Lo scorso 29 aprile il Senato ha dato il via libera definitivo alla legge-delega sul federalismo fiscale. Scattano, così, i ventiquattro mesi entro i quali il Governo dovrà presentare i decreti legislativi che daranno effettiva attuazione ai principi stabiliti nella legge.

Si tratta di una sfida eccezionale: potrebbe essere davvero un passaggio epocale per l’assetto complessivo del nostro sistema istituzionale. Si ha, infatti, la possibilità di ridisegnare in un quadro unitario e coerente la distribuzione di compiti e risorse, con il fine primario di fare davvero chiarezza rispetto alle responsabilità dei singoli livelli di governo.rn

Autonomia e responsabilità devono rappresentare i due concetti cardine della riforma.

Decenni di dibattito intorno alla riforma federale hanno portato a riconoscere unanimemente che essa non deve avere l’obiettivo di dividere l’Italia, bensì di ridare efficienza ad una struttura istituzionale che con il tempo si è “attorcigliata” e ha visto ridurre la sua capacità di dare risposte convincenti ai bisogni dei cittadini.

Come raggiungere questo obiettivo? Essenzialmente riponendo al centro dell’attenzione non le regole, ma le persone. In fondo, questo è il principio ultimo su cui si basa un sano federalismo. Regole e procedure sono i tipici strumenti utilizzati da uno stato centralizzato di stampo weberiano-burocratico per uniformare i comportamenti dei singoli ad un unico modello definito dall’alto. Questo approccio, anche se molto diluito (bisogna riconoscerlo!), lo sperimentiamo ancora nei nostri contatti con la pubblica amministrazione, quando ci scontriamo con posizioni del tutto illogiche ispirate all’ “adempimento di legge”: “Lei ha ragione, ma la legge non lo prevede”. Evidentemente, questa frase è la migliore dimostrazione di un “non-senso”: è paradossale che la legge, da strumento per il bene dei cittadini, si trasformi in un ostacolo.

Il federalismo ripone al centro le persone e la loro capacità di trovare soluzioni ai problemi. Esso, infatti, coerente con la cultura liberale di cui è figlio, riconosce autonomia proprio per dare maggiori chance di raggiungere risultati positivi. Ovviamente, all’autonomia fa da contr’altare la responsabilità. Responsabilità che, però, non è più intesa in termini di coerenza dei comportamenti rispetto alle disposizione di legge, ma come dimostrazione della capacità di raggiungere risultati positivi a favore della comunità.

Responsabilità che riguarda da vicino i singoli cittadini, non solo la classe politica. Dalla riforma federale ci si può ragionevolmente attendere, nel tempo, un cambiamento culturale nel modo in cui gli italiani guardano a ciò che è pubblico: non più spettatori passivi di ciò che fanno “altri”, i politici, ma essi stessi protagonisti attivi, a partire dalle istituzioni locali.

Istituzioni locali che guardano alla riforma federale con una rinnovata speranza, la speranza che finalmente si ridia loro la dignità che è stata persa a causa di leggi sempre in cambiamento; di un sistema di finanziamento che vive annualmente una rivoluzione e che di certo non favorisce stabilità e programmazione di lungo periodo; di un sistema di vincoli, procedure, regole imposte dall’alto che di giorno in giorno complicano le questioni, bloccano la libertà decisionale e fanno sentire davvero impotenti.

Insomma, le istituzioni locali si aspettano finalmente un po’ d’ordine: un quadro semplice e chiaro delle responsabilità e delle risorse su cui poter fare affidamento, chiari margini di manovra per poter davvero concentrarsi sui problemi delle persone, piuttosto che sugli schiribizzi del legislatore.

Per essere davvero all’altezza delle aspettative, il processo di riforma federale dovrà dunque portare i cittadini italiani a sperimentare davvero “autonomia” e “responsabilità”: se così sarà, l’Italia avrà davvero l’opportunità di ritrovare nuovo slancio per uscire da quel sentimento di rassegnazione che trova quantificazione negli indicatori di crescita economica che abbiamo sperimentato anche ben prima della crisi.

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