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«Volere il bene comune e adoperarsi per esso è esigenza di giustizia e di carità. Impegnarsi per il bene comune è prendersi cura, da una parte, e avvalersi, dall’altra, di quel complesso di istituzioni che strutturano giuridicamente, civilmente, politicamente, culturalmente il vivere sociale, che in tal modo prende forma di pólis, di città. Si ama tanto più efficacemente il prossimo, quanto più ci si adopera per un bene comune rispondente anche ai suoi reali bisogni».

Così leggiamo nelle parti introduttive (n. 7) dell’ultima enciclica del Santo Padre, Caritas in veritate. Ed è certamente su questo orizzonte che si muoveranno le riflessioni della prossima Settimana Sociale dei Cattolici Italiani (Reggio Calabria, 14-17 Ottobre 2010): consueto appuntamento culturale della Chiesa italiana nato agli inizi del Novecento grazie all’intuizione di Giuseppe Toniolo, figura di santità centrale nell’elaborazione del pensiero sociale cristianamente ispirato.

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Il tema del bene comune, come sappiamo, da qualche anno è tornato con forza ad essere al centro della produzione magisteriale e della riflessione culturale dei laici. In particolare si è cercato di declinarlo sempre più in relazione ai diversi ambiti e alle diverse problematiche della vita sociale e civile del Paese. Il titolo stesso di questa prossima Settimana Sociale rappresenta questo modo dinamico e realistico di intendere l’orientamento al bene condiviso e all’interesse generale: Cattolici nell’Italia di oggi. Un’agenda di speranza per il futuro del Paese.
Lo scenario in cui si collocherà questa iniziativa è sicuramente particolare: l’Italia, come viene spesso detto nel Documento preparatorio, sta attraversando un periodo complesso e con molti segni di crisi sul piano economico-sociale, politico, culturale, valoriale. Fenomeni corrosivi, infatti, stanno seriamente erodendo le basi della convivenza civile: l’indebolimento dei legami sociali e l’emergere di nuovi egoismi corporativi; l’emergere con durezza di una nuova questione sociale, sotto la spinta della crisi globale e di inediti scenari produttivi; “lo smantellamento dell’agorà quale naturale spazio della cittadinanza” (Z. Bauman); lo squilibrio nord-sud; la faticosa gestione del tema sicurezza e dell’accoglienza / integrazione del diverso; lo scontro tra i poteri dello Stato, esito della mal gestita transizione istituzionale e politica; la sofferenza crescente nell’ambito della partecipazione e della cittadinanza attiva.
In tal senso “un’agenda di speranza per il Paese” non è solo un’utile azione di discernimento comunitario applicato alle realtà temporali, ma è una necessità concreta per dar voce all’originale modo, che i cristiani esercitano, di leggere la storia sociale, la condizione civile e i segni dei tempi alla luce del patrimonio di riflessione rappresentato dalla Dottrina Sociale della Chiesa.
“Orientarsi al bene comune” (Doc. prep. cap. II), dunque, nella fase attuale potrebbe essere un’autentica opera di conversione della vita pubblica; sarebbe il segno di una inversione di tendenza; aprirebbe lo scenario, auspicabile per ogni democrazia matura, del dialogo reale e della cooperazione tra società civile e politica, e ancor più tra i livelli e gli organi istituzionali. Altrimenti dire che il bene comune è “l’insieme delle condizioni che permettono ai singoli e ai gruppi di raggiungere più velocemente e in pienezza la propria perfezione” rischia seriamente di rimanere un appello di principio senza traduzione nella Costituzione materiale dello Stato e nella vita di tutti.
Oggi servono speranza e progetto, serve capacità di traguardarsi sul medio-lungo periodo senza dimenticare le urgenze, ma al tempo stesso senza lasciarsi schiacciare dalla logica perversa del “qui ed ora”. In fondo, questa è la capacità che viene chiesta ad una società realmente partecipativa e coinvolta nelle vicende pubbliche in modo reale.
I cristiani, come spesso ci ricordano i nostri vescovi, possono assolvere al ruolo decisivo di stimolare e promuovere queste condizioni per vie di futuro possibile e di sviluppo. Anche per questo va colto e rilanciato l’auspicio di Benedetto XVI (Cagliari, 7 Settembre 2008), ripreso variamente anche dal Consiglio Permanente della CEI, circa una nuova generazione di laici cristiani impegnati, capaci di ricercare con competenza e responsabilità vie di sviluppo sostenibile. Si invita a ricreare le condizioni per una nuova stagione di impegno politico e civile dei laici credenti, e nello stesso tempo ad operare una loro più matura e responsabile presenza nella vita pubblica, partendo proprio dall’amore per il territorio in cui sperimentano il cammino di santità. Tale buona fatica li metterà in grado di operare quelle sintesi alte e quelle mediazioni, tra principi professati e contesto odierno, indispensabili per una fede adulta e consapevole.
Questo nuovo “alfabeto della partecipazione” viene oggi raccomandato come urgenza per la testimonianza cristiana. «L’azione dell’uomo sulla terra – ci ammonisce la Caritas in veritate (n.7) –, quando è ispirata e sostenuta dalla carità, contribuisce all’edificazione di quella universale città di Dio verso cui avanza la storia della famiglia umana».
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