate un poco come le vedettes dell’intero provvedimento, le sue norme-manifesto.

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Quanto ai contenuti generalissimi, troviamo − pescando qua e là −:

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Ø           disposizioni volte ad aumentare le pene per reati già previsti nell’ordinamento (es., la pena di un qualunque reato è aggravata se l’autore ha approfittato dell’«età avanzata» della vittima o lo ha commesso ai danni di soggetti minori all’interno o nelle vicinanze di scuole per l’infanzia e istituti di istruzione e formazione di ogni ordine e grado; oppure se un furto è commesso all’interno di mezzi di trasporto pubblico, oppure nei confronti di chi, per intenderci, esca da un istituto di credito o da una postazione bancomat o da un ufficio postale con i soldi riscossi; e così per la rapina commessa in quei luoghi o in abitazione; porto d’armi in prossimità di scuole ecc.);

Ø           disposizioni volte a ristrutturare reati aggravandone il trattamento sanzionatorio (es., in materia di deturpamento e imbrattamento di cose altrui, quando il fatto sia commesso su beni immobili o mezzi di trasporto pubblici; in materia di impiego di minori nell’accattonaggio; in materia di sequestro di minore);

Ø           disposizioni contenenti nuovi reati (reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato; reato di agevolazione dell’aggiramento del regime di “carcere duro” previsto per determinate categorie di soggetti − es., terroristi, mafiosi, schiavisti − a norma dell’art. 41-bis dell’ordinamento penitenziario; reato di apologia o incitamento, a mezzo internet, di associazioni criminose o di attività illecite), o reati risorti dalla cenere (compare di nuovo l’oltraggio a pubblico ufficiale, che era stato abrogato dieci anni fa senza troppi rimorsi né rimpianti, dopo vicissitudini di legittimità costituzionale della pena da esso prevista);

Ø           disposizioni varie per contrastare la criminalità organizzata, specie di stampo mafioso (misure vòlte a contrastare gi arricchimenti patrimoniali delle organizzazioni criminali: sequestri, confisca, tenuta di registri in cui sono annotate le persone fisiche e giuridiche nei cui confronti sono disposti accertamenti patrimoniali nell’ambito delle attività di contrasto; aggiornamento delle disposizioni in tema di scioglimento dei consigli comunali e provinciali per fenomeni di «infiltrazione» e «condizionamento» di tipo mafioso);

Ø           disposizioni di varia indole, essenzialmente di tipo amministrativo, vòlte a disciplinare − pressoché sempre in senso restrittivo − settori “a rischio”, quale l’immigrazione clandestina (a tale “categoria” possono essere ascritte le disposizioni sull’acquisto della cittadinanza italiana, ivi compresa la tassa di € 200 per le istanze e dichiarazioni in materia; la norma che prevede, al fine di di contrarre matrimonio in Italia, l’esibizione di un documento attestante la regolarità del soggiorno sul territorio; quella che prevede, ai fini dell’iscrizione e della variazione anagrafica, o del ricongiungimento familiare, la previa verifica delle condizioni igienico-sanitarie dell’immobile in cui il richiedente intende fissare la propria residenza; quella che prevede l’obbligo di esibizione dei documenti di soggiorno per l’ottenimento di atti dello stato civile − es., dichiarazione di nascita di un figlio − o per l’accesso ai pubblici servizi, fatta esclusione solo per l’accesso alle prestazioni sanitarie, in relazione alle quali, peraltro, si registra l’abrogazione del divieto di segnalazione all’autorità in caso di accesso alle strutture sanitarie da parte di straniero non in regola con le norme sul soggiorno);

Ø           disposizioni, anch’esse di tipo amministrativo, volte a stigmatizzare e reprimere azioni espressive di un comportamento “deviante” per la sua indecorosità (es., le norme sul decoro − cioè, sul divieto di «insozzare» le pubbliche vie e le pubbliche strade; quelle sui “graffitari”; quelle in tema di occupazione di suolo pubblico anche da parte di chi eserciti attività commerciale);

Ø           disposizioni in tema di controllo del territorio (utilizzo di sistemi di videosorveglianza da parte dei comuni a fini di tutela della sicurezza urbana; concorso di associazioni di volontari «non armati» al presidio del territorio);

Ø           disposizioni in materia di circolazione stradale (es., in tema di obbligo di revisione della patente, di aumento delle pene per i reati di guida in stato di ebbrezza e sotto l’effetto di stupefacenti).

   Come si può vedere da questa pur frammentariamente parziale rassegna, si assiste ad un corteo sparso, anzi ad un assembramento disordinatissimo e slabbrato di norme assolutamente eterogenee, destinate a fenomeni che non sempre hanno tra loro qualcosa in comune (seriosamente diremmo: un sostrato criminologico o sociologico o antropologico comune): dal decoro urbano all’immigrazione, da questa alla mafia, dalla mafia alla circolazione stradale. Si parla di “sicurezza”: concetto indefinito e dunque bon à tout faire, debordante, ossessivo. Che c’entra il decoro urbano con la mafia? Certo, sappiamo che dagli USA ci viene la teoria della finestra rotta: se non la si aggiusta subito, altre se ne romperanno; metafora del disordine cittadino, della violenza, dell’incontrollabilità della vita sociale se si cede nel piccolo, se le regole elementari della convivenza vengono meno. Pretesti! Non è con l’ossessione securitaria che si rinsaldano le trame vitali della civile convivenza. Ne risulta anzi, in controluce, l’immagine di un Paese disastrato, senza educazione civile, e ciò non accade perché da fuori sono entrati i barbari, ma perché c’è qualche tarlo già al suo interno.

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   L’ossessione securitaria, poi, ed è il secondo tipo di considerazioni, genera mostri. Due esempi in materia di immigrazione: uno è la fattispecie del reato di illegale ingresso e soggiorno nel territorio dello Stato. Della deprecabile matrice ideale di questo reato ho parlato in un precedente editoriale; si aggiunga adesso che, venuto ad esistenza, si direbbe che dal parto del Senato è nato ridicolo topolino (da delitto punito fino a 4 anni, come si intendeva fare in origine, è diventata una meno grave contravvenzione punita con la sola ammenda); ma i roditori non sono da sottovalutare, fanno danni… ed infatti: (a) nel migliore dei casi, si tratta di legislazione simbolica: quale “clandestino” è in condizioni di pagare da cinquemila a diecimila euro? ; (b) nel peggiore dei casi, la norma è criminogenetica, cioè produce e non reprime occasioni di delinquere: il clandestino potrebbe essere spinto ad entrare subito in contatto con organizzazioni criminali le quali, loro sì, dispongono del denaro necessario; (c) nella normalità dei casi, si tratta di una disposizione dissennata, a causa delle disfunzioni istituzionali ed organizzative che ne derivano: la cognizione del reato è affidata ai giudici di pace, i quali saranno costretti a celebrare un processo (che costa tempo e denaro), non potranno che constatare l’impossibilità di pagamento dell’ammenda, ed allora dovranno convertire la sanzione in permanenza domiciliare (ma da eseguire dove ??) − altri costi per l’esecuzione, i controlli, ecc. −, e poi espulsione (altri costi). Il reato serve solo ad attivare la procedura di espulsione (che infatti è conseguenza della condanna: art. 21/1 lett. b); ma allora perché anche punire (simbolicamente)? Il perché potrebbe essere inconfessabile: data l’inefficacia operativa delle espulsioni, spesso difficilmente realizzabili per mancata collaborazione del paese di destinazione, o perché il Paese di provenienza del clandestino non è conosciuto, data dunque l’incontenibilità del fenomeno, si sbandiera almeno la foglia di fico dell’intervento penale, senza rendersi conto che questo sbandierare scopre le nudità: ingolfamento degli uffici, spreco di risorse, risultati improbabili, credibilità del sistema in picchiata.

   Un altro sgorbio è la parificazione sanzionatoria delle condotte di produzione e di mero uso di documenti contraffatti da parte di chi non sia concorso nella falsità − ben diverse tra loro in termini di offensività, come ben sapeva anche un fascista (intelligente e tecnicamente sublime) come Rocco, padre del vigente codice penale, anno domini 1930.

   Non parliamo poi dell’art. 52, sulle associazioni di volontari non armati che dovrebbero “concorrere” al presidio del territorio, e cioè dovrebbero collaborare «al fine di segnalare agli organi di polizia locale, ovvero alle forze di Polizia dello Stato, eventi che possono arrecare danno alla sicurezza urbana ovvero situazioni di disagio sociale»; dichiarazione di bancarotta dei poteri pubblici: uno Stato è tale quando ha un territorio, e ovviamente il controllo di esso; se questa norma ha una ragione d’essere, è forse perché le forze dell’ordine non ce la fanno più a controllare il territorio? Ché se invece ce la fanno, allora la norma significherebbe sfiducia; entrambe le interpretazioni non dovrebbero entusiasmare le forze dell’ordine, che in effetti non paiono gradire molto la previsione delle cd. ronde. Né crediamo che le associazioni di volontariato che operano sul territorio in relazione alle situazioni di disagio sociale (basti affacciarsi alla Stazione Centrale di Milano o alla mensa di Termini a Roma) non vedano l’ora di esaurire il loro ruolo nella “segnalazione” di eventi o situazioni del tutto normali nelle periferie, o negli angiporti o nelle notti dei centri urbani. D’altronde, se il problema è avere sufficiente coscienza civica per “segnalare”, va detto che già ora qualunque cittadino può farlo, richiedere l’intervento delle forze dell’ordine ecc.; evidentemente se si è sentito il bisogno di una norma di questo tipo i problemi stanno altrove… o le intenzioni erano diverse, ma i riflettori della cronaca hanno impedito di far scempio del monopolio pubblico dell’uso della forza (nonostante a Nord qualcuno evidentemente rimpianga i tempi di Montecchi e Capuleti).

   Quando non sono mostri, sono norme che, nel loro mirato rigore, possono risultare odiose perché, seppur non irragionevoli, sono tuttavia vessatorie: così l’impossibilità per l’irregolare di contrarre matrimonio, di ottenere atti dello stato civile, prestazioni di pubblici servizi; così quella che consente al personale di strutture sanitarie di segnalare lo status di irregolare di colui che si rivolga per una prestazione di assistenza; così quella sul divieto di iscrizione anagrafica in mancanza della certificazione igienico-sanitaria dell’alloggio. Perché queste norme siano vessatorie, del resto, è stato spiegato chiaramente dalla voce della Comunità di Sant’Egidio: con particolare riferimento a quest’ultima ipotesi, ad es., si è scritto che essa «se approvata, condurrebbe al blocco in massa delle iscrizioni o variazioni anagrafiche, lasciando senza residenza un’ampia porzione della popolazione pur legalmente presente sul territorio. Diverranno allora difficili il sostegno pubblico alle famiglie in difficoltà, il controllo sulla scolarizzazione dei minori, la programmazione dei servizi, la notifica degli atti legali … rendendo improvvisamente non rintracciabili e meno tutelate varie fasce della popolazione, incluse le persone senza fissa dimora, schedate in un archivio non comunale e privo di oggettive connessioni con le necessarie funzioni di servizio sociale» (Conferenza stampa 2 febbraio 2009).

   Quando va bene, l’ossessione della sicurezza genera vento, aria fritta, norme-manifesto (cioè tanto declamatorie quanto ineffettive): lo sono, probabilmente, quelle a tutela del decoro: se è verissimo che «chiunque insozza le pubbliche strade gettando rifiuti od oggetti dai veicoli in movimento o in sosta» è condotta spregevole, segno d’inciviltà e profonda maleducazione (che viene da lontano, viene dalla famiglia e dalla scuola…), aspettiamo però al varco le statistiche sull’applicazione concreta, e vediamo se le volanti della “Stradale” siano riuscite a rincorrere e fermare (o fotografare) il trasgressore che ha svuotato in corsa il portacenere, sanzionandolo, visto che nessuno ha ancora visto troppe sanzioni per l’inosservanza in autostrada del divieto di viaggiare in corsia di sorpasso o dell’obbligo di rispettare la distanza di sicurezza…; o la polizia municipale che sanzioni l’idiota che getta a terra l’involucro trasparente del pacchetto di sigarette…

E pure norme inutili, come quella sull’aggravante della minorata difesa a causa dell’età avanzata (ma che vuol dire «avanzata»? che ha diritto alla… carta d’argento?!).

rn   C’è qualcosa di buono nel disegno di legge, nascosto nella selva di aggiustamenti, piccoli inserti, rimodellamenti, ristrutturazioni, innovazioni normative? Forse (in tema di antimafia?); ma valorizzare il buono sarebbe come decantare un pranzo di nozze imbandito grandiosamente al suono di grancasse e tamburi, ma servito con pietanze insapori o indigeste, solo perché si è apprezzata in fin dei conti almeno la bontà delle noccioline salate.rn

   Sarebbe necessario cambiare totalmente approccio ideale, uscendo dalla logica asfittica della “sicurezza”; su questa strada pare avviarsi qualche proposta, come quella del deputato Luigi Bobba; giudicarla non è nelle competenze di chi scrive; ma il messaggio ideale già è importante: intanto, non partire dalla logica del muro, ma da quella dell’accoglienza (realisticamente: i muri vengono abbattuti prima o poi, o aggirati): permesso di soggiorno di ampia durata se per motivi di lavoro; facilitazioni nell’acquisizione della cittadinanza per le “seconde generazioni”; potenziamento delle relazioni internazionali (al fine di raggiungere «accordi bilaterali di sicurezza sociale»); rispetto dei valori e dei simboli culturali e religiosi. Servono investimenti per questo; serve tempo: ma non sarebbero soldi e tempo sprecati come quelli che il Parlamento ha impiegato e impiegherà per raffazzonare l’ennesimo “pacchetto” di norme mostruose, costose e inutili, e che le istituzioni impiegheranno per applicarle prima di accorgersi che non funzionano.

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