In questa campagna elettorale si deve capire quanto deve contare la società civile (non più “cosidetta”) e chi vuole rappresentare le sue esigenze .Non hanno istanze corporative perché il valore reale dei servizi che si producono ed i livelli di utilità sociale che si generano sono bipartisan e senza opportunismi utilitaristici.

Il terzo settore ormai sta sul mercato e si confronta quotidianamente con la domanda dei cittadini che chiedono servizi reali. E’ l’insieme delle associazioni, fondazioni, cooperative sociali, ong che oggi possiamo chiamare “imprese sociali” dell’Italia senza aggettivi e rappresentano una funzione indispensabile per l’interesse pubblico. Senza il non profit il nostro paese non potrebbe gestire politiche sociali, sanitarie, sportive, culturali, educative. Ed in evoluzione si misura in nuovi settori con un’offerta organizzata e solidale, specializzandosi anche in linee di servizi indispensabili per il sistema paese: logistica, ristorazione, lavoro interinale, manutenzione del verde, tutela dei consumatori ecc. Presidiando una socialità orfana che non è di nessuno, ma che è indispensabile per tutti. Una realtà pervasiva che vuole una negoziazione qualificata non tanto in termini di sussidi e agevolazioni, ma di gare non “al massimo ribasso”, ma adottando la logica comunitaria dell’”offerta economicamente più vantaggiosa” con la quale si valuta la qualità.In un paese che ha bisogno di un tessuto sociale indispensabile per lo sviluppo economico. Senza il terzo settore il sistema paese si fermerebbe. Ma quali, fra molti, i temi del terzo settore da mettere in agenda? Per cominciare la dipendenza quasi esclusiva dalle fonti di finanziamento pubbliche dovrebbe essere modificata tramite maggiori defiscalizzazioni del fund raising da parte di cittadini ed imprese; con un incremento del tetto annuale del 5 per mille ed una normalizzazione giuridica affidabile nonché una velocizzazione di trasferimento delle quote raccolte. La rappresentanza delle imprese sociali non profit nelle Camere di Commercio dovrebbe diventare prassi diffusa ed acquisita tanto più che i decreti delegati attuativi della Legge 118/2005 appena emessi spingono per questa adozione. Un riconoscimento istituzionale del ruolo socio economico del terzo settore che entra dalla porta principale. Una sussidiarietà reale che esprima non solo la volontà di trovare un terreno di consenso trasversale, ma crei condizioni e strutture reali ed operative per un’integrazione possibile di uomini con età, culture, religioni, etnie diverse. Il riconoscimento che senza una filiera sussidiaria che integra le aziende pubbliche comunali con le imprese sociali, non si può dare un “asset” di servizi efficaci e di valore,con una risposta sempre più vicina il bisogni e alla domanda della gente.Ai candidati la parola. Non vorrei che il silenzio fosse assordante!.

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