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Sturzo ha il merito di mettere in campo una squadra di undici persone, a diverso titolo impegnate, per sostenere un’idea libera e forte. Don Luigi affida la forza politica, morale e simbolica del cattolicesimo italiano all’idea di popolo: è nel popolo che lo Stato può trovare la forza morale se rispetta la naturale tendenza religiosa; è nel popolo che si riscontra il desiderio di libertà e di rispetto verso “i nuclei e gli organismi naturali”…

In questi giorni ricordiamo Sturzo. Per farlo non possiamo non ricordare il contesto, quell’appello che nasce in un’Italia uscita vincitrice dalla prima guerra mondiale ma immersa in una crisi politica ed economica da cui si genera una forte instabilità sociale. Don Luigi – alla luce dell’ormai declinante dottrina del Non expedit, del ruolo dei cattolici nelle amministrazioni locali, nel sindacato e in esperienze pre-politiche – ha il merito di mettere in campo una squadra di undici persone, a diverso titolo impegnate, per sostenere un’idea libera e forte. Don Luigi affida la forza politica, morale e simbolica del cattolicesimo italiano all’idea di popolo: è nel popolo che lo Stato può trovare la forza morale se rispetta la naturale tendenza religiosa; è nel popolo che si riscontra il desiderio di libertà e di rispetto verso “i nuclei e gli organismi naturali”.

A fronte di uno Stato artificiosamente laico, don Luigi invita a valorizzare le “virtù morali” del popolo italiano. Il richiamo alla tradizione, in questa luce, non appare un rigurgito medievale ma il prosieguo di una storia, la profonda essenza di un popolo che ha interiorizzato, nella sua coscienza collettiva, un senso di libertà e di appartenenza radicati nella secolare esperienza religiosa. Però il popolo – per evitare le derive di una innaturale lotta di classe – dev’essere liberato dalla necessità e dalla povertà.

E allora ecco il forte accento del Partito popolare alle riforme sociali, previdenziali e istituzionali, al ruolo dei Comuni, della scuola e della famiglia. E dunque, in sintesi: liberare la forza morale e sociale del popolo italiano e liberarlo dal bisogno sono il fulcro di una politica libera e forte. Giusta, potremmo dire: perché non si tratta della semplice uguaglianza propugnata a sinistra, ma di un’idea di giustizia che si esprime in un’idea di uomo e in un’idea di Stato.

Oggi attorno al popolo si coagulano idee meno positive. Il populismo, l’emotività come fenomeno collettivo, l’incompatibilità con le pur necessarie élite, la spinta verso la disintermediazione: tutto sembra suggerirci che il popolo non è più considerato la sede dalla coesione sociale, della virtù morale o religiosa. D’altra parte i dati statistici e i rilievi sociologici ci dicono di una disgregazione morale, di un venir meno della pratica religiosa, di un sovranismo psichico che attanaglia tutti. È possibile ancora parlare del popolo in termini positivi? È possibile che il popolo possa ancora essere un soggetto positivo della nostra storia politica? Sì, se si riparte – come Sturzo – dalle energie che esprimono i Comuni e le comunità, le civitas. Occorre che il “mondo cattolico”, nelle città, riesca a dar vita a spazi civici, a forum e a luoghi dove riappropriarsi dei temi pubblici secondo le categorie della politica. Occorre animare politicamente le città, recuperando una storia e uno slancio di futuro.

Ogni tempo ha un suo popolo, con suoi vizi e virtù. Eppure alcune caratteristiche ricorrono. Occorre essere realisti e capire il proprio popolo: è un compito importante, da non disprezzare. E poi occorre allestire luoghi di studio dei problemi e di riabilitazione della politica.

Ci rimane il dubbio che la somma di tanti progetti cittadini non faccia un progetto nazionale, se non europeo, come sarebbe necessario. Questo è un passaggio più difficile, perché lo Stato nazionale deve ripensarsi all’interno di un mondo globalizzato e – quanto meno – di una unione europea che, anch’essa, appare in via di definizione. Serve allora un passaggio di più, una riflessione più approfondita, un serio discernimento tra le migliori menti che conosciamo. Non so se siano gli “stati generali” – come suggerisce Giorgio Campanini – o altre formule che hanno preso il nome dal luogo che ha ospitato i protagonisti: ma la nostra storia è piena di ricorrenze così. Il metodo è un valore.

Mettere insieme più persone, più idee, più esperienze (con criterio, certo) è un’occasione da promuovere, anche perché nell’era dei social network la differenza tra politico e pre-politico è più permeabile, visto che al centro si pone sempre di più il tema della decisione.

La decisione più importante, quest’anno, credo sia l’Europa: accelerare o rallentare, frenare. Su temi così rilevanti, così netti sarà bene essere chiari. Anche la politica dovrebbe esserlo, per esempio semplificando, proponendo un cartello unico di chi sostiene quell’Europa unita, quell’Europa libera e forte a cui facciamo appello. Una certa tiepidezza verso l’Europa sarebbe fatale.

 

* Articolo pubblicato su Avvenire io 18 gennaio 2019

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