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Mi piace riprendere la metafora pirandelliana posta a titolo di una delle opere teatrali più innovative del ‘900 drammaturgico europeo, per parlare dello stato di salute della vita civile e sociale del nostro Paese.

Provando a fare ordine tra il bombardamento mediatico di questi ultimi giorni; in una successione incalzante, gli italiani, come in una mega fiction, hanno visto e subito gli effetti più perniciosi di tanti fenomeni preoccupanti se non degradanti: il dramma dei rifiuti e la polveriera sociale che attorno ad esso si sta creando; le perduranti instabilità del sistema politico (fino al collasso?); le vicende giudiziarie: da Mastella a Cuffaro a Berlusconi; il clima di difficoltà che ha reso impossibile la visita di Benedetto XVI alla più grande università europea; le continue morti sul lavoro. Ma ciò che più sconcerta, più della insopportabile inefficienza del sistema-Italia, più della delegittimazione della Magistratura, più delle “normali” raccomandazioni di attrici e ballerine nella tv pubblica, più del degrado civile e sanitario dato da quintali di spazzatura che sostituisce l’arredo urbano partenopeo, persino più delle dichiarazioni di un governatore che, condannato e interdetto dai pubblici uffici, si dice comunque contento e legittimato a continuare il suo ruolo istituzionale, più di tutto questo sconcerta il fatto che manchino oramai totalmente gli anticorpi per reagire con fermezza e indignazione collettiva alla stato di sfilacciamento e decadenza del tessuto etico e sociale italiano.
La settimana scorsa il Financial Times scriveva del nostro Paese come “il peggio governato d’Europa”, vittima del “fallimento nell’affrontare la corruzione rampante 15 anni dopo Tangentopoli”, e di una classe dirigente “iper-pagata” e preda del trasformismo. L’Eurispes rileva che i partiti e la politica sono agli ultimi posti nell’indice di fiducia della gente.
Si recita dunque a soggetto! Proprio nella sera, anzi nella notte, democratica è assente ogni orizzonte progettuale di convivenza e un’etica pubblica all’altezza delle sfide odierne. Alcuni parlano di ritorno al ’92 e al clima di “morte” che accompagnava la fine della Prima Repubblica. Io non so dire se siamo alle porte di un nuovo trapasso, so però che ci troviamo in piena notte, non paiono purtroppo prefigurarsi segni evidenti di speranza. Pochi giorni fa l’intellettuale Umberto Galimberti, in una nota tribuna politica, condivisibilmente stimava che la società italiana e i suoi rappresentanti non hanno più un’idea di Bene comune, essa si comporta in modo non etico e per di più non è in grado di reggere il passo dello sviluppo e di auto-modificare il suo modo di essere.
La logica della navigazione a vista, del recitare a soggetto, del procedere a tentoni di certo non è la logica del bene condiviso, né quello dell’unità nazionale. Non resta che augurarci che le cose cambino, ma per farlo, abbandonati i sogni referendari, serve l’indignazione di tutti e la voglia di intraprendere la strada difficile e stretta della ricostruzione morale e comunitaria della nostra società. Nessuno può tirarsi fuori da questo regime di responsabilità, il rischio è che il soggetto pirandelliano non abbia più nemmeno un teatro dove esibirsi, né una scena in cui inserirsi, rimanendo solamente una smaschera senza identità. 
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