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Quale dovrebbe essere l’obiettivo di una legge finanziaria? Semplice. Quello di massimizzare la felicità dei cittadini in un quadro di sostenibilità economica, sociale ed ambientale.

Sostenibilità ambientale vuol dire che la creazione di valore economico non può non tener conto del problema del deterioramento delle risorse ambientali, del problema del riscaldamento globale, ecc. Non è detto che ciò sia necessariamente un freno all’attività economica. Anzi, dal rapporto Stern in poi sappiamo che se sapremo cogliere questo momento di svolta possiamo avviare un gigantesco processo di riconversione del sistema industriale e dei trasporti in direzione di una maggiore sostenibilità ambientale in grado di dare nuovi stimoli all’economia..
Sostenibilità sociale vuol dire che l’economia deve essere al servizio della persona e non viceversa. Ricordando che la qualità di un sistema socioeconomico si vede dall’attenzione ai problemi degli ultimi.
Sostenibilità economica vuol dire che bisogna rispettare i vincoli del bilancio pubblico e avere le capacità di sfruttare a proprio vantaggio le leggi della creazione di valore economico. Il rispetto del bilancio pubblico non è un capriccio perché un debito pubblico minore vuol dire da domani poter sottrarre risorse al pagamento degli interessi del debito e in futuro ridurre il fardello sulle spalle delle generazioni a venire.
 
La finanziaria del governo risponde a questi criteri (e qui inevitabilmente opinioni che possono essere concordanti sui massimi principi enunciati sopra divergono sulle modalità di attuazione)? La strategia annunciata (inevitabile vista la composizione della coalizione al governo) è quella di mantenere un equilibrio tra coesione sociale, rigore finanziario e sviluppo. I risultati migliori, va riconosciuto, sono stati sinora quelli dal punto di vista del rigore finanziario.
Coniugando i principi del “political business cycle” e del motto nostrano “pagare meno pagare tutti” il governo si è proposto di sfruttare la prima parte del mandato per realizzare il “pagare tutti” aggredendo l’evasione fiscale ed aumentando volume e base del gettito anche a costo di perdere quota nei sondaggi. Questa finanziaria si trova a cavallo tra la prima e la seconda fase che è quella del “pagare meno” (una volta che si riesce a far pagare tutti) per recuperare consensi in vista della fine del mandato e delle successive elezioni. Da questo punto di vista è stato fatto e si sta facendo ciò che una politica degna di questo nome dovrebbe fare: affrontare anche temi impopolari con conseguenze sgradevoli a breve al fine di creare le condizioni per un maggior benessere di medio termine disinteressandosi del consenso “istantaneo” e puntando direttamente alla resa dei conti finale del momento elettorale vero e proprio.
Vero è che la soluzione dei problemi finanziari non è soltanto economica ma anche culturale. Mentre si lotta contro l’evasione è opportuno frenare la deriva schizofrenica di chi non capisce più che non è possibile fare la rivolta fiscale e poi pretendere ospedali e asili nido gratis. Le iniziative valide dal punto di vista di politica economica devono essere opportunamente argomentate nel dibattito culturale.
Dalla lotta all’evasione mai perseguita con tale costanza sono nati i vari tesoretti e il conseguente dilemma di come spenderli. Nessuno possiede ricette magiche sul rapporto tra ciò che deve andare al risanamento e ciò che deve essere utilizzato per promuovere inclusione sociale e pari opportunità oggi. Si chiede soltanto al governo di affrontare tutti i problemi sociali cercando se possibile le soluzioni più intelligenti che consentono, attraverso le sinergie con la società civile e le sue organizzazioni economiche, in nessun paese così vivaci come da noi, di risparmiare se possibile risorse pubbliche e di attivare quelle della società per la soluzione dei problemi nell’ottica del principio di sussidiarietà. La comprensione dell’importanza del ruolo della società civile, delle sue organizzazioni economiche e delle sinergie che esse possono realizzare in termini di efficienza nell’erogazione dei servizi e controllo della spesa non è ancora patrimonio comune nella politica nostrana.
Quanto alle cose che mancano sarebbe bello se si cominciasse a capire che il reddito di un single non è la stessa cosa del reddito di un capofamiglia con coniuge a quattro figli che va necessariamente diviso per un quoziente minore di sei ma certamente maggiore di uno. E che la famiglia è la principale fabbrica di capitale sociale nel nostro paese e va dunque salvaguardata anche dal punto di vista economico.
E’ forse possibile resistere di più a pressioni corporative sulla spesa mettendo al centro l’interesse delle nuove generazioni (per loro natura dotate di minore potere contrattuale) rendendo la nostra società più aperta e meritocratica. E’ sicuramente possibile ridurre alcuni sprechi dell’amministrazione pubblica e trovare maggiori risorse per la sostenibilità ambientale e sociale. Interessante da questo punto di vista l’idea di introdurre sistemi open source nella pubblica amministrazione (ormai compatibili con gli standard più diffusi) della proposta di Sbilanciamoci riducendo in maniera sensibile le spese per acquisti.
Nella lotta alla povertà, poiché il famoso “sgocciolamento” funziona molto poco (fate diventare i ricchi più ricchi in modo tale che un po’ del loro potere d’acquisto finirà a valle beneficiando anche le classi più povere) resta uno scandalo non solo nazionale ma globale non riuscire ancora oggi a destinare una parte delle risorse “precarie” generate nelle transazioni sui mercati finanziari al finanziamento di iniziative per la promozione degli ultimi. In assenza di regole comuni i cittadini si sono arrangiati da soli dando forza a tutte quelle iniziative volontarie promosse dalle imprese socialmente responsabili e destinando parte dei loro introiti da risparmio a queste iniziative.
Sacrosanto l’obiettivo di non trasformare la flessibilità in precarietà e creare le condizioni per puntare ad una stabilità professionale partendo magari da un ingresso nel mondo del lavoro più flessibile. Difficile stabilire su questo punto il discrimine in termini di aumento di qualche mese dei contratti a termine, di eliminazione di alcune figure di lavoro temporaneo, di inclusione di questa o quell’altra categoria nella lista dei lavori usuranti. Le ricette in questo caso sono complesse e bisogna andare oltre il semplicismo di pensare che per creare posti di lavoro stabili bastino le clausole d’un contratto (anche se possono sicuramente contribuire). L’occupazione stabile deve essere promossa creandone le condizioni e non promulgandola con un editto.
Proprio per essere più efficaci in tale direzione quello che forse manca è la capacità di comprendere appieno le connessioni tra locale e globale. Il problema della precarietà del lavoro ha a che vedere con l’inasprirsi della competizione globale in uno scenario in cui, per fortuna, due paesi che da soli fanno un terzo della popolazione del pianeta stanno prepotentemente sviluppandosi mentre resta uno zoccolo duro di povertà estrema difficile da eliminare. La strada da perseguire con lucidità per mettere assieme la soluzione dei due problemi locale (precarietà del lavoro da noi) e globale (sacche di povertà estrema) è la stessa. Un’alleanza tra il pubblico, i consumatori responsabili e le imprese socialmente responsabili nella consapevolezza che consumo e risparmio sono voti con il portafoglio e che è possibile cambiare dal basso la struttura dei consumi per promuovere con le proprie scelte quelle imprese all’avanguardia nella promozione dei diritti sociali dei lavoratori marginalizzati. In questo percorso il ruolo dei governi è stato finora neutrale ma definire le regole del gioco in un modo o nell’altro è invece essenziale. Si devono modificare le regole degli appalti pubblici affinché, come già accade in molti paesi del nord europa i criteri di responsabilità sociale ed ambientale diventino decisivi per la loro aggiudicazione, si deve creare un mercato del rating sociale per aiutare i cittadini ad essere informati e a scegliere anche sui comportamenti di responsabilità sociale ed ambientale delle imprese, bisogna accelerare nello stabilire una regolamentazione che spinga nei fatti le aziende ad effettuare questa svolta.
Dal punto di vista della finanziaria il bello è che si tratta di iniziative praticamente a costo zero e tutt’altro che pregiudizievoli per il sistema Italia. Sono regole che valgono per tutti i concorrenti italiani e stranieri che vendono ai consumatori del nostro paese e dunque non cambiano i rapporti di forza tra un sistema paese ed un altro.
E’ questa la grande partita che contiene tutte le altre ma dobbiamo fare ancora molta strada dal punto di vista culturale per capirlo.
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