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Il fatto che gli italiani trascurino il giorno del loro compleanno nazionale e ancora litighino se e come festeggiarlo è una fotografia della loro identità appena embrionale. Bisogna capire le ragioni per cui la ricorrenza di un evento fondativo provochi tante divisioni nella stessa maggioranza di governo (la Lega), nel mondo del lavoro (la confindustria) e nel mondo della scuola (il Ministro Gelmini da una parte e i Presidi dall’altra).

Il mio convincimento è che quanto sta accadendo in questi giorni nel nostro Paese sia la prova ennesima e non confutabile della necessità di ri-fare gli italiani prima che l’incontrollabilità degli avvenimenti finisca per dis-fare l’Italia. La fragilità del carattere nazionale e la presenza di aspetti contradditori nella nostra identità trova infatti spiegazione nell’incompiutezza di un Risorgimento avvenuto senza il protagonismo del popolo, senza la condivisione della Chiesa cattolica e senza il coinvolgimento del Mezzogiorno. Che i Padri fondatori – Mazzini, Garibaldi, Cavour e Vittorio Emanuele I – siano stati tutti e quattro “scomunicati” suona ancora oggi come un fatto singolare e sconcertante.
L’Italia ha ereditato nel suo DNA le tante facce di questa Babele da cui è nata: il repubblicano e rivoluzionario Mazzini; il socialista e militarista Garibaldi; il diplomatico e statista Cavour; il monarca sabaudo Vittorio Emanuele II.
Nel volume collettaneo Due nazioni, curato da Nicola Di Nucci ed Ernesto Galli Della Loggia (Il Mulino, Bologna 2009) si afferma che l’Italia è caratterizzata fin dall’inizio da un alto livello di contrapposizione politica, resa evidente da una lunga serie di opposti: monarchici/repubblicani, nord/sud, laici/cattolici, interventisti/neutralisti, fascisti/antifascisti, comunisti/ anticomunisti. Non si può allora dare torto a Barbara Spinelli secondo la quale come italiani «abbiamo nel sangue i cromosomi dei Montecchi e dei Capuleti, e questa è la ragione sufficiente che spiega tutti i nostri mali, del passato e del presente». Alla lista delle coppie antitetiche sopra elencate possiamo aggiungere anche quella, mai superata, di guelfi e ghibellini, ma forse la realtà più triste e sconfortante è che come italiani ci portiamo sulle spalle un passato che non passa ma che funge tutt’ora oggi come specchio della nostra identità.
Ripetutamente invaso prima dai barbari e poi dagli eserciti stranieri, il popolo italiano ha finito per sviluppare dentro di sé un’attitudine al servilismo e alla sottomissione, al gesto del chinare il capo e del genuflettersi, quando non del “baciare le mani”. Cesare Garboli ha parlato, in tal senso, di una vocazione “servile” del nostro Paese, e Raffaele La Capria ha osservato che c’è nel carattere degli italiani uno strano miscuglio di vittimismo e sfrontatezza, di auto-denigrazione ed euforia sciovinista, di vergogna di essere italiani ma, nel contempo, di dignitosa compostezza che può essere riassunto nelle maschere di Arlecchino, Pinocchio e Pulcinella, gli archetipi che meglio esprimono carattere, psicologia e spirito del popolo italiano (Corriere della sera, 21 novembre 2009). Insuperabile, per efficacia, la sua conclusione:” Arlecchino, Pinocchio e Pulcinella sono l’Italia del popolo che si rappresenta, si denigra e si riscatta con la felicità che trasmette questo trio (…) Parlar male di sé come noi italiani facciamo, può dunque avere molteplici e complicati risvolti e può essere inteso come una terapia di chi sa di essere malato, ovvero anomalo, ma sa anche che alla fine ce la farà”. Più volte, come si sa, nel corso della storia vuoi dell’Italia monarchica e fascista, vuoi dell’Italia della prima e della seconda Repubblica non sono mancati numerosi episodi di trasformismo politico. Solo nel nostro Paese poteva accadere che si materializzasse una nuova maschera, dal nome Scilipoti, come un caso emblematico di trasformismo e di identità pirandelliana.

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