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In Europa abbiamo di recente assistito alla competizione politica tra due candidate donne per la guida del partito socialista francese: Ségolène Royal (già candidata alle presidenziali) e Martine Aubry (già sindaco di Lille); il Premier tedesco, Angela Merkel, è una donna, oltre ad essere il Cancelliere più giovane del dopoguerra; i paesi scandinavi da tempo annoverano leader politiche femminili di primissimo piano.

Anche il resto del mondo non è da meno: al di là di politiche affermate ufficialmente, come Michele Bachelet, presidente del Cile (il primo in America latina), altre personalità, come Rigoberta Menciù, Vandana Shiva, Aung San Suu Kyi, Ingrid Betancourt, rappresentano autorevoli esempi di donne che sono leader politici di grande spessore e rilievo. Sono donne alla guida di movimenti di pensiero e (quindi) politici, e, come spesso accade nel genere femminile, sono leader morali ed etiche oltre che politiche (forse è questo che spaventa tanto i politici uomini?); lo sono anche perché difendono il diritto ad esistere e a partecipare di intere collettività minacciate, di cui conoscono molto bene (proprio perché donne) tradizioni, cultura e valore, in un mondo sempre meno attento ed interessato alla ricchezza della diversità. In una logica inclusiva, che è ancora – mi pare – un tratto tipicamente femminile, hanno assunto ed esercitato responsabilità politica, scontando spesso la debolezza di essere appartenenti al genere femminile, ma affermandosi come “attori politici” in senso compiuto, intendendo ciò come scelta sia di competere per una carica elettiva, sia di essere “soltanto” cittadini a pieno titolo, che votano, si informano, sono coinvolti, nelle svariate forme di partecipazione civica e politica. In forma più o meno complicata o agevole hanno utilizzato i canali della rappresentanza a loro disposizione.rn

E in Italia cosa avviene? Non vi è traccia di tutto questo. Non si fa strada un corso realmente diverso nell’affermarsi di leader politiche significative ed influenti. Ma nemmeno c’è traccia dei problemi femminili nel dibattito attuale, nulla sulle difficoltà che i previsti tagli alla spesa pubblica amplificheranno a carico loro e della conciliazione tra vita personale e professionale. Le donne tornano al centro dell’attenzione quando si verificano tristi eventi, come quello della ragazzina di 13 anni che, stuprata, si toglie la vita; episodio che è indice e sintomo dell’attuale fragilità sociale femminile e del clima culturale che circonda oggi le donne in Italia. Salgono agli onori delle cronache quando si dichiara, come il Ministro per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione Renato Brunetta ha fatto nei giorni scorsi (su input proveniente dalla Corte europea), di equipararle in doveri agli uomini, alzando la loro età pensionabile, trascurando di equipararle in diritti; basti pensare alle retribuzioni a parità di lavoro (molti studi indicano che quelle femminili restano inferiori a quelle maschili del 20-30%) o alle condizioni di accesso al lavoro, di rientro dopo un periodo di lontananza, di carriera, contrattuali e di trattamento in generale. E trascurando altresì la funzione di care giver, che ancora grava principalmente su spalle femminili e che influisce sul percorso personale e sociale della donna. Benché la previsione di andare in pensione alla stessa età degli uomini sia di per sé ammissibile, non si può intervenire sull’ultimo ingranaggio ignorando completamente l’intera catena di trasmissione: o si equiparano e si sanano le situazioni lungo tutto il corso della vita oppure, come affermava Don Milani, fare parti uguali tra diseguali si traduce in un’ingiustizia. Insomma, occorre fare in modo che un criterio valido in via di principio non abbia, nella sostanza, un effetto boomerang per le donne.

A ciò potrebbe provvedere una politica un po’ meno “maschile”, che produca idee ed iniziative vicine ai problemi della donna comune, cittadina a tutti gli effetti e ben consapevole delle proprie istanze. L’auspicio è che l’attuale tempo di crisi, come spesso accade, abbia almeno il merito di sospingere verso ruoli o posizioni di responsabilità figure femminili di riferimento e che stavolta, al di là dell’emergenza (che è un momento nel quale le leader politiche riescono ad… emergere), siano organicamente integrate nel quadro politico e istituzionale italiano, nelle liste elettorali e nelle segreterie di partito, tra i dirigenti sindacali e nei consigli di amministrazione, nei luoghi decisionali nel complesso, senza operazioni di facciata o volti da copertina, senza scorciatoie o contentini.

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