La prima legge della Presidenza Obama porta il nome di una semisconosciuta settantenne dell’Alabama, Lilly Ledbetter. Per 19 anni dipendente della Goodyear, alla soglia della pensione scoprì di essere pagata, a parità di mansioni, il 40% in meno dei suoi colleghi maschi e per questo denunciò l’azienda.

Un tribunale le diede ragione, ma non così la Corte Suprema che (con 5 voti contrari e 4 a favore) sancì che la lavoratrice aveva lasciato passare il termine previsto (sei mesi) per la denuncia del torto subito.
La legge firmata da Barack Obama alla fine di gennaio chiude una lunga vicenda e apre forse una nuova era di parità salariale tra donne e uomini negli USA, confermando che il “sogno americano” vale per tutti e che il principio per cui “tutte le persone sono create uguali” affermato dalla Dichiarazione d’Indipendenza non è destinato a rimanere sulla carta.
Alle cerimonia della firma erano presenti donne-simbolo della realtà femminile d’Oltreoceano, da Nancy Pelosi, speaker della Camera a Hillary Clinton, prima rivale e ora Segretario di Stato del Presidente Obama. Ma significativa è anche la presenza di parlamentari repubblicane, a testimoniare la trasversalità bipartisan di un tema cruciale nell’ambito delle pari opportunità.
L’evento merita ulteriori considerazioni, guardando alla realtà di casa nostra. La disparità salariale, infatti, è solo un capitolo della difficile condizione lavorativa delle donne italiane, resa più acuta dalla crisi economica che attanaglia il nostro Paese (insieme al mondo intero) e che va a colpire duramente le lavoratrici e i lavoratori. La precarietà, la disoccupazione, il difficile accesso al mercato del lavoro, il più difficile reinserimento, la mancanza di una seria e sistematica politica di conciliazione tra lavoro e vita familiare, la disparità di carriere, sono altrettanti spaccati di una realtà ancora ben lontana dall’incoraggiare, promuovere e accompagnare la presenza delle donne sul mercato del lavoro. E ciò a fronte dell’ormai acquisita consapevolezza che questa presenza costituisce un indice essenziale di crescita produttiva e di competitività del nostro sistema economico. L’incremento della stessa imprenditoria femminile, mentre testimonia la creatività e la competenza delle donne anche in questo campo, segnala spesso una scelta obbligata a causa di un mercato del lavoro dipendente ancora avaro di misure favorevoli (o meglio antidiscriminatorie) nei loro confronti . La maternità viene ancora considerata un “rischio” aziendale piuttosto che una ricchezza e un valore sociale.
L’esempio americano è certamente incoraggiante, ma la strada delle donne verso un’autentica parità delle opportunità, a partire dalla loro differenza, è ancora lunga e, temiamo, resa più aspra dalla difficile congiuntura in cui versa l’economia globale. In tempi di recessione, sono i più deboli a correre maggiori rischi e non c’è dubbio che le donne scontano – insieme ai giovani – antichi ritardi culturali e sociali che si sommano alle inedite sfide del presente.
 
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