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L’Italia è un paese per vecchi dove si vive più a lungo e si fanno meno figli. La nostra società sta invecchiando e non solo per motivi demografici, ma anche perché nei settori chiave del mondo del lavoro e della cultura lo spazio per i giovani è sempre più angusto. E’ questo il quadro allarmante che emerge dall’indagine promossa dal Forum Nazionale dei Giovani e dal CNEL, in collaborazione con Unicredit, sul ricambio generazionale in politica, nel mondo delle libere professioni e nelle università, raccolta nel volume URG! Urge ricambio generazionale.

Le traiettorie occupazionali dei giovani sono disseminate di ostacoli e mostrano in partenza il problema del precariato; oltre un collaboratore su due ha meno di 35 anni e per la maggior parte dei casi non si tratta di contratti d’ingresso nel lavoro a tempo indeterminato.rn

Il dato più preoccupante però è un altro: quasi un milione di under 35 che nel 2006 avevano in qualche modo partecipato al mercato del lavoro, nel 2007 hanno deciso che non valeva neanche la pena continuare la ricerca. Quindi è molto consistente la quota di giovani che ha smesso di cercare con continuità un impiego, prolungando in moltissimi casi, 66,5%, la permanenza all’interno della famiglia d’origine.

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In politica….

rnNonostante la sfida del ricambio annunciata nelle campagne politiche del 2008, igiovani continuano ad essere penalizzati dalla legge elettorale, rimanendo una sparuta minoranza in Parlamento. Dal 1992 ad oggi i deputati under35 non hanno mai raggiunto la soglia del 10% degli eletti alla Camera, fatta eccezione per la XII Legislatura (1994-1996 − 12,4%).
La presenza dei giovani in Parlamento: Camera dei deputati (anni 1992/2008 –%)


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Fonte: rielaborazione su fonti istituzionali

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Non è un caso che questo picco si sia registrato nel periodo successivo a Tangentopoli, il terremoto giudiziario che ha costretto i partiti a rispondere alla domanda di cambiamento proveniente dalla società. Ma lo spauracchio è durato poco e la dinamica virtuosa si è ben presto interrotta: già nella XIII Legislatura (1996-2001), i deputati giovani-adulti sono diminuiti in modo consistente (8,2%)ed oggi, dopo le elezioni di aprile 2008, si registra solo un modesto incremento rispetto al quinquennio precedente (5,6%, +1,5%). In pratica si è tornati ai livelli degli anni Ottanta.

E’ grave quindi il deficit democratico dei giovani: benché i 25-35enni siano un segmento assai consistente della popolazione maggiorenne (18,7%), il loro peso parlamentare risulta scarso; il che vuol dire che la loro rappresentanza è pari solo ad un terzo dell’incidenza effettiva sugli elettori (0,29).

Con i vincoli attuali (la soglia di 25 anni per candidarsi ad un posto nella Camera dei deputati), i 18-24enni vengono lasciati fuori da Montecitorio: non è un caso infatti che il Ministero per la gioventù abbia lanciato la proposta di equiparare i diritti passivi a quelli attivi dell’elettorato giovanile.

Ad ogni modo, non è solo un problema di rappresentanza in Parlamento. Le cattive notizie arrivano anche dal territorio dove ci si aspetterebbe una maggiore partecipazione dei giovani. Negli ultimi 15 anni, è diminuita la presenza dei giovani consiglieri, assessori e presidenti nelle Regioni: dal 5,2% al 3,9%, un dato davvero preoccupante se si considera l’imminente varo della riforma federalista che attribuisce un ruolo fondamentale ai governi regionali. Anche nei comuni e nelle Province, pur in presenza di percentuali più elevate, si assiste ad una tendenza analoga.

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Nelle Università…

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Sono tre i tratti peculiari del mondo accademico: un sistema di cooptazione poco (o affatto) meritocratico, uno concorsuale tutt’altro che trasparente e, non ultimo, il precariato.

Gli ultimi dati del Ministero dell’Istruzione rivelano i numeri dell’anomalia italiana: l’età media dei docenti universitari è di 51 anni, ma se si considerano solo gli ordinari, i docenti all’apice della carriera, l’età media raggiunge i 59 anni. La metà dei professori di prima fascia ha superato i 60 anni e circa 8 docenti su cento hanno compiuto 70 anni. Non che i professori associati e i ricercatori siano particolarmente giovani (l’età media è, rispettivamente, di 52 anni e di 45 anni). I giovani sono dunque pochissimi: solo il 7,6% se si considerano solo quanti non hanno più di 35 anni. Di questi, però, la stragrande maggioranza ricopre la qualifica più bassa della gerarchia accademica: i giovani ricercatori sono il 7,1%, i professori associati lo 0,5% e , scavando ancora nei decimali, gli ordinari solo 0,03%.

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Nelle libere professioni…

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Il giornalismo, la medicina, l’avvocatura e il notariato sono ai limiti della sclerotizzazione.

I giovani giornalisti, costretti ad un percorso ad ostacoli fatto di lavoro non riconosciuto, stage, tirocini gratuiti e condizioni di estremo precariato o sotto-occupazione vedono la luce non prima dei 40 anni. Se, infatti, l’età media dei giornalisti professionisti è di 54 anni, i pubblicisti non sono certo molto più giovani (52 anni). Anche l’età media dei praticanti, 36 anni, è decisamente elevata rispetto a quella che dovrebbe essere l’età di chi si affaccia al mondo del lavoro. Nel panorama giornalistico italiano il praticantato più che punto di partenza rappresenta un punto di arrivo; un traguardo che in pochi riescono a raggiungere a caro prezzo.

Neanche i dati sull’età dei medici iscritti all’Albo professionale nel 2007 sono confortanti: i medici con non più di 35 anni sono poco meno del 12%. Le cose non vanno meglio se si considera la fascia d’età successiva: i 35-39enni non raggiungono il 10%. Buona parte dei medici iscritti all’Albo, il 56%, ha più di 50 anni e tra questi più dell’11,5% ha più di 65 anni. La struttura per età della professione medica è un’involuzione recente: nell’arco di un decennio i medici con meno di 35 anni si sono praticamente dimezzati.

Un dato indicativo delle difficoltà che incontrano i giovani medici nell’affermasi professionalmente è rappresentato dall’età alla quale terminano la scuola di specializzazione. Con riferimento al 2006, 84,8 % dei medici che ha conseguito il diploma presso una scuola di specializzazione aveva già compiuto i 30 anni: il 15,6% aveva 30 anni, il 39% aveva un’età compresa tra i 31 e i 34 anni, mentre ben il 30,2% aveva già compiuto 35 anni.

La percentuale di under35 iscritti all’Albo degli avvocati è tutt’altro che irrilevante, essendo quasi un terzo del totale (27,8%): la maggior parte di essi esercita nelle regioni del Sud dove, probabilmente, le scarse opportunità lavorative incoraggiano i giovani a “crearsi” delle opportunità, magari intraprendendo la strada della libera professione. Nel mondo dell’avvocatura la questione giovanile non è tanto legata all’accesso alla professione, ma piuttosto alle condizioni lavorative: una pratica tutt’altro che formativa che spesso si riduce a lavoro di segreteria e un precariato iniziato con la pratica forense che prosegue senza soluzione di continuità anche dopo le abilitazioni.

Infine il notariato continua ad essere una professione blindata cui hanno accesso solo 4.726 persone[1] nonostante il processo di autoriforma. È stata prevista infatti l’introduzione di 840 nuove destinazioni, che porterebbe ad un incremento del 16% delle sedi notarili disponibili, ma il ricambio tarda ad arrivare perché negli ultimi dieci anni i vincitori di concorso sono sempre stati inferiori al numero delle sedi messe a disposizione, tanto che nel 2007 i posti vacanti erano ben 586[2].

Il numero chiuso, la pensione a 75 anni e l’estrema selettività dei concorsi sono gli altri fattori che ostacolano il ricambio generazione nella professione. I giovani sono talmente pochi che, nei dati pubblicati dal Consiglio Nazionale del Notariato, la soglia più bassa è fissata a quarant’anni. Gli under40 sono infatti solo il 16,2% del totale. Ai notai attualmente in esercizio andrebbero aggiunti altri 168 notai, freschi di nomina, di cui ben 125 non hanno più di 35 anni; tale aggiornamento porterebbe la quota dei notai under40 al 19% del totale. Si tratta di un dato certamente incoraggiante, ma rimane comunque il fatto che i giovani rappresentano una componente marginale , tanto più se non sono “figli d’arte”. Quasi due giovani notai su dieci, infatti, hanno deciso di intraprendere il cammino dei loro padri, forse con qualche difficoltà in meno.

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[1] Il dato ufficiale, aggiornato al 2007, è di 4.726 notai in esercizio. Ad essi vanno aggiunti i 187 vincitori del concorso indetto nel 2004, le cui graduatorie ufficiali sono state pubblicate nel maggio del 2008. Si arriva così a 4.913 notai.

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[2] La cifra è data dalla differenza del numero delle sedi previste dal Ministero della Giustizia (5.152) e il numero dei notai in esercizio (4.726).

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