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“A tutti gli uomini liberi e forti, che in questa grave ora sentono alto il dovere di cooperare ai fini superiori della Patria, senza pregiudizi né preconcetti, facciamo appello perché uniti insieme propugnano nella loro interezza gli ideali di giustizia e libertà” (Don Luigi Sturzo, Appello ai ai «liberi e forti» )

“A tutti gli uomini liberi e forti, che in questa grave ora sentono alto il dovere di cooperare ai fini superiori della Patria, senza pregiudizi né preconcetti, facciamo appello perché uniti insieme propugnano nella loro interezza gli ideali di giustizia e libertà. E mentre i rappresentanti delle Nazioni vincitrici si riuniscono per preparare le basi di una pace giusta e durevole, i partiti politici di ogni paese debbono contribuire a rafforzare quelle tendenze e quei principi che varranno ad allontanare ogni pericolo di nuove guerre, a dare un assetto stabile alle Nazioni, ad attuare gli ideali di giustizia sociale e migliorare le condizioni generali, del lavoro, a sviluppare le energie spirituali e materiali di tutti i paesi uniti nel vincolo solenne della “Società delle Nazioni”.

Ho scelto di iniziare il mio editoriale richiamando le prime frasi dell’Appello ai liberi e forti, di cui abbiamo celebrato il centenario lo scorso 18 gennaio. La stagione attuale presenta alcune analogie con quel periodo sia sul piano nazionale che internazionale e le parole che Don Luigi Sturzo rivolge a tutti gli uomini liberi e forti vanno rivolte a tutti coloro che oggi hanno a cuore il tema della giustizia, della libertà, della pace tra popoli e nazioni, della costruzione di un orizzonte sociale e politico che guarda al bene comune.

Siamo di fronte a un cambiamento più profondo di quanto immaginiamo, che non va letto con superficialità. Gli italiani hanno compiuto scelte che portano alla ribalta posizioni e atteggiamenti che, in alcuni casi, appaiono in contrasto con la coscienza di una nazione civile. Con le ultime elezioni è tornato in auge l’appello ai valori, o meglio ai valori gridati, che nella storia del nostro paese ha sempre rappresentato, all’apparire del declino della politica, un ancoraggio.

Sicuramente occorre riconoscere errori e fallimenti, prendere atto di un progetto politico ispirato anche ai valori del cattolicesimo democratico che non riesce a dispiegarsi, a radicarsi durevolmente, generando identità e senso di appartenenza. Occorre ripartire dal basso, dai territori e dalle comunità, dalla pluralità e diversità delle storie e delle culture, per dar vita ad una larga rete di sostegno e di coesione ad una alleanza, politica e sociale, capace di promuovere un’alternativa seria alla situazione attuale.

Come osserva il Card Bassetti in un’intervista ad Avvenire: “Ci sono già tantissime esperienze sul territorio a livello associativo o anche singole esperienze. Ricevo continuamente lettere di incontri, anche piccoli, di uomini e donne di buona volontà che hanno a cuore il bene comune della propria città, provincia o regione. Esperienze che forse andrebbero messe in rete in una sorta di Forum civico. Occorrono giovani laici cattolici, trentenni e quarantenni, che sappiano cucire reti di solidarietà e di cura. E che soprattutto sappiano essere il sale della terra. Sappiano cioè parlare e dialogare con tutti coloro – senza distinzione di fede e cultura – che hanno veramente a cuore il futuro dell’Italia e dell’Europa. Senza creare nuovi ghetti e nuovi muri”.

Il luminoso esempio di Don Lugi Sturzo, la sua testimonianza personale, in un contesto di crisi e sofferenza per l’Italia, e la forza di quell’Appello crediamo possano rappresentare un monito e una bussola anche per il presente.

Per questo abbiamo deciso di dedicare il focus del mese di gennaio a questo centenario così importante, consapevoli che, pur con tutte le differenze tra le due stagioni (1919-2019), oggi vi sia la necessità di tornare seriamente a riflettere su alcune grandi questioni che poneva Don Sturzo, cercando di intraprendere riforme non più rinviabili che guardano ad un orizzonte comune, che scelgono la via della giustizia, della riduzione delle disuguaglianze, che guardano allo sviluppo dei territori più in difficoltà, che puntano a garantire la pace e la sicurezza.

Abbiamo chiesto ad esperti (storici, sociologi, giuristi), a politici e ad esponenti di organizzazioni cattoliche ed ecclesiali di ragionare attorno ad alcune domande presenti nel testo di Don Sturzo: Come perseguire nell’attuale contesto sociale, politico e culturale italiano gli ideali di giustizia e libertà? Come possono i governi e le nazioni singolarmente ed insieme, superando le tentazioni sovraniste, perseguire gli ideali di giustizia sociale e migliorare le condizioni generali e del lavoro? Quali riforme della previdenza, del lavoro, del welfare e del fisco sarebbero più in linea con la direzione indicata dall’Appello? Quali riforme sono necessarie per garantire maggiori condizioni di giustizia nel nostro Paese? Il federalismo sturziano in che senso potrebbe aiutare il nostro Paese ed in particolare il Mezzogiorno a trovare una sua dinamica di sviluppo? Che ruolo possono ancora svolgere i cattolici sul piano sociale e politico per operare una “nuova civilizzazione” dell’Italia? In quali forme?

Iniziamo con Roberto Rossini (Presidente nazionale delle Acli). “Il populismo, l’emotività come fenomeno collettivo, l’incompatibilità con le pur necessarie élite, la spinta verso la disintermediazione: tutto sembra suggerirci che il popolo non è più considerato la sede dalla coesione sociale, della virtù morale o religiosa”. Di fronte ad una situazione di questo tipo per Rossini “occorre che il mondo cattolico, nelle città, riesca a dar vita a spazi civici, a forum e a luoghi dove riappropriarsi dei temi pubblici secondo le categorie della politica. Occorre animare politicamente le città, recuperando una storia e uno slancio di futuro”.

Mons. Michele Pennisi (Arcivescovo di Monreale e Preside del Comitato scientifico dell’Istituto di Sociologia “L. Sturzo” di Caltagirone) sottolinea come “il prendere sul serio il nucleo fondamentale del pensiero di don Luigi Sturzo, come di altri esponenti del cattolicesimo sociale, avrebbe forse evitato rigurgiti integralisti, illusorie fughe secolariste, ubriacature politiche, spiritualismi ingenui, non si sa fino a che punto, nel demonizzare la politica”.

Matteo Truffelli (Presidente nazionale dell’Azione Cattolica Italiana) osserva come sia chiara in Don Sturzo “la consapevolezza che per realizzare nella loro interezza gli ideali di giustizia e di libertà occorre cooperare con tutti coloro che hanno la stessa ambizione, occorre mettere insieme energie e risorse morali, aspirazioni ideali e capacità operative di tutti coloro che mirano alla costruzione di una società migliore.

Gaspare Sturzo (Magistrato, pronipote di Don Sturzo – Comitato promotore Centenario Appello ai liberi e forti) afferma che “la semplice lettura dello stesso (l’Appello) consentirebbe a chiunque, di comprendere come la difesa della dignità e del valore della persona, la famiglia costituzionalmente riconosciuta, la rilevanza dei corpi intermedi nell’attuazione della solidarietà e sussidiarietà, il municipalismo e un sano regionalismo, la libertà scolastica, culturale  e religiosa, il riconoscimento dell’effettiva libertà d’impresa (anche di quella piccola e media), il limite al fiscalismo, la tutela del credito locale, la promozione del lavoro e l’eliminazione della povertà, la questione dell’Europa politica e del suo rapporto con la pace, la lotta al finanziarismo globale, l’eliminazione della cause delle migrazioni mediante investimenti in società, economia e cultura nei paesi africani e mediorientali, siano già in quell’Appello tracciati quali progetti di riforma dello Stato liberale di quel tempo e possano divenire anche oggi presupposti di rinnovamento della Quarta Repubblica italiana”.

Ernesto Preziosi (Presidente del Centro studi storici e sociali e docente di Storia contemporanea presso l’Università degli studi di Urbino “Carlo Bo”) osserva come “Il richiamo al centenario dei ‘liberi e forti’, va considerato soprattutto in termini di metodo: i credenti operano nei diversi contesti storici, offrendo risposte, dando vita a strumenti, che ritengono idonei a raggiungere il fine che è legato al senso stesso dell’impegno politico del cristiano: operare non già per sé o per gli interessi della Chiesa, bensì per il bene comune”. Ed aggiunge, in riferimento alla presenza dei cattolici in politica: “le difficoltà, evidenti e più volte sperimentate, non debbono scoraggiare: è una strada che va percorsa, rinunciando a sterili forme di primazia e autoreferenziali e soprattutto favorendo uno stile di confronto che parta da una essenziale stima reciproca, che non si fa velo delle diversità

Proponiamo anche due interviste, realizzate da Fabio Cucculelli, a Mauro Magatti (Docente di Sociologia presso la Università Cattolica del Sacro Cuore e membro del Consiglio d’amministrazione Istituto Don Luigi Sturzo) e a Silvia Costa (Parlamentare europea).

Salvatore Martinez (Presidente nazionale del Rinnovamento nello Spirito Santo e Comitato promotore Centenario Appello ai liberi e forti) sottilina che “onorare l’Appello ai Liberi e Forti significa, oggi come allora, dare slancio a nuove e concrete esperienze di ‘sussidiarietà orizzontale’, in cui i soggetti sociali radicati e diffusi sul territorio si aggreghino tra loro non per sostituirsi allo Stato, ma per ricucire le maglie di fiducia sociale sfibrate, provando a occupare quegli spazi di dialogo e di sviluppo in cui lo Stato si mostra inadeguato

Antonio La Spina (Docente di Sociologia e di Valutazione delle politiche pubbliche presso l’Università LUISS di Roma) osserva come “il Sud odierno ha livelli di benessere incomparabilmente superiori a quelli degli anni ’40.  Tuttavia, il gap con il Centro-Nord è ancora fortissimo. Una parte della visione contenuta nell’Appello si è tradotta in realtà, è riuscita a imprimere una direzione alla storia in quegli anni di ricostruzione. Ma moltissimo resta ancora da fare. Perciò alcuni elementi dell’Appello restano attuali, per il Sud, per il Paese, per un nuovo ordine mondiale”.

Agostino Giovagnoli (Docente di storia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore e membro del Consiglio d’amministrazione Istituto Don Luigi Sturzo) sottolinea la necessità di un rinnovato impegno politico. “Se i cattolici italiani hanno oggi una colpa, è proprio questa: parlare senza fare. Si dirà: non è possibile resuscitare i partiti novecenteschi oppure non è opportuno o, addirittura, è sbagliato. Contro-obiezione: può darsi che sia così, ma allora che si fa? Quale alternativa ai partiti è possibile mettere in campo oggi? E se non si sa che cosa rispondere in concreto a queste domande, non sarebbe meglio uscire dalla nostalgia e dagli amarcord che hanno circondato in questi mesi la memoria di Sturzo e trasformare tale memoria nella base di una lucida presa di coscienza e in una denuncia esplicita della probabile fine della democrazia? Per attrezzarsi quantomeno a vivere in un mondo dopo la democrazia”.

Nicola Antonetti (Presidente dell’Istituto Don Luigi Sturzo) osserva come “Sturzo esprimeva la ferma convinzione che l’intera trama concettuale del popolarismo serbava intatta una concezione della democrazia, del tutto predisposta a svilupparsi in successive stagioni, ma a non essere confusa o falsificata da progetti politici che, pure agitando forti richiami ai poteri sovrani del popolo, non rispettavano o tradivano i princìpi del pluralismo proprio di ogni democrazia rappresentativa”.

Salvatore Rizza (professore emerito di Politica Sociale presso il Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università di Roma Tre), citando Sturzo, ricorda che “la cooperazione, in tutte le sue forme, deve essere alla base di ogni riforma sociale; e noi dobbiamo preferirla perché tende, per il suo carattere specifico a superare gli egoismi tanto del capitalismo reazionario e sfruttatore che del sindacalismo politicante

Infine Stefano Picciaredda (Docente di Storia Contemporanea e dell’Europa contemporanea presso l’Università degli Studi di Foggia) ci parla del fecondo rapporto tra Achille Grandi e Luigi Sturzo sottoliendo come i due “condussero le due avventure – della Cil e del Ppi – su binari paralleli, e furono protagonisti di tale emancipazione. Entrambi sarebbero stati condannati dal fascismo e sacrificati dalla gerarchia per considerazioni di realismo e sopravvivenza. Un esito che entrambi, in maniera non violenta e ferma, provarono in ogni modo ad impedire. Senza successo, ma ponendo – in modo diverso e ognuno nel suo campo – le premesse per la rinascita, nonché fornendo un esempio di resistenza al totalitarismo”.

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