Identificare le migrazioni con gli spostamenti di povera gente spinta da fame e guerre è una grossolana riduzione della complessità dei flussi. Per emigrare occorrono delle risorse, tanto maggiori quanto più lontana è la destinazione agognata. Parlare di cause delle migrazioni richiede analisi articolate, in grado di superare semplificazioni indebite e slogan a effetto

Identificare le cause dell’immigrazione è un’operazione complessa e forse impossibile, se si immagina di poter raggiungere una spiegazione generale, valida per tutte le componenti dell’immigrazione, per epoche diverse e per le differenti situazioni riscontrabili tra i paesi di origine e i paesi di destinazione. Appare arduo proporre la stessa spiegazione per l’immigrazione di lavoratori dalla Cina e per quella di rifugiati dalla Siria.

Il primo punto da fissare è quindi questo: sotto la definizione generale di immigrati ricadono categorie molto variegate di persone in mobilità attraverso i confini nazionali. Abbiamo migrazioni per studio, per ricongiungimento familiare, per rispondere alla domanda di lavoro qualificato (per es., in campo medico-infermieristico), oltre all’asilo e al lavoro a bassa qualificazione. Questi flussi hanno alla base motivazioni diverse, almeno come ragione esplicita.

In secondo luogo le migrazioni, come la maggior parte dei fenomeni sociali, hanno di solito un profilo multicausale: diversi fattori concorrono a spiegarle. Di solito sono di tre ordini: le aspirazioni individuali e familiari al conseguimento di un maggiore benessere (livello micro); i legami con altre persone e famiglie emigrate in precedenza, insieme all’azione di sostegno delle reti sociali degli immigrati (livello meso); i fattori strutturali, come la guerra o l’instabilità nel paese di origine e la domanda di lavoro nel paese ricevente (livello macro).

Poste queste premesse, è necessario affrontare due delle spiegazioni più diffuse e popolari del fenomeno. La prima riguarda il legame tra emigrazione e povertà. La seconda invece concerne il rapporto tra migrazioni e cambiamenti climatici.

Va precisato anzitutto che i migranti internazionali sono una piccola frazione dell’umanità: rappresentano all’incirca il 3,4% della popolazione mondiale: in cifre, intorno ai 258 milioni su oltre 7 miliardi di esseri umani: una persona ogni 33. Ciò significa che le popolazioni povere del mondo hanno in realtà un accesso assai limitato alle migrazioni internazionali, e soprattutto alle migrazioni verso il Nord globale. Il temuto sviluppo demografico dell’Africa non si traduce in spostamenti massicci di popolazione verso l’Europa o altre regioni sviluppate. I movimenti di migranti internazionali nel mondo avvengono soprattutto tra paesi limitrofi o comunque all’interno dello stesso continente (87% nel caso della mobilità dell’Africa sub-sahariana), con la sola eccezione dell’America settentrionale, che attrae immigrati dall’America centro-meridionale e dagli altri continenti.

In questo scenario, la povertà in senso assoluto ha un rapporto negativo con le migrazioni internazionali, tanto più sulle lunghe distanze. Le migrazioni sono processi selettivi, che richiedono risorse economiche, culturali e sociali: occorre denaro per partire, che le famiglie investono nella speranza di ricavarne dei ritorni sotto forma di rimesse; occorre una visione di un mondo diverso, in cui riuscire a inserirsi pur non conoscendolo; occorrono risorse caratteriali, ossia il coraggio di partire per cercare fortuna in paesi lontani, di cui spesso non si conosce neanche la lingua, di affrontare vessazioni, discriminazioni, solitudini, imprevisti di ogni tipo; occorrono risorse sociali, rappresentate specialmente da parenti e conoscenti già insediati e in grado di favorire l’insediamento dei nuovi arrivati. Come ha detto qualcuno, i poverissimi dell’Africa di norma non riescono neanche a raggiungere il capoluogo del loro distretto. Di conseguenza, la popolazione in Africa potrà anche aumentare, ma senza una sufficiente dotazione di risorse e senza una domanda di lavoro almeno implicita da parte dell’Europa, non arriverà fino alle nostre coste.

I migranti dunque come regola non provengono dai paesi più poveri del mondo. Certo, gli immigrati arrivano soprattutto per migliorare le loro condizioni economiche e sociali, inseguendo l’aspirazione a una vita migliore di quella che conducevano in patria. Ma questo miglioramento è appunto comparativo, e ha come base una certa dotazione di risorse. Lo mostra con una certa evidenza uno sguardo all’elenco dei paesi da cui provengono.  Per l’Italia, la graduatoria delle provenienze vede nell’ordine: Romania, Albania, Marocco, Cina, Ucraina, Filippine, Moldova. Nessuno di questi è annoverato tra i paesi più poveri del mondo, quelli che occupano le ultime posizioni nella graduatoria basata sull’indice di sviluppo umano dell’ONU: un complesso di indicatori che comprendono non solo il reddito, ma anche altre importanti variabili come i tassi di alfabetizzazione, la speranza di vita alla nascita, il numero di posti-letto in ospedale in proporzione agli abitanti. In generale i migranti provengono prevalentemente da paesi collocati nelle posizioni intermedie della graduatoria: India, Messico, Cina, Russia, Filippine sono in cima alla lista dei paesi di origine.

Per ragioni analoghe, anche la spiegazione delle migrazioni in base al deterioramento delle condizioni ambientali incontra seri interrogativi. Apparentemente il nesso sembra logico: se la terra diventa improduttiva, la popolazione sarà costretta a spostarsi. Lo schema semplificante che fa discendere l’emigrazione dalla povertà si applica dunque anche alle cause ambientali.

In realtà la questione è un po’ più complessa. Per le ragioni esposte in precedenza, identificare le migrazioni con gli spostamenti di povera gente spinta da fame e guerre è una grossolana riduzione della complessità dei flussi. Come abbiamo visto, per emigrare occorrono delle risorse, tanto maggiori quanto più lontana è la destinazione agognata.

Anche in situazioni di severa crisi ambientale, coloro che possiedono maggiori risorse dispongono di più ampie opportunità di scelta: possono decidere di restare o di spostarsi, ed eventualmente dove andare. Che contadini e allevatori impoveriti del Sahel o del Corno d’Africa possano arrivare fino in Europa è un evento, se non impossibile, certo improbabile e quindi raro. Per contro ampie aree del mondo producono pochissimo cibo, ma la popolazione non si sposta perché ha a disposizione altre risorse con cui garantirsi l’approvvigionamento alimentare: si pensi ai paesi desertici produttori di petrolio.

Le migrazioni in cui le cause ambientali contribuiscono in modo più riconoscibile sono semmai le migrazioni interne, soprattutto quelle dalle campagne alle megalopoli del Terzo Mondo. La crescita abnorme di diversi poli metropolitani del Sud globale deriva dall’urbanizzazione di ex-contadini e allevatori che lasciano le loro terre. Il rapporto annuale sul tema dell’IDMC (International Displacement Monitoring Centre) stima in 17,2 milioni il numero delle persone spinte a spostarsi in altre regioni del proprio paese a causa di disastri ambientali. Questi fenomeni, oltre che interni, sono anche concentrati prevalentemente nell’Asia Sud-orientale e nella regione del Pacifico (73,5%). Per l’Africa e il Medio Oriente il dato raggiunge appena il 16,4%. Anche ammettendo che una parte di questi migranti forzati prima o poi superino un confine, dovranno superare molte barriere prima di arrivare nel Nord del mondo.

I rapporti scientifici sulle crisi ambientali, come quello dell’ICCP (Intergovernmental Panel on Climate Change), l’agenzia dell’ONU preposta al tema, parlano poco del rapporto tra cambiamenti climatici e migrazioni, tanto meno sulle lunghe distanze. Sono i loro divulgatori ad averne fatto un teorema. Si può intuire il motivo: far leva sulla paura di migrazioni epocali per accrescere la sensibilità verso i problemi ambientali, ancora troppo emotiva e discontinua. In realtà però un simile argomento collude con le ansie diffuse nei confronti di un’invasione d’immigrati inesistente, alimentando la cultura della chiusura.

Parlare di cause delle migrazioni richiede quindi analisi articolate, in grado di superare semplificazioni indebite e slogan a effetto. L’idea per esempio che mandando un po’ di soldi in Africa si possano fermare o rallentare le migrazioni rivela una conoscenza inadeguata del fenomeno e una lettura superficiale delle sue motivazioni. L’immigrazione in Italia e in Europa è prevalentemente europea, prevalentemente femminile, proveniente dalle classi medie, culturalmente cristiana.

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