Il dibattito sul referendum, in particolare sulla gestione delle risorse idriche, ha fatto emergere e ha reso nota a molti un’espressione tipica della dottrina sociale cristiana: bene comune. Nelle piazze italiane si può leggere nei tanti manifesti di chi fa la campagna per il SI: "acqua bene comune". La questione è complessa e non si presta a semplificazioni. Si parla di bene comune al plurale: beni comuni. Si confonde bene comune, bene statale, bene pubblico, tre concetti diversi.

L’acqua è considerata – giustamente- un bene che non va privatizzato. Ma questo nessuno lo mette in discussione e non è questo il tema del quesito referendario. L’argomento del referendum è un altro. Il bene pubblico "acqua", poiché per essere depurato e portato ai cittadini comporta dei costi, è possibile che – restando pubblico – sia gestito, con gare pubbliche anche da privati? A Cuba e a Londra dicono di sì. E affidano a privati la gestione dell’acqua, per rendere un servizio migliore ai cittadini. A Parigi, dove i privati si sono comportati male, la gestione dell’acqua è tornata pubblica. Vi sono casi in cui pubblico è bello. E casi in cui la gestione pubblica è sintomo di sprechi, inefficienze, nepotismi. Vi sono casi in cui privato è efficienza e minori costi, e casi in cui privato è inefficienza e oneri maggiori. Questo è laicamente il tema su cui pronunciarsi. Anche non votando.
Come ci ha insegnato il card. Ruini, l’astensione ha un forte valore politico, specialmente su temi su cui per molti l’oggetto conta poco e conta più il contesto (un’altra spallata al governo dopo le amministrative). Il leader del PD Bersani è firmatario di un disegno di legge sulla gestione privata dell’acqua ma ora è costretto (non certo per il principio del bene comune) a cavalcare il referendum. L’ex governatore della Toscana, Martini, è un convinto sostenitore della positiva funzione dei privati nella gestione dell’acqua. Ad Arezzo invece la popolazione è indignata perché la gestione privata dell’acqua ha fatto lievitare in modo inaccettabile la bolletta. Altrove la bolletta non lievita, però i comuni non investono, l’acqua viene sprecata e si mettono a carico delle generazioni future le inefficienze. In barba al bene comune. Quello che non convince è la confusione tra il concetto di bene comune e la demonizzazione del privato con alfieri del collettivismo come Alex Zanotelli. La dottrina
sociale della Chiesa
non confonde bene comune e collettivismo. Il bene comune è "la dimensione sociale e comunitaria del bene morale" (Compendio della DSC, n. 164). Jacques Maritain definisce il bene comune "la vita retta della moltitudine". Nulla a che vedere con l’idea (rispettabilissima ma sconfitta dalla storia) della proprietà collettiva dei mezzi di produzione.

Si può gestire con i privati un bene comune? La dottrina sociale della Chiesa risponde sì. Infatti il principio del bene comune non esclude – anzi promuove – il principio di sussidiarietà. Basti pensare a sanità e istruzione. O le suore che gestiscono gli asili e i bravi medici degli ospedali privati convenzionati offendono il bene comune?
Oggi paghiamo poco per il servizio idrico, rispetto alle medie europee. E buttiamo una parte rilevantissima delle nostre risorse d’acqua. Nel dibattito referendario sull’acqua, si rischia, magari senza volerlo, di trasmette una idea di bene comune "collettivista", lontana da quella tipica della dottrina sociale.

Dei referendum del prossimo 12 giugno si è parlato poco. Dopo "Anno Zero", la trasmissione di Gad Lerner "L’infedele" del 6 giugno ha reso evidente questo corto circuito facendo balenare una sorta di via acquatica al socialismo. Si è parlato del referendum sull’acqua. E ho ascoltato un serio analista come Ilvo Damianti sostenere che le recenti elezioni amministrative hanno fatto emergere una voglia di bene comune (confuso con "voglia di pubblico" e "paura del privato"), mettendo in discussione le idee "mercatiste" a cui negli ultimi venti anni anche la sinistra avrebbe prestato il fianco. Carlo Petrini ha citato don Milani che voleva l’acqua bene comune. E il leader della Fiom Landini ha messo insieme la lotta contro la Fiat, il referendum sull’acqua e il nuovo modello di sviluppo.
Oggi in Italia l’acqua è gestita male. E spesso è gestita dai trombati dei partiti che occupano le società municipalizzate e non so quanto facciano per il bene comune. Non poche volte le basse tariffe sono compensate da maggiori tasse o da deficit pubblici.
Ciò che nel dibattito sull’acqua merita un approfondimento è il concetto di bene comune. Togliendolo dalle miserie della polemica politica e della semplificazione.
Il bene comune è troppo importante per essere contrabbandato per un ritorno alla vecchia cultura dei soviet.

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