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Le prime pagine dei giornali di questi giorni sono tutte colpe di “inviti” perché il (nostro) governo adotti misure severe per far fronte ad una situazione economica critica.
rnDa parte di alcuni economisti (cfr. Perotti-Zingales su “Il Sole 24 Ore” del 13 luglio) è stato evidenziato come la manovra economica in via di approvazione non sia sufficiente perché troppo “lieve” nel rappresentare un segnale di svolta credibile per il nostro Paese (e per i mercati internazionali). Da parte di altri pare si tenti di far buon viso a cattivo gioco per guadagnare il consenso magari dell’intero Parlamento e strumentalizzare in termini politici una coesione obbligata per esigenze economico-finanziarie.
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Tutto pare ruotare attorno ad un governo, ai suoi equilibri e alle sue esigenze, ai molteplici fronti spesso non trasparenti cui è chiamato a far fronte “giocando”, è proprio il caso di dirlo, sulle spalle e sul lavoro di molti cittadini.
Tutto dovrebbe invece ruotare attorno alla società, al suo futuro e al suo reale benessere.

Ci pare così non inutile proporre una riflessione “parallela” nella speranza che possa suggerire qualche stimolo alla riflessione circa la struttura, e i vizi, del nostro ordinamento.
Siamo in Belgio. L’ultimo politico chiamato a formare un governo ha rassegnato da pochi giorni le sue dimissioni al re, prolungando una situazione ad interim che prosegue da 13 mesi. Elio Di Rupo, leader dei socialisti francofoni dalle evidenti origini italiane, ha tentato di trovare un punto d’incontro tra i diversi partiti del paese, senza riuscirci.
Facciamo un passo indietro.
Dopo la consultazione elettorale anticipata del 13 giugno 2010 in Belgio non è stato possibile costituire un governo, nonostante gli otto incarichi affidati dal re Alberto II.
Le citate elezioni hanno assegnato la vittoria (morale) al partito pseudo-separatista della “N-va”, che ha saputo veicolare al meglio lo scontento della parte fiamminga della popolazione belga, la parte più produttiva e trainante del Paese (nelle Fiandre, un tempo la zona più povera del Paese, si produce oggi il 60% del Pil e il tasso di disoccupazione è circa un terzo di quello del sud). Se l’opinione pubblica belga è divisa, quella estera pare ignorare quasi completamente il fenomeno, trascurando così un’esperienza concreta che potrebbe indicare molto più di quello che testimonia.
Come è stato già suggerito nei mesi scorsi, difatti, grazie all’esperienza belga si deve prendere atto che nel III millennio un Paese può vivere in tempo di pace per un anno intero senza presidente del Consiglio, senza una frotta di sottosegretari, senza una pletora di esperti consulenti…
Senza governo il Paese esiste. E progredisce.
In effetti la situazione è ancora più curiosa visto che in questo stesso periodo il Belgio, che possiede comunque uno dei debiti pubblici più alti d’Europa (prossimo al 96% PIL), sta superando la crisi economica e fornisce dati di crescita tra i migliori all’interno della UE.
Come è possibile? Merito del governo ad interim o dell’assenza di un vero governo?

La domanda potrebbe dirsi malposta, forse provocatoria, ma vista la situazione attuale (italiana e non) non par certo peregrina. Come non lo è mai stata l’affermazione di uno tra i più importanti presidenti U.S.A., Thomas Jefferson, per il quale “il miglior governo è quello che governa meno”.
L’orizzonte teorico-politico qui accennato si estenderebbe di molto ma questa non è la sede adatta e così limitiamo la disamina al monito di Lord Acton “Il potere tende a corrompere e il potere assoluto corrompe assolutamente”.
La corruzione del potere non distingue, peraltro, tra “pubblico” e “privato”.
D’altra parte sappiamo che quando il potere è privato viene al contempo limitato dalla concorrenza di altri poteri (privati) e non può far valere tutta la “violenza” che invece è attribuita “divinamente” alle istituzioni pubbliche, oggi come ieri, nei confronti delle persone e delle comunità.
Ecco che si potrebbe affermare, anche sulla scia dell’esperienza del Belgio e della sua attuale crescita socio-economica, che una diffusione di poteri tende a corrompere meno rispetto all’instaurazione (governativa) del Potere.
Inoltre la realtà belga richiama da vicino quella italiana per molti aspetti, ma non per tutti. Un governo centrale assente, un florilegio di libertà locali rinnovate, un impennarsi di desiderio di autonomia politica inizialmente rivendicato dal nord verso un sud “povero e assistenzialista” ed oggi condiviso da tutta la popolazione che peraltro è già divisa al suo interno da lingue e matrici culturali differenti (francofona, fiamminga, germanofona). Nel contempo la comunità, o meglio le varie comunità denunciano un livello di benessere ben al di sopra della media europea.
Torna nel quotidiano il riconoscimento della realtà per la quale la società può esistere senza stato perché è la prima a poter costituire il secondo e non viceversa.
In questi termini possiamo proseguire la lettura della situazione belga memori anche delle parole di stima che Alcide De Gasperi rivolgeva nel 1949 proprio al Belgio e alla sua tradizione politica con il noto discorso “Le basi morali della democrazia”. Avvertiva lo statista dell’equilibrio, per taluni “lumacoso”, che è necessario rimanere vigili dinanzi a “quella concezione politica secondo cui tutto il male è da una parte e tutta la virtù dall’altra”. Vigili dinanzi agli estremismi per poter così riconoscere gli strumenti più adatti, volta per volta, a raggiungere l’obiettivo primario per una comunità: il benessere dei propri membri, alias il bene comune.

Il Belgio monarchia costituzionale testimonia, oggi, che tale benessere non è avversato dalla mancanza di un governo.
L’Italia repubblica parlamentare evidenzia, oggi, che non sempre un governo è in grado di garantire tale benessere e spesso lo stesso governo rischia di essere una causa diretta di dispendio di risorse (a tacer d’altro) dell’intero Paese.
L’esito di questo ragionamento non è determinabile qui in termini compiuti. Di certo la disamina corre felicemente il rischio di promuovere una teoria (ma pure una prassi) in cui il rispetto della autonomia della persona e delle comunità è tutelato sempre più e l’esistenza di una istituzione governativa è garantita sempre meno.
Perché i fini (le persone) hanno un valore, i mezzi (le istituzioni) un altro.
E la differenza non è di poco conto. Mai.

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