Oggi più che mai l’impegno sociale del credente dovrebbe essere accompagnato da una formazione permanente. La dottrina sociale si pone, infatti, quale criterio di azione per i laici, ai quali è richiesta una sua conoscenza “più esatta”. Dalla tradizione del pensiero sociale della chiesa è possibile trarre alcune indicazioni ed ambiti di impegno concreto per il lavoro pastorale di trasmissione della dottrina sociale, lavoro che dovrebbe vedere impegnate soprattutto le parrocchie, spazio “naturale” per la promozione della dottrina sociale. La parrocchia – chiesa nel territorio, comunità plurale ed aperta, realtà di prossimità – si presenta, infatti, quale ambiente capace di animare e sostenere molteplici processi ed esperienze di apprendimento e concretizzazione dell’insegnamento sociale della Chiesa.
È nella parrocchia che l’approfondimento della dottrina sociale può continuare ad alimentare una nuova capacità ispiratrice ed operativa e legare gli innumerevoli interventi sociali (di volontariato e non) realizzati sul territorio ad una accresciuta consapevolezza.
Come è emerso durante il 1° Festival della dottrina sociale della Chiesa, svoltosi a Verona nel settembre 2011, una nuova generazione di laici impegnati nel sociale anima le comunità parrocchiali, si organizza in gruppi, frequenta scuole di formazione, avvia laboratori, realizza progetti sul territorio, comunica sui social network.
La parrocchia consente di promuovere attività rivolte all’intera comunità ecclesiale e di coinvolgere le aggregazioni e i movimenti in essa presenti, nonché le forze e le espressioni sociali presenti nel territorio.
Tuttavia, un rinnovato impegno delle comunità parrocchiali verso la dottrina sociale deve fare i conti con alcune criticità che è possibile rinvenire nella prassi ecclesiale: una diffusa percezione della dottrina sociale come insegnamento prettamente teorico e rilevante solo per pochi operatori ed “addetti ai lavori”, la preferenza accordata all’intervento sociale concreto, l’attribuzione della responsabilità formativa principalmente alle scuole diocesane, la mancanza di adeguati strumenti formativi, la bassa attenzione dei pastori verso l’insegnamento sociale.
Si tratta di aspetti problematici, ai quali, in alcuni casi, si è tentato di far fronte ricorrendo alla “supplenza” dei movimenti ecclesiali o alla “delega” ai singoli laici. Da ciò scaturisce la necessità di ricercare e sperimentare quegli strumenti che possano convertire in forme nuove l’ispirazione all’impegno sociale che da sempre connota l’opera dei cattolici.
Tra gli strumenti considerati idonei a perseguire tale scopo, il compendio indica espressamente la catechesi, la formazione dei laici, l’opera delle istituzioni educative, la formazione del clero, ai quali è possibile aggiungere, traendoli dall’esperienza ecclesiale, la predicazione, i laboratori formativi, l’insegnamento scolastico, la stampa periodica, i nuovi media.
Per quanto concerne la catechesi ordinaria, questa, quale strumento fondamentale ma non unico di educazione alla fede, potrebbe costituire un importante momento per una “presentazione integrale” del magistero sociale. Occorre una catechesi capace di coinvolgere attivamente quanti sono chiamati a concretizzare gli insegnamenti sociali nella vita quotidiana e professionale e di far emergere le esperienze e le buone pratiche realizzate nel territorio (come ad esempio le imprese e le organizzazioni non profit che hanno applicato la dottrina sociale).
Particolarmente fecondi sul piano formativo si presentano, inoltre, tanto i confronti con le molte persone portatrici di preziose testimonianze, quanto i laboratori per predisporre e realizzare progetti di intervento nel territorio. Si tratta di promuovere e sostenere la costituzione di gruppi e di laboratori parrocchiali dedicati alla dottrina sociale, nei quali si possano conoscere e sperimentare gli insegnamenti sociali, ma anche dialogare con il territorio; insomma, luoghi di studio e di discussione sulle dinamiche economiche, civili e politiche che caratterizzano la vita delle comunità.
In parrocchia vi è, altresì, spazio per avviare un impegno educativo al fine di promuovere una cittadinanza responsabile. L’insegnamento sociale, con la sua attenzione al bene comune, consente, infatti, di trasmettere senso civico e di promuovere una cittadinanza responsabile. Il rispetto delle regole della convivenza civile, la garanzia dei diritti di cittadinanza da parte della pubblica amministrazione e dei servizi di pubblica utilità, l’impegno per la legalità e il contrasto alle organizzazioni criminali, nonché la lotta all’evasione fiscale, l’affermazione della meritocrazia, la promozione di attività associative e di volontariato, la tutela dell’ambiente, costituiscono alcuni dei temi affrontati dalla dottrina sociale.
L’“intesa e costante opera di formazione”, auspicata dal compendio, è rivolta soprattutto ai laici: “la dottrina sociale della Chiesa deve entrare, come parte integrante, nel cammino formativo del fedele laico”. La dottrina sociale non si rivolge solo ai politici, né tanto meno solo agli operatori economici, imprenditori e lavoratori: la dottrina sociale parla a tutti.
La formazione dovrebbe rendere i laici tanto “capaci di affrontare efficacemente i compiti quotidiani negli ambiti culturali, sociali, economici e politici” quanto preparati “all’esercizio del potere politico”, nonché ad assumere le responsabilità di classe dirigente. Dunque, la progettazione degli interventi formativi dovrebbe tener conto del diverso e multiforme impegno dei laici nella vita civile e dei rispettivi fabbisogni formativi. Si tratta di un obiettivo che può essere raggiunto facendo leva sull’autonomia e la libera iniziativa del laicato e sulle cosiddette istituzioni formative. Dunque, percorsi formativi possono (e devono) scaturire, nell’ambito delle realtà parrocchiali, soprattutto dall’iniziativa dei laici.
L’attivazione di queste iniziative se da un lato potrebbe alimentare nuovi momenti aggregativi del laicato, dall’altro potrebbe rendere più efficiente e capillare l’azione delle scuole di formazione presenti soprattutto a livello diocesano, creando esperienze reticolari e diffuse.
Una simile prospettiva dovrebbe essere sostenuta anche dalle aggregazioni laicali ecclesiali (gruppi, associazioni e movimenti), nonché dalle associazioni di categoria (ad esempio medici, insegnanti, giuristi, imprenditori, lavoratori, sportivi, ecologisti, etc.). In particolare, ad esse è chiesto non solo di supplire ad eventuali inerzie, ma soprattutto di farsi promotori di momenti e percorsi formativi a livello territoriale rivolti all’intera comunità ecclesiale e non solo ai propri aderenti.
Gli interventi formativi dovrebbero coinvolgere non solo gli adulti, ma anche i giovani, ai quali deve essere data la possibilità di interloquire, in maniera diretta, con esponenti del mondo culturale, economico, politico e sindacale sui grandi temi di attualità e di far parte attivamente, insieme ai propri genitori ed educatori, della comunità educante che cresce e si apre alla società. La dottrina sociale può fornire, infatti, ai giovani solide fondamenta per costruire un futuro improntato al bene comune e alla capacità di confrontarsi criticamente con “la città dell’uomo”. Per far ciò si rende necessario sperimentare nuovi linguaggi e strumenti formativi.
Un contributo innovativo può essere apportato dall’insegnamento scolastico della religione. In primo luogo i contenuti della dottrina sociale, ed in particolare la cultura civica da essa mediata, ne possono integrare ed arricchire l’oggetto di studio. In secondo luogo l’insegnamento scolastico della religione può contribuire, nell’ambito delle aree storico-geografica e storico-sociale, all’implementazione dell’insegnamento “Cittadinanza e Costituzione”, di recente introdotto dopo la soppressione del più tradizionale insegnamento dell’educazione civica. I principi e i contenuti della dottrina sociale possono, infatti, concorrere alla definizione di un percorso formativo di educazione alla cittadinanza, capace di rafforzare le capacità cognitive e relazionali dei giovani e l’integrazione tra cittadini italiani e stranieri.
L’azione formativa può essere, inoltre, completata ed arricchita con la predicazione. La sensibilizzazione ai diversi problemi della società, l’invito a valutare, con i criteri della dottrina sociale della Chiesa le situazioni, le strutture ed i sistemi economici, sociali e politici possono, così, concorrere a meglio interpretare ed applicare il Vangelo alla realtà sociale. La predicazione può, dunque, contribuire alla “preparazione” dei credenti per poter operare adeguatamente ai vari livelli e nei differenti settori dell’attività umana.
Le parrocchie dovrebbero essere impegnate a promuovere non solo la conoscenza, ma anche la traduzione culturale e la diffusione della dottrina sociale secondo un approccio che sappia incontrare le domande più profonde che emergono dalla vita delle persone e dalla sfida della complessità sociale. Oggi, infatti, più che mai appare necessario presentare, in termini culturali aggiornati, il patrimonio del magistero sociale. Alcuni utili strumenti a tal fine sono le molteplici forme di stampa periodica da tempo diffuse nelle parrocchie, ma soprattutto i nuovi canali di comunicazione sempre più utilizzati dalle comunità. Se da un lato sarebbe opportuno dare maggior spazio nei periodici parrocchiali alla riflessione sui temi sociali, dall’altro l’utilizzo dei nuovi media, soprattutto il web, dovrebbe indurre un ripensamento delle modalità di comunicazione, promuovendo una più adeguata mediazione culturale con particolare attenzione ai giovani fruitori e consentire di mettere in rete le esperienze realizzate sul territorio, facilitando, altresì, lo scambio di dati e contenuti conoscitivi e formativi.
Se la parrocchia costituisce il luogo “naturale” per la conoscenza e la diffusione dell’insegnamento sociale, nuovi compiti e responsabilità investono i pastori delle comunità locali. In particolare, il compendio sottolinea l’impegno del presbitero a programmare opportuni itinerari formativi per far conoscere la dottrina sociale e a promuovere, nei membri delle rispettive comunità, “la coscienza del diritto e dovere di essere soggetti attivi di tale dottrina”. Il rilancio del lavoro pastorale per la conoscenza e la divulgazione della dottrina sociale della Chiesa passa, dunque, attraverso un’adeguata formazione dei pastori che operano nelle parrocchie.
L’intera Comunità ecclesiale, con la sua diversità di ruoli, responsabilità e carismi, è chiamata ad affrontare una nuova sfida, secondo uno spirito “sussidiario”, che affidi ai laici la primaria responsabilità per l’animazione della realtà sociale e corregga eventuali derive dirigiste. Come è stato scritto da Giovanni Paolo II nell’enciclica Centesimus annus “la “nuova evangelizzazione”, di cui il mondo moderno ha urgente necessità […] deve annoverare tra le sue componenti essenziali ‘annuncio della dottrina sociale della Chiesa”. Dunque, la formazione alla dottrina sociale dovrebbe porsi quale momento centrale ed irrinunciabile dell’azione di animazione cristiana delle realtà temporali.
E per far questo bisogna recuperare, a livello parrocchiale, e a livello di Comunità ecclesiale in genere, il rapporto con il territorio attraverso lo sviluppo di capacità idonee ad analizzare e comprendere la complessità del sociale, e ad animare, infine, nuove progettualità, facendo rete con gli operatori sociali, economici ed istituzionali.
La dottrina sociale e il nuovo impegno dei cattolici
In questo periodo di crisi politica ed economica vi è bisogno di “rinnovare il sociale” e di superare la “distanza” tra comunità ecclesiale e comunità civile. In ambito ecclesiale appare necessario rilanciare l’azione sui temi sociali di quanti sono già impegnati nella pastorale e di investire nella formazione integrale, ed in particolare al bene comune e alle responsabilità civili, di tutti i credenti.
Ti è piaciuto questo articolo? Condividilo!
Altri articoli in
Chiesa e Religioni
Chiesa e Religioni