In una recente omelia pronunciata nella chiesa di San Lorenzo in Piscibus, Benedetto XVI ha ripreso la questione del valore della vita umana, offrendo come sempre motivo di riflessione ed approfondimento.

Dal un punto di vista dei principi nulla di nuovo, naturalmente: anzi, ci si potrà chiedere se possa fare notizia il fatto che il papa affermi che «L’uomo è sempre uomo, con tutta la sua dignità, anche se in stato di coma, anche se embrione».
Ma è ormai chiaro che con Joseph Ratzinger occorre disporsi ad accettare sfide che sono morali ed intellettuali ad un tempo: ed infatti il guizzo di novità risiede – come già in altre occasioni – nella cornice in cui l’affermazione è inserita, ed alla cui luce ci invita a rimeditarne il contenuto e l’accento.
 
Qual è la cornice, dunque? Vale la pena riprenderla integralmente: «L’uomo – ha rimarcato il Papa – pur essendo parte del grande biocosmo, lo trascende. Certo, se vive solo biologicamente, non sono sviluppate e realizzate tutte le potenzialità del suo essere. Si aprono nuove dimensioni, l’uomo è un essere che conosce. Anche gli animali conoscono, ma solo le cose interessanti per la loro vita biologica. La conoscenza dell’uomo va oltre, vuol conoscere tutto, tutta la realtà. Vuol sapere cosa è l’essere, il mondo, ha sete di conoscenza, di infinito, vuole arrivare alla fonte della vita, trovare la vita stessa, che è Dio».
Gli animali conoscono solo le cose interessanti per la loro vita biologica: non può sfuggire questo cenno, che probabilmente costituisce il grimaldello per entrare nel pensiero rimarcato da Benedetto XVI; il cuore della questione non è, come si potrebbe concludere a prima vista, la difesa etica della vita umana dal concepimento alla morte naturale. Specialmente riguardo al tema della fine della vita il dibattito non può essere liquidato con una battuta. La prospettiva è un’altra, più ampia e di maggiore respiro antropologico ed è quella del riconoscimento della «dignità» umana, affrontato precisamente nella cornice di una similitudine/diversità con gli altri viventi.
 
Il cenno di sapore francescano agli animali (anche loro conoscono) introduce infatti al tema della similitudine tra uomo ed animale, invitandoci ad osservare che nella similitudine vi è tuttavia una certa diversità di grado (in questo caso il conoscere solo le cose interessanti dal punto di vista biologico), una differenza nella similitudine dunque, che pone il problema del significato che vi ritroviamo: può questa diversità di grado, empiricamente rilevabile, essere colta come indicatore di una diversità di valore, di una diversa dignità dunque?
La questione è impostata finemente, e dà da pensare: la diversità «di grado» infatti non esprime di per sé una diversità «di valore», mentre il concetto di «dignità» è proprio questo, una espressione di valore, che ha senso se esistono realtà più degne di altre nella loro integralità e non semplicemente più capaci sotto un certo punto di vista.
 
Il problema che ci consegna Benedetto XVI va allora scomposto e visualizzato nelle sue due parti, che non vanno confuse tra loro.
La prima è di una semplicità elementare, proprio nel senso che abbiamo appreso come vada affrontata fin dalla scuola elementare – o primaria, che dir si voglia – : per valutare il più e il meno, noi dobbiamo disporre di una unità di misura comune. Non possiamo commisurare rifrazione alla luce e litri: nessuno ritiene sensato dire che una cisterna rossa è maggiore di una cisterna di tre ettolitri. Dobbiamo deciderci: o valuteremo il colore di entrambe, o ci concentreremo sulla capacità di entrambe. Dobbiamo cioè stabilire quale sia il punto di vista per noi più significativo, quale sia il «metro» applicabile ad entrambe da cui ne esce un raffronto sensato. Allora diremo che la cisterna da due ettolitri è più piccola di quella di tre ettolitri: nel far questo abbiamo stabilito che è significativo adottare la prospettiva della capienza, riconoscendolo come il punto di vista da cui è significativo valutare le cisterne, perché la loro caratteristica strutturale è di essere fatte per contenere dei liquidi. Compararle in base alla sfumatura del colore è certo possibile, ma non avrebbe molto senso. Due passaggi in uno, dunque: trovare un criterio di comparazione (un luogo di similitudine) che sia tuttavia rivolto a qualcosa di peculiare, di distintivo di ciò che si sta confrontando. Perché non dire a qualcosa di «essenziale»?
Analogamente, comparare l’uomo e l’animale dal punto di vista del colore del pelo sarebbe poco significativo quanto al più generale interrogativo sulla dignità, che è un interrogativo rivolto all’essenza, all’integralità dell’essere colta attraverso i tratti distintivi. Di contro, può essere interessante osservare che tanto l’animale quanto l’uomo sono capaci di una attività conoscitiva (attestata dall’esperienza e oggi anche dalla ricerca scientifica), e che questo può diventare il metro, ovvero la prospettiva da cui avviare un confronto; in quest’ottica è innegabile che l’uomo conosce più dell’animale, ha senz’altro maggiori capacità intellettuali, ma anche relazionali etc. Possiamo in altri termini riconoscere una diversità di grado: l’uomo, di norma, conosce di più dell’animale.
 
Tutto questo ancora non risolve la questione della dignità, che costituisce infatti la seconda e più difficile parte del problema. Vale di più la cisterna da due ettolitri o quella da tre? Ho attestato una differenza, ma questa non mi dice nulla riguardo al valore, a meno di non confondere il valore con la differenza di capacità, nel qual caso la mia domanda è inutile perché già dispongo della risposta. Se mi chiedo se l’uomo valga di più degli altri viventi, non mi sto più chiedendo quanto sia diverso sotto un punto di vista selezionato e significativo (in questo caso il conoscere): non mi sto più chiedendo quanto maggiore sia la capacità conoscitiva, esplorativa o morale dell’uomo rispetto a quella dell’animale. È una questione che ho già risolto con l’osservazione, con la misura sperimentale (psicologica, cognitiva, comportamentale…). Ciò che invece sto esplorando è il significato di questa diversità.
In termini più classici mi sto chiedendo se da una differenza quantitativa (di grado) si possa arguire una differenza qualitativa (di valore): passare dalla diversità nel conoscere alla conclusione per una maggiore dignità dell’uomo rispetto all’animale è compiere questo passo.
 
Ora, non possiamo certo dire che Benedetto XVI volesse metterci dinanzi ad un rompicapo fatto di cisterne, unità di misura, conoscenza dell’essere e via dicendo; però ci ha messo ancora una volta dinanzi ad un problema intenso, proprio tracciando la cornice di una comparazione tra uomo e animale sotto un medesimo angolo visuale, quello del conoscere: per quanto le nostre analisi fenomenologiche, sperimentali e genetiche potranno essere raffinate, non potremo mai pensare che la questione della dignità umana sia discernibile per via di comparazione quantitativa, cioè tramite quella misura del più e del meno che ci fruttano le scienze sperimentali.
 
Il passo successivo, la stima di una differenza qualitativa, è di natura completamente diversa: qui l’uomo impegna tutto se stesso, talvolta con la pazienza della metafisica e di una filosofia della natura – scienze di altri tempi, ma tuttavia le uniche in grado di dire, con argomenti razionali, come coprire la distanza che separa la misura della quantità da quella della qualità – talaltra con una sorta di petizione di principio che sale da quanto vi è di più profondo nell’uomo, da quell’intuizione del proprio valore a cui ci si appella immancabilmente nel vivere quotidiano. Sono i due percorsi che fanno rotta verso l’affermazione della dignità umana: e, appunto, non è un caso che Benedetto XVI ci stimoli non tanto a prender nota di un imperativo morale, ma a riscoprire sia i percorsi dell’intelligenza, sia le sorgenti di quella stima di sé e della famiglia umana che è quasi come incisa nell’intimo di ogni persona.
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