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Gli intensi lavori della Settimana Sociale dei Cattolici Italiani (18-21 Ottobre 2007), centrati attorno alla questione del Bene Comune e delle sue possibilità di realizzazione nella società globale di oggi, hanno avuto a mio parere come sfondo alcuni nodi decisivi per la vita e la natura stessa della sfera pubblica.

Tra questi di certo la questione del ruolo delle religioni nello spazio sociale è emerso come il fondamentale crocevia attraverso il quale può costituirsi un discorso significativo intorno alle basi pre-politiche dello Stato, ovvero intorno a quel substrato etico-relazionale che garantisce la coesione di una comunità civile e permette di rinforzare, attraverso il riferimento alla dimensione valoriale, la convivenza democratica. Su questo piano entra in gioco l’idea di laicità politica e la sua interpretazione. Infatti il Documento preparatorio alla Settimana Sociale (n. 23) sottolinea che, in ragione di una società sempre più multietnica e globale, è entrato in crisi il modello di laicità coltivato nella modernità: «lo Stato laico moderno ha potuto praticare il separatismo tra religione (sfera privata) e norma giuridica (sfera pubblica), perché tutti gli attori, nel momento in cui scendevano nell’arena pubblica, avevano comunque – credenti e non credenti – un comune riferimento di valori, quello della tradizione cristiana». Oggi l’indifferenza valoriale (dove il valore equivale a preferenza solamente individuale e privata), in cui spesso vediamo tradursi il dispositivo neutralista e separatista dello Stato moderno, corre il rischio di far associare, nelle prassi che regolano la vita degli Stati e nello stesso senso comune, il valore – etico e metodologico – della democrazia con il relativismo: la democrazia rischia di diventare l’altro nome dell’agnosticismo morale. Le società complesse hanno bisogno di trovare risorse normative e di senso, che l’idea proceduralista di democrazia da sola non può offrire.rn

 
Rispetto a tale orizzonte si è mosso, in questi ultimi anni, anche un importante intellettuale laico come J. Habermas (cfr. Tra scienza e fede, Laterza 2006). Egli ha invitato a promuovere una riflessione condivisa su ciò che l’uomo è e su quale destino poggia il suo futuro; ha inoltre messo in evidenza la necessità che si attivi uno sforzo tra credenti e non credenti di traduzione cooperativa dei contenuti di senso e dei potenziali cognitivi della religione. Su questa linea penso che oggi, dopo la caduta delle grandi narrazioni del moderno, pensiero laico e ragione credente dovrebbero disporsi ad un mutuo reciproco apprendimento. Questo non sarebbe un mettere in dubbio i fondamenti delle democrazie, ma il tentativo laico di non estromettere le religione dalla sfera pubblica e dalla sua auspicata polifonicità. Si tratta di riconoscere, anche nel dibattito sulla vita della democrazia, dignità e sensatezza alla ragioni del credente; quest’ultimo però – e utile sottolinearlo – deve impegnarsi in uno sforzo traduttivo e argomentativo della propria visione delle cose, proprio perchè il bene in senso politico è davvero possibile se, evitati facili sincretismi e steccati, viene costruito in comune.
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