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In questi giorni di dura protesta contro le misure della manovra, non ultima la norma sui licenziamenti discussa in queste ore, vale la pena dedicare una riflessione sul mercato del lavoro. Ci troviamo all’interno di una fase drammatica della crisi economica che nell’ultimo biennio ha bruciato in Italia oltre mezzo milione di posti di lavoro. Proprio sul lavoro si sono scaricate con drammatica evidenza le conseguenze della recessione internazionale. Con il terribile paradosso che proprio dalla "svalutazione del lavoro", imposta da processi di globalizzazione non adeguatamente governati, provengono molti dei fondamentali della crisi di sistema che le economie avanzate stanno attraversando.

Dunque la regressione del lavoro e la conseguente crescita delle disuguaglianze è alla base di un sentiero recessivo che finisce per scaricarsi sugli stessi lavoratori, comprimendo le garanzie degli occupati e riducendo fortemente le possibilità di accesso delle nuove generazioni. Una lettura ancora più nitida di questa situazione ce la offrono, con la fredda realtà dei numeri, le regioni meridionali. Analizzare le condizioni del mercato del lavoro nel Sud vuol dire infatti confrontarsi con il dramma quotidiano dell’assenza di opportunità di realizzare nel lavoro le proprie aspettative di vita, vuol dire vedere negata la possibilità per molte famiglie di programmare il proprio futuro. Una sofferenza sociale che diviene, attraverso il calo della partecipazione scolastica e la crescente emigrazione della componente laureata, anche riduzione strutturale del potenziale di crescita economica.
Mai come in questi anni abbiamo assistito ad un peggioramento di tutti gli indicatori di sviluppo economico e sociale. Il tasso di occupazione è sceso nel Mezzogiorno al 43,9% e quello femminile al 30,5%; basti ricordare che l’obiettivo posto dalla strategia di Lisbona, ribadito nel documento strategico "Europa 2020" era il 70% e il 60% per le donne. Per raggiungere questi target dovremmo creare nei prossimi anni 3,5 milioni di posti di lavoro al Sud, di cui oltre 2 milioni di lavoratrici donne!
Se analizziamo in particolare la dinamica della componente giovanile appare evidente l’esclusione di una intera generazione dai processi di sviluppo. La quota di giovani tra 15 e 34 anni che ha una occupazione è al Sud appena il 30%; valore che scende a poco più del 20% per le ragazze meridionali. Ciò vuol dire che 7 ragazzi su dieci e 4 donne su 5 sono fuori dal mercato del lavoro e di conseguenza sono impossibilitati a raggiungere l’autonomia finanziaria dalla famiglia di origine.

Un inadeguato sistema di welfare e la debolezza delle politiche di sostegno per il diritto allo studio, soprattutto per le famiglie più povere, sta determinando anche un inversione nel processo di formazione. Un dato da non sottovalutare è quello del forte calo delle iscrizioni all’Università. Nel corso dell’ultimo quinquennio, in tutto il Paese, si è verificato un brusco calo dei ragazzi che, una volta conseguito il diploma, decidono di intraprendere gli studi universitari: il tasso di passaggio è sceso di circa 10 punti tra il 2005 e il 2010, dal 70 al 60%. L’interruzione del processo di accumulazione formativa e culturale è la sintesi di un declino, di una mancanza di speranza nel futuro, ma anche di una deriva culturale in cui l’investimento formativo non è più ritenuto la principale determinante della mobilità sociale. D’altronde la scelta per troppi giovani laureati meridionali, negli ultimi anni, è stata, dopo aver studiato, quella di dover emigrare al Nord. La ripresa dei flussi migra¬tori, soprattutto di laureati, è la con¬seguenza dell’assenza di occasioni di impiego adeguato nella propria terra. Questo almeno finché il Nord è riuscito ad assorbire tali flussi. Ora per molti è di nuovo come un secolo fa anche l’emigrazione verso l’estero.
Un simile quadro non offre certo motivi di ottimismo. Eppure basta girare per il Sud, per vedere quante intelligenze e potenzialità ancora vi siano. Dalle possibilità di accesso al mercato del lavoro di questa generazione, di donne e uomini che hanno investito nel proprio sapere, dipende la ricostituzione di un processo di crescita. Qualsiasi disegno strategico per la ripresa economica non può dunque che partire da esse. La rimodulazione della spesa pubblica e la concentrazione delle risorse dei fondi strutturali deve portare a definire una strategia che, attraverso il rafforzamento degli interventi per il diritto allo studio e un piano straordinario per l’occupazione, rimetta al centro della politica il lavoro, soprattutto per coloro che non l’hanno mai avuto.

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