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Dal “Rapporto Giovani”, la Sesta indagine dello IARD sulla condizione giovanile in Italia appena  pubblicata, l’immagine dell’approccio dei giovani al lavoro si delinea in modo articolato.

Le nuove generazioni si confrontano con il sistema lavorativo in modo realistico e positivo. Se ne ricava innanzitutto una smentita rispetto agli stereotipi che vedono gli adulti, tra i quali anche alcuni nostri noti rappresentanti politici, lamentarsi dei “bamboccioni” che rimangono a casa da mamma e papà.
A partire dalla descrizione dei dati sull’inserimento lavorativo i giovani non risultano per niente spaventati della frammentazione attuale del mercato lavorativo. Infatti se è vero che i percorsi di ricerca sono più variegati e meno prescritti, è altrettanto vero che sono anche meno chiari e più incerti. Ci dicono gli autori della ricerca che, quando affrontano i percorsi di ingresso, questi giovani non se ne stanno con le mani in mano, ma si scuotono e scommettono su stessi. Ci spiega il sociologo Carlo Buzzi, uno dei curatori della ricerca: «oggi i giovani sembrano impegnarsi personalmente in misura maggiore rispetto a qualche anno addietro nel processo di individuazione e selezione dei canali di accesso».
Due indicatori in particolare offrono alcune prospettive per quanto riguarda l’apertura di possibili azioni di sostegno ai giovani in questa avventura.
Infatti per trovare lavoro, ci dice l’indagine, si miscelano due caratteristiche: le competenze acquisite e l’importanza dell’aiuto di persone influenti. Mentre quest’ultima risposta viene sottolineata tra i più “cresciuti”, la prima è scelta soprattutto tra i più piccoli di età. Dietro a questa differenza certamente si possono riconoscere le prime delusioni, la stanchezza di vivere sovente nella precarietà, così da arrivare a sostenere che non basta una buona preparazione, non basta il tanto decantato know how, ma le selezioni del personale adottano criteri vari, dove c’è anche la fiducia nel candidato non solo il merito o la bravura.
Allora, all’interno del binomio competenze/aiuto di persone influenti, si cela anche un’altra prospettiva che pone all’interno delle risposte dei giovani almeno due esigenze. Da una parte si mostra quanto sia importante il capitale sociale per ricercare un lavoro stabile. Ne nasce l’esigenza di come poter inserire una persona nella comunità locale, come costruire reti di prossimità per introdurla ed accompagnarla nel tessuto socio-economico. Se il percorso di inserimento lavorativo è un itinerario lungo. Non bastano più le relazioni familiari per affiancare i giovani, e dai dati sembra che i giovani lo sappiano; serve, molto probabilmente, un’iniziativa attiva delle agenzie di collocamento, dei sindacati, delle associazioni di Terzo settore, del mondo profit e no profit, perché si possa tutelare e accompagnare, quasi guidare nella scoperta dei propri talenti chi si affaccia sul mercato del lavoro.
Dall’altra parte emerge la grande importanza che i giovani attribuiscono alle competenze, confermata dalle risposte degli intervistati rispetto alla relazione strettissima tra quelle e la possibilità di carriera. Oggi nella società della conoscenza, che richiede un costante aggiornamento personale, i giovani ci chiedono di interrogarci su un tema basilare come favorire una formazione continua, che rinnova i saperi non solo quando si è fermi ai box, ma che trova spazi e riconoscimenti anche quando si in un periodo lavorativo, anche e soprattutto quando si hanno contratti atipici.
 
 
 
Per la descrizione dei dati si rimanda al volume Buzzi, C., Cavalli, A., de Lillo, A., Rapporto Giovani. Sesta indagine dell’Istituto IARD sulla condizione giovanile in Italia, Il Mulino, Bologna, 2007, in particolare la Parte Prima Capitoli III e IV.
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