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In questi giorni si sta per completare il difficile e travagliato iter della Legge finanziaria. Tra spinte, bilanciamenti, qualche ricattucolo, crisi annunciate e poi risolte, sembra che si vada all’approvazione, con alcune correzioni, della legge di bilancio presentata dall’esecutivo presieduto da Romano Prodi.

Gli analisti politici, dando per congedato questo passaggio, si interrogano su quale percorso farà la politica italiana e su cosa si centrerà il dibattito pubblico dei prossimi mesi. Dicembre sarà inevitabilmente dedicato, tra una manifestazione di categoria e qualche agitazioni sindacali, alla discussione dell’oramai famoso Protocollo sul Welfare. Il testo preparato dal Governo, sintesi di un difficile accordo tra l’Esecutivo, Confindustria e Sindacati, dovrebbe esser già pronto per l’approvazione salvo rimaneggiamenti dell’ultima ora (sappiamo quanto la sinistra radicale voglia sfruttare questa fase di passaggio per accumulare credito dai suoi referenti storici). Dubito che il Governo possa fare un ulteriore passo falso su questa questione quindi, mangiato il panettone, pare che il dibattito politico si focalizzerà totalmente sul tema delle riforme e in particolare sulla Legge elettorale e la connessa risistemazione dell’assetto istituzionale (modello di governo e poteri del Premier, ruolo e funzioni delle Camere, regolamenti parlamentari). Evitando di andare troppo sul tecnico parlando di modelli alla francese, alla tedesca con correzione spagnola, all’inglese con quote proporzionali, ecc., mi pare che d’obbligo sia cambiare il volto di questa discutibile Legge elettorale vigente, che non solo invita davvero poco a partecipare ma che ha anche contribuito a esasperare alcune carenze del sistema politico italiano.
 Il nostro Paese avrebbe bisogno di un dispositivo elettorale equilibrato, frutto di una sintesi tra le facili fughe in avanti verso tipi di Legge elettorale che, puntando alla stabilità dell’Esecutivo, rischiano di svilire il ruolo del Parlamento, e modelli che evitano l’accentuarsi di disfunzioni della vita democratica e di tentazioni autoreferenziali della politica (come la moltiplicazione dei partiti e l’ingovernabilità eretta a sistema); riconfermando, allo stesso tempo, la scelta maggioritaria e la democrazia dell’alternanza, in un quadro di bipolarismo mite. Dunque, un percorso induttivo nella scelta del sistema elettorale potrebbe forse dar esiti positivi: fissare alcuni punti condivisi che agevolino lo sblocco di questa fase di crisi del sistema. Tra questi l’esigenza di governabilità e stabilità (con conseguente diminuzione del numero dei partiti e dei gruppi parlamentari), la chiarezza nell’alternanza, il ristabilimento di un rapporto diretto tra rappresentanti e territorio, l’evitare la difficoltà di esercizio legislativo (come è avvenuto in questi anni in Senato) ponderando bene l’utilizzo del premio di maggioranza.
Sappiamo che neanche una buona legge elettorale non è la panacea di tutti i mali, ma può certamente contribuire ad un miglioramento della vita del sistema; fermo restando che il quadro attuale e gli attori in gioco non paiono troppo intenzionati ad abbandonare le rendite di posizione in vista del bene comune.    
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