Come ogni cittadino avrà avuto modo di constatare, il Terzo Settore (TS) nel suo complesso è il grande assente dai programmi e dai dibattiti che stanno accompagnando la campagna elettorale in corso. Salvo rare e sporadiche eccezioni, sembra quasi che la società politica si consideri esonerata dalla necessità di confrontarsi con la società civile organizzata.

Mentre cerca – e giustamente – il dialogo con la società commerciale (cioè con il mercato in senso stretto), alla società civile riserva – quando va bene – la “conversazione”. Non v’è chi non veda come ciò non solo pecchi di miopia politica, ma anche risulti controproducente per l’avanzamento del nostro modello di ordine sociale.

Quali argomenti dovrebbero ricevere prioritaria attenzione nelle agende delle nostre forze politiche in questa tornata elettorale? Per ragioni di spazio, mi limito ai quattro seguenti. Primo, quali proposte di modifica normativa del meccanismo del 5 ‰ si intendono avanzare? Lo straordinario (e imprevisto) successo di questo strumento di sussidiarietà fiscale non può continuare a rimanere depotenziato e svilito da procedure inefficienti che, mentre sono fonte di aggravio di lavoro per specifici organi della Pubblica Amministrazione (PA), creano problemi – talvolta assai seri – di cashflow agli enti beneficiari, tradendo così lo spirito originario del provvedimento.

Secondo: come gli schieramenti politici in campo intendono affrontare il nodo del rapporto tra TS e PA. Sappiamo che la PA è il principale committente o acquirente dei servizi prodotti dal TS. Cosa si pensa di fare per consentire che la PA, attraverso un adeguamento della normativa sulle gare d’appalto, possa esaltare – anziché oscurare, come oggi sta avvenendo – l’identità propria dei soggetti del TS che è quella di essere “organizzazioni a movente ideale” (OMI)? Tale questione acquista ulteriore rilevanza alla luce della recente sentenza della Corte di Giustizia Europea (Sez. III) del 29/11/07 relativa alla causa C-119/06 avente per oggetto il ricorso nei confronti della Regione Toscana che aveva concluso un accordo quadro con associazioni di volontariato per l’affidamento dei servizi di trasporto sanitario.

Terzo, il mondo del TS attende con giustificata ansia di conoscere come e soprattutto quando verranno calendarizzate le tanto attese leggi di riforma della L. 266/1991, sul volontariato; della L. 49/1987, sulle ONG (Organizzazioni Non Governative); del Libro I, Titolo II del Codice Civile a proposito di associazioni e fondazioni. Relativamente alla L. 49/87, sarebbe utile sapere cosa le forze politiche pensano a proposito della proposta di creazione di un’Agenzia Governativa, incardinata presso il MAE, alla quale affidare il compito della gestione di tutti i fondi destinati alla cooperazione allo sviluppo. Di fronte al rischio grave che ciò possa provocare effetti di spiazzamento nei confronti delle ONG, non si può non portare una questione di tale portata all’attenzione della pubblica opinione. V’è inoltre il problema specifico dell’intervento in materia fiscale delle neonate imprese sociali. Si tratta di un provvedimento urgente e necessario, se si vuole che questa nuova figura giuridica, di cui il nostro paese può giustamente menare vanto in sede europea, possa sortire gli effetti da tutti desiderati.

Da ultimo, la vexata quaestio dei registri delle organizzazioni non profit. E’ semplicemente ridicolo (oltre che causa di dileggio in Europa) che l’Italia abbia circa 300 registri (tra nazionali, regionali, provinciali) di tali organizzazioni tra loro non compatibili. Solo una persona superficiale può pensare che si tratti di un problema di comunicazione; in realtà, esso genera pesanti discriminazioni tra soggetti operanti in territori diversi e non consente di garantire l’accesso a e la trasparenza delle informazioni. L’obiettivo di arrivare ad un DPR nazionale che regolamenti l’intera materia è ormai improcrastinabile.
Come tutte le riflessioni teoriche indicano e come tutte le indagini empiriche confermano, il TS è destinato a crescere, in qualità e in quantità, nel nostro come negli altri paesi dell’Occidente avanzato. Perché allora gli attori della politica italiana non dovrebbero farne oggetto di meditata e responsabile attenzione?

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